Per parlare di ricerca storica al CNR occorre prima fermarsi sulla storia del CNR. Gli enti pubblici di ricerca nacquero attorno alla prima guerra mondiale per ragioni assai diverse dalle università, che risalgono al medioevo, e dalle accademie, nate nell’età moderna. Si è in generale d’accordo che fattore determinante fu l’attacco con i gas asfissianti lanciato dai tedeschi a Ypres il 22 aprile 1915, un evento che portò all’attenzione del mondo lo stato di avanzamento della ricerca scientifica in Germania, che con la Kaiser- Wilhelm Gesellschaft (poi Max-Planck Gesellschaft, fondata nel 1911 con primo presidente lo storico delle religioni Adolf Gustav von Harnack) aveva creato il primo modello efficace di ricerca extra-universitaria ed extra-accademica. Istituito il 18 novembre 1923, il CNR fu il primo ente in Italia a promuovere la ricerca scientifica e tecnologica. La sua storia ha coinciso con un’impresa nata sul terreno dei rapporti internazionali e cresciuta all’intersezione di scienza, tecnologia e politica. I rapporti internazionali sono noti: l’Italia fu tra i soci fondatori sia della International Association of Academies (1899), destinata a diventare quella che oggi è la Interacademy Partnership, sia dello International Research Council (1919), che nel 1931 prenderà il nome di International Council of Scientific Unions. Altrettanto noto è che il padre del CNR fu senza ombra di dubbio Vito Volterra, che per dar corpo allo spirito di progresso che vedeva nel paese aveva dato vita alla Società italiana per il progresso delle scienze (1907). L’internazionalismo della ricerca anteguerra subì un brusco rallentamento a causa della prima guerra mondiale e Ypres, appunto, fu la data della svolta. Fu sempre Volterra, che valendosi della sua temporanea ma formale posizione di militare (fu tenente e poi capitano del Genio per quasi tutta la durata del conflitto), si adoprò per l’istituzione dell’Ufficio invenzioni e ricerche del Ministero della Guerra (1917). Un ufficio dedicato a «speciali servizi di ricerche di Chimica, Fisica, Mineralogia e Ingegneria» che aprì la strada al CNR, pensato nell’immediato dopoguerra per «organizzare e promuovere ricerche a scopo scientifico industriale e per la difesa nazionale, secondo il piano proposto dalle conferenze interalleate per la organizzazione scientifica tenute a Londra e a Parigi dal 26 al 29 novembre 1918», con i ministeri militari che conservavano sì la precedenza, ma perdevano la preminenza, poiché il ruolo guida era preso dal Ministero della Pubblica Istruzione. Fin qui fatti noti, ripresi con giustificata enfasi nel 2013, in occasione del novantesimo anniversario dell’ente. Meno noto e però decisivo è che il Regio decreto 8 novembre 1923 n. 2895, con il quale Vittorio Emanuele III (con Benito Mussolini capo del governo e Giovanni Gentile ministro della Pubblica Istruzione) istituiva il CNR, istituiva anche l’Unione accademica nazionale, esistente tuttora. Non a caso, i due enti morali CNR e l’UAN trovarono subito casa presso l’Accademia nazionale dei Lincei. Il risultato fu che fino alla riforma dell’ente elaborata da Riccardo Orestano e approvata dal Parlamento della Repubblica con la legge 2 marzo 1963, n. 283, il CNR non si occupò affatto di scienze umane e sociali, bensì di «a) le scienze matematiche, di osservazione e di misura; b) la meccanica e l’ingegneria; c) la fisica e le sue applicazioni; d) la chimica e le sue applicazioni; e) l’aerodinamica e le sue applicazioni; f) la mineralogia, la geologia e l’arte mineraria; g) le scienze biologiche e le loro applicazioni, soprattutto all’agricoltura e alla zootecnia; h) le applicazioni interessanti la difesa nazionale». Le scienze umane e sociali il re e la Repubblica le lasciarono alle università, alle accademie e all’Istituto storico italiano (1883) e poi alla Giunta centrale per gli studi storici (1934). Con la riforma del 1963, il CNR ha reso possibile una notevole evoluzione del contesto scientifico delle scienze umane e sociali, che ha messo capo a importanti scoperte tecnologiche – un esempio per tutti sono le biblioteche digitali, che al CNR sono attive dal 1964 –, e ad altrettanto importanti applicazioni industriali: si pensi ad esempio all’evoluzione delle tecniche di restauro degli artefatti con la quale il CNR permise al paese di reagire con efficacia ai disastri provocati al patrimonio culturale dall’alluvione di Firenze del 1966. Il Comitato per le scienze storiche, filosofiche e filologiche si insediò il 20 aprile 1964 e fu presieduto da cattedratici insigni quali Carlo Gallavotti (1964-1967), Luigi Bulferetti (1968-1971), Silvio Palladini e Giovanni Pugliese Carratelli (1972-1976), Francesco Della Corte (1976-1981) e Giuseppe