Con sentenza del 6 marzo 2018, la Corte di Giustizia, Grande Sezione ha statuito che gli articoli 267 e 344 TFUE ‘‘ostano ad una norma’’ che devolva ad un collegio di arbitri le controversie insorte tra un privato investitore ed uno Stato membro. La norma sotto accusa, nel caso di specie, era la clausola arbitrale di cui all’art. 8 dell’Accordo per la promozione e la tutela reciproche degli investimenti tra il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica federale ceca e slovacca del 1991. Gia` si comprende allora la ragione (ma v. amplius, par. 3) per cui il dispositivo della sentenza della Corte UE sia in questa occasione intonato in chiave di puro conflitto tra norme di pari rango, e non poteva ricorrere invece qui il consueto refrain per cui taluna o talaltra disposizione del Trattato UE o del diritto europeo derivato ‘‘ostano alla applicazione di’’ una determinata norma nazionale da parte del giudice nazionale. Al fondo della sentenza Achmea, e` la ‘‘sfiducia’’ della Corte UE nella applicazione (o magari anche disapplicazione!) del diritto eurounitario da parte di arbitri internazionali, senza alcuna garanzia di un efficace controllo giuri- sdizionale, ne ́ preventivo ne ́ a posteriori, da parte di giudici togati degli Stati membri, sul lodo pronunciato dagli arbitri; in quanto tali privi del potere di rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 267 TFUE. La Corte e` rimasta sul punto fedele alla sua giuri- sprudenza sulla nozione autonoma di ‘‘giurisdizione nazionale’’, da cui esulano gli arbitri volontari.
Cala il sipario sull’arbitrato degli investimenti ‘‘intra-UE’’: la Corte UE esige che le liti tra investitori e Stati membri siano decise da giudici togati
STELLA
2018-01-01
Abstract
Con sentenza del 6 marzo 2018, la Corte di Giustizia, Grande Sezione ha statuito che gli articoli 267 e 344 TFUE ‘‘ostano ad una norma’’ che devolva ad un collegio di arbitri le controversie insorte tra un privato investitore ed uno Stato membro. La norma sotto accusa, nel caso di specie, era la clausola arbitrale di cui all’art. 8 dell’Accordo per la promozione e la tutela reciproche degli investimenti tra il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica federale ceca e slovacca del 1991. Gia` si comprende allora la ragione (ma v. amplius, par. 3) per cui il dispositivo della sentenza della Corte UE sia in questa occasione intonato in chiave di puro conflitto tra norme di pari rango, e non poteva ricorrere invece qui il consueto refrain per cui taluna o talaltra disposizione del Trattato UE o del diritto europeo derivato ‘‘ostano alla applicazione di’’ una determinata norma nazionale da parte del giudice nazionale. Al fondo della sentenza Achmea, e` la ‘‘sfiducia’’ della Corte UE nella applicazione (o magari anche disapplicazione!) del diritto eurounitario da parte di arbitri internazionali, senza alcuna garanzia di un efficace controllo giuri- sdizionale, ne ́ preventivo ne ́ a posteriori, da parte di giudici togati degli Stati membri, sul lodo pronunciato dagli arbitri; in quanto tali privi del potere di rinvio pregiudiziale interpretativo ex art. 267 TFUE. La Corte e` rimasta sul punto fedele alla sua giuri- sprudenza sulla nozione autonoma di ‘‘giurisdizione nazionale’’, da cui esulano gli arbitri volontari.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.