Dal crocifisso al burka al burkini, ampio, noto e avviato da anni è il dibattito, interno ed europeo, mediatico, politico e giurisprudenziale, sull’affissione di simboli religiosi negli edifici pubblici e sull’utilizzo del velo femminile, integrale e non, negli spazi pubblici. Diversamente, seppur già affrontata dalla Cedu e dai giudici di alcuni paesi europei, meno indagata risulta la questione dell’uso di indumenti o segni religiosi indossati dai lavoratori sul luogo di lavoro, non solo, come rileva la sentenza in epigrafe, nelle aule giudiziarie italiane, ma altresì presso la Corte di giustizia, chiamata a decidere sul tema per la prima volta nelle cause Achbita (C-157/15) e Bougnaoui (C-188-15). Proprio il confronto con tali cause è utilizzato nella disamina dei profili d’interesse della pronuncia in commento, relativa al caso di una ragazza di cittadinanza italiana e religione musulmana che, dopo aver risposto a un’offerta di lavoro ricevuta da una società incaricata di preselezionare delle hostess per un’attività di volantinaggio in una fiera di scarpe, ha visto respingere la propria candidatura per la mancata disponibilità a togliere il velo durante l’eventuale prestazione lavorativa. La Corte d’Appello di Milano, riformando l’ordinanza di primo grado, ha dichiarato «il carattere discriminatorio del comportamento della società appellata».

IL PREZZO DEL VELO: RAGIONI DI MERCATO, DISCRIMINAZIONE RELIGIOSA E QUANTIFICAZIONE DEL DANNO NON PATRIMONIALE

PERUZZI, Marco
2016-01-01

Abstract

Dal crocifisso al burka al burkini, ampio, noto e avviato da anni è il dibattito, interno ed europeo, mediatico, politico e giurisprudenziale, sull’affissione di simboli religiosi negli edifici pubblici e sull’utilizzo del velo femminile, integrale e non, negli spazi pubblici. Diversamente, seppur già affrontata dalla Cedu e dai giudici di alcuni paesi europei, meno indagata risulta la questione dell’uso di indumenti o segni religiosi indossati dai lavoratori sul luogo di lavoro, non solo, come rileva la sentenza in epigrafe, nelle aule giudiziarie italiane, ma altresì presso la Corte di giustizia, chiamata a decidere sul tema per la prima volta nelle cause Achbita (C-157/15) e Bougnaoui (C-188-15). Proprio il confronto con tali cause è utilizzato nella disamina dei profili d’interesse della pronuncia in commento, relativa al caso di una ragazza di cittadinanza italiana e religione musulmana che, dopo aver risposto a un’offerta di lavoro ricevuta da una società incaricata di preselezionare delle hostess per un’attività di volantinaggio in una fiera di scarpe, ha visto respingere la propria candidatura per la mancata disponibilità a togliere il velo durante l’eventuale prestazione lavorativa. La Corte d’Appello di Milano, riformando l’ordinanza di primo grado, ha dichiarato «il carattere discriminatorio del comportamento della società appellata».
2016
discriminazione religiosa
danno non patrimoniale
discriminazione diretta e indiretta
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/964171
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