Bellini (1981-1988). Notava Tullio Gregory: La riforma del 1963 che portò nel CNR le scienze storiche, filosofiche, filologiche, giuridiche, economiche e sociologiche – tutto il complesso delle cosiddette scienze umane – segnò una data della cui importanza si è forse oggi perso il significato: si superava, a livello istituzionale, l’inutile disputa sulle due culture (che il saggio di Charles Percy Snow rilanciava nel 1964), inserendo le discipline umanistiche nel più ampio sistema della ricerca pubblica di cui il CNR costituiva il luogo privilegiato, destinato a supplire la progressiva deriva del sistema universitario. Con la riforma non solo si aprivano nuove possibilità di finanziamento per le ricerche nel campo delle scienze umane, ma si ponevano i presupposti per la creazione di strutture di ricerca dinamiche, dotate di proprio personale e impegnate in settori altamente specialistici, spesso assenti dai curriculi universitari. Nasceva infatti negli anni seguenti una rete di gruppi, centri, istituti del CNR rispondente alla più chiara consapevolezza che lo sviluppo del capitale immateriale proprio dei saperi umanistici è un presupposto essenziale per il progresso scientifico, economico, tecnologico del Paese. Peraltro, l’ingresso delle discipline umanistiche nella rete del CNR non solo ne ampliava le competenze, ma creava nuove sinergie fra le scienze umane e le cosiddette scienze dure o esatte. Dell’importanza della riforma del 1963 e delle nuove prospettive che essa apriva si rese immediatamente conto il mondo universitario, largamente rappresentato nei comitati di consulenza creati nel 1964, nei quali si impegnaro- no subito alcuni dei maggiori esponenti della cultura italiana. Così nel primo Comitato per le scienze storiche, filosofiche e filologiche venivano eletti, fra gli altri, Eugenio Garin e Giacomo Devoto, Francesco Gabrieli e Giulio Carlo Argan, Vittorio Santoli e Silvio Accame; nel Comitato per le scienze economiche, sociologiche e statistiche, Giorgio Dall’ Aglio, Giuseppe Ottaviani, Giovanni De Maria, Gino Martinoli; nel Comitato delle scienze giuridiche e politiche Giuseppe Barile, Massimo Severo Giannini, Riccardo Orestano, Salvatore Pugliatti, Renato Treves, per dir solo di alcuni.

La ricerca storica al CNR

POZZO, Riccardo
2018-01-01

Abstract

Per parlare di ricerca storica al CNR occorre prima fermarsi sulla storia del CNR. Gli enti pubblici di ricerca nacquero attorno alla prima guerra mondiale per ragioni assai diverse dalle università, che risalgono al medioevo, e dalle accademie, nate nell’età moderna. Si è in generale d’accordo che fattore determinante fu l’attacco con i gas asfissianti lanciato dai tedeschi a Ypres il 22 aprile 1915, un evento che portò all’attenzione del mondo lo stato di avanzamento della ricerca scientifica in Germania, che con la Kaiser- Wilhelm Gesellschaft (poi Max-Planck Gesellschaft, fondata nel 1911 con primo presidente lo storico delle religioni Adolf Gustav von Harnack) aveva creato il primo modello efficace di ricerca extra-universitaria ed extra-accademica. Istituito il 18 novembre 1923, il CNR fu il primo ente in Italia a promuovere la ricerca scientifica e tecnologica. La sua storia ha coinciso con un’impresa nata sul terreno dei rapporti internazionali e cresciuta all’intersezione di scienza, tecnologia e politica. I rapporti internazionali sono noti: l’Italia fu tra i soci fondatori sia della International Association of Academies (1899), destinata a diventare quella che oggi è la Interacademy Partnership, sia dello International Research Council (1919), che nel 1931 prenderà il nome di International Council of Scientific Unions. Altrettanto noto è che il padre del CNR fu senza ombra di dubbio Vito Volterra, che per dar corpo allo spirito di progresso che vedeva nel paese aveva dato vita alla Società italiana per il progresso delle scienze (1907). L’internazionalismo della ricerca anteguerra subì un brusco rallentamento a causa della prima guerra mondiale e Ypres, appunto, fu la data della svolta. Fu sempre Volterra, che valendosi della sua temporanea ma formale posizione di militare (fu tenente e poi capitano del Genio per quasi tutta la durata del conflitto), si adoprò per l’istituzione dell’Ufficio invenzioni e ricerche del Ministero della Guerra (1917). Un ufficio dedicato a «speciali servizi di ricerche di Chimica, Fisica, Mineralogia e Ingegneria» che aprì la strada al CNR, pensato nell’immediato dopoguerra per «organizzare e promuovere ricerche a scopo scientifico industriale e per la difesa nazionale, secondo il piano proposto dalle conferenze interalleate per la organizzazione scientifica tenute a Londra e a Parigi dal 26 al 29 novembre 1918», con i ministeri militari che