Il contributo parla dell'istituto processuale del legittimo impedimento in relazione a un conflitto di attribuzioni fra il Presidente del Consiglio e il Tribunale di Milano, sollevato dal primo dopo il rigetto della richiesta di rinvio di un'udienza dibattimentale precedentemente concordata, calendarizzata nell’àmbito di un processo penale in cui egli era imputato. Descritta la vicenda che ha originato il conflitto, lo scritto richiama la giurisprudenza costituzionale in materia, secondo la quale la disciplina prevista dall’art. 420-ter c.p.p. impone al giudice di valutare in concreto, ai fini del rinvio dell’udienza, non solo la sussistenza in fatto dell’impedimento, ma anche il carattere assoluto e attuale dello stesso. Il comportamento del giudice — secondo la stessa giurisprudenza — deve essere rispettoso del principio di leale collaborazione, che ha carattere «bidirezionale»: se è obbligo del giudice ridurre al minimo possibile l’incidenza indiretta della sua attività su quella del titolare della carica governativa, è obbligo del Presidente del Consiglio coinvolto in un processo penale come imputato limitare il più possibile l’incidenza della sua attività sulla funzione giurisdizionale. Lo scritto analizza, poi, la sentenza n. 168/2013, con cui la Corte costituzionale ha risolto il conflitto di attribuzioni. Si osserva che, applicando al caso concreto quanto stabilito dalla sentenza n. 23/2011, la Corte non ha introdotto elementi di sostanziale novità nella giurisprudenza costituzionale. Essa ha confermato che, per i membri del Governo, non possono esserci regole derogatorie riguardo al legittimo impedimento e che, pertanto, deve valere il diritto comune, da attuarsi però secondo il principio di leale collaborazione, il quale impone al Presidente del Consiglio di fornire al giudice «allegazioni» circa la necessaria coincidenza fra l’impegno governativo e l’udienza penale. L’applicazione di detto principio dovrebbe assicurare un rapporto equilibrato fra il potere esecutivo e il potere giudiziario, spingendo entrambi a operare affinché tutti gli interessi costituzionalmente rilevanti che sono coinvolti — l’esercizio della funzione di governo, la difesa dell’imputato e la ragionevole durata del processo — possano essere tutelati nel rispetto della sfera di autonomia dell’uno e dell’altro.
L'impedimento del Presidente del Consiglio a partecipare alle udienze penali e il principio di leale collaborazione fra i poteri dello Stato
FERRI, Giampietro
Writing – Original Draft Preparation
2013-01-01
Abstract
Il contributo parla dell'istituto processuale del legittimo impedimento in relazione a un conflitto di attribuzioni fra il Presidente del Consiglio e il Tribunale di Milano, sollevato dal primo dopo il rigetto della richiesta di rinvio di un'udienza dibattimentale precedentemente concordata, calendarizzata nell’àmbito di un processo penale in cui egli era imputato. Descritta la vicenda che ha originato il conflitto, lo scritto richiama la giurisprudenza costituzionale in materia, secondo la quale la disciplina prevista dall’art. 420-ter c.p.p. impone al giudice di valutare in concreto, ai fini del rinvio dell’udienza, non solo la sussistenza in fatto dell’impedimento, ma anche il carattere assoluto e attuale dello stesso. Il comportamento del giudice — secondo la stessa giurisprudenza — deve essere rispettoso del principio di leale collaborazione, che ha carattere «bidirezionale»: se è obbligo del giudice ridurre al minimo possibile l’incidenza indiretta della sua attività su quella del titolare della carica governativa, è obbligo del Presidente del Consiglio coinvolto in un processo penale come imputato limitare il più possibile l’incidenza della sua attività sulla funzione giurisdizionale. Lo scritto analizza, poi, la sentenza n. 168/2013, con cui la Corte costituzionale ha risolto il conflitto di attribuzioni. Si osserva che, applicando al caso concreto quanto stabilito dalla sentenza n. 23/2011, la Corte non ha introdotto elementi di sostanziale novità nella giurisprudenza costituzionale. Essa ha confermato che, per i membri del Governo, non possono esserci regole derogatorie riguardo al legittimo impedimento e che, pertanto, deve valere il diritto comune, da attuarsi però secondo il principio di leale collaborazione, il quale impone al Presidente del Consiglio di fornire al giudice «allegazioni» circa la necessaria coincidenza fra l’impegno governativo e l’udienza penale. L’applicazione di detto principio dovrebbe assicurare un rapporto equilibrato fra il potere esecutivo e il potere giudiziario, spingendo entrambi a operare affinché tutti gli interessi costituzionalmente rilevanti che sono coinvolti — l’esercizio della funzione di governo, la difesa dell’imputato e la ragionevole durata del processo — possano essere tutelati nel rispetto della sfera di autonomia dell’uno e dell’altro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.