Prendendo spunto dalla vicenda riguardante la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, si affronta il problema degli effetti dell'abrogazione referendaria alla luce della giurisprudenza costituzionale. Lo scritto incomincia con l'esame dei precedenti giurisprudenziali risalenti agli anni Novanta del secolo scorso, dai quali si evince la sussistenza di un vincolo per il legislatore rappresentativo, mancando però indicazioni circa la durata del «divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare». Lo scritto, fatti alcuni cenni ai referendum "sull'acqua pubblica" del 2011 e ai conseguenti mutamenti legislativi, prosegue analizzando la sentenza n. 199 del 2012, con cui la Corte costituzionale ha per la prima volta dichiarato l'illegittimità costituzionale di una norma — l'art. 4 del decreto legge n. 138 del 2011 — per violazione del suddetto divieto. Si tratta di un divieto valevole per un periodo di tempo limitato. Infatti, la Corte ha affermato che il divieto decade con il mutamento del «quadro politico», ossia — secondo l'interpretazione che sembra più convincente — con il rinnovo delle Camere, oppure con il mutamento delle «circostanze di fatto», non potendo escludersi che prima della fine della legislatura accadano eventi che inducono gli elettori a un ripensamento. Lo scritto, che mostra apprezzamento per la posizione di equilibrio assunta dalla Corte, si conclude osservando che la soluzione da essa formulata presenta tuttavia aspetti problematici, non permettendo al Parlamento e al Governo di intervenire subito per bloccare eventuali effetti negativi dell’abrogazione referendaria non previsti dai votanti, e introducendo una disarmonia nella giurisprudenza costituzionale. Infatti, la giurisprudenza ammette che il Parlamento possa evitare il referendum abrogativo modificando sostanzialmente la normativa compresa nel quesito. Poiché tale modifica avviene con una legge che potrebbe essere oggetto di una successiva modifica con cui vengono reintrodotte le norme vigenti al momento della presentazione della richiesta referendaria, e poiché quindi esiste per il legislatore rappresentativo la possibilità di