conservavano sì la precedenza, ma perdevano la preminenza, poiché il ruolo guida era preso dal Ministero della Pubblica Istruzione. Fin qui fatti noti, ripresi con giustificata enfasi nel 2013, in occasione del novantesimo anniversario dell’ente. Meno noto e però decisivo è che il Regio decreto 8 novembre 1923 n. 2895, con il quale Vittorio Emanuele III (con Benito Mussolini capo del governo e Giovanni Gentile ministro della Pubblica Istruzione) istituiva il CNR, istituiva anche l’Unione accademica nazionale, esistente tuttora. Non a caso, i due enti morali CNR e l’UAN trovarono subito casa presso l’Accademia nazionale dei Lincei. Il risultato fu che fino alla riforma dell’ente elaborata da Riccardo Orestano e approvata dal Parlamento della Repubblica con la legge 2 marzo 1963, n. 283, il CNR non si occupò affatto di scienze umane e sociali, bensì di «a) le scienze matematiche, di osservazione e di misura; b) la meccanica e l’ingegneria; c) la fisica e le sue applicazioni; d) la chimica e le sue applicazioni; e) l’aerodinamica e le sue applicazioni; f) la mineralogia, la geologia e l’arte mineraria; g) le scienze biologiche e le loro applicazioni, soprattutto all’agricoltura e alla zootecnia; h) le applicazioni interessanti la difesa nazionale». Le scienze umane e sociali il re e la Repubblica le lasciarono alle università, alle accademie e all’Istituto storico italiano (1883) e poi alla Giunta centrale per gli studi storici (1934). Con la riforma del 1963, il CNR ha reso possibile una notevole evoluzione del contesto scientifico delle scienze umane e sociali, che ha messo capo a importanti scoperte tecnologiche – un esempio per tutti sono le biblioteche digitali, che al CNR sono attive dal 1964 –, e ad altrettanto importanti applicazioni industriali: si pensi ad esempio all’evoluzione delle tecniche di restauro degli artefatti con la quale il CNR permise al paese di reagire con efficacia ai disastri provocati al patrimonio culturale dall’alluvione di Firenze del 1966. Il Comitato per le scienze storiche, filosofiche e filologiche si insediò il 20 aprile 1964 e fu presieduto da cattedratici insigni quali Carlo Gallavotti (1964-1967), Luigi Bulferetti (1968-1971), Silvio Palladini e Giovanni Pugliese Carratelli (1972-1976), Francesco Della Corte (1976-1981) e Giuseppe Bellini (1981-1988). Notava Tullio Gregory: La riforma del 1963 che portò nel CNR le scienze storiche, filosofiche, filologiche, giuridiche, economiche e sociologiche – tutto il complesso delle cosiddette scienze umane – segnò una data della cui importanza si è forse oggi perso il significato: si superava, a livello istituzionale, l’inutile disputa sulle due culture (che il saggio di Charles Percy Snow rilanciava nel 1964), inserendo le discipline umanistiche nel più ampio sistema della ricerca pubblica di cui il CNR costituiva il luogo privilegiato, destinato a supplire la progressiva deriva del sistema universitario. Con la riforma non solo si aprivano nuove possibilità di finanziamento per le ricerche nel campo delle scienze umane, ma si ponevano i presupposti per la creazione di strutture di ricerca dinamiche, dotate di proprio personale e impegnate in settori altamente specialistici, spesso assenti dai curriculi universitari. Nasceva infatti negli anni seguenti una rete di gruppi, centri, istituti del CNR rispondente alla più chiara consapevolezza che lo sviluppo del capitale immateriale proprio dei saperi umanistici è un presupposto essenziale per il progresso scientifico, economico, tecnologico del Paese. Peraltro, l’ingresso delle discipline umanistiche nella rete del CNR non solo ne ampliava le competenze, ma creava nuove sinergie fra le scienze umane e le cosiddette scienze dure o esatte. Dell’importanza della riforma del 1963 e delle nuove prospettive che essa apriva si rese immediatamente conto il mondo universitario, largamente rappresentato nei comitati di consulenza creati nel 1964, nei quali si impegnaro- no subito alcuni dei maggiori esponenti della cultura italiana. Così nel primo Comitato per le scienze storiche, filosofiche e filologiche venivano eletti, fra gli altri, Eugenio Garin e Giacomo Devoto, Francesco Gabrieli e Giulio Carlo Argan, Vittorio Santoli e Silvio Accame; nel Comitato per le scienze economiche, sociologiche e statistiche, Giorgio Dall’ Aglio, Giuseppe Ottaviani, Giovanni De Maria, Gino Martinoli; nel Comitato delle scienze giuridiche e politiche Giuseppe Barile, Massimo Severo Giannini, Riccardo Orestano, Salvatore Pugliatti, Renato Treves, per dir solo di alcuni.
2018
9788867287765
storia delle istituzioni
enti di ricerca
scienze storiche
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/896582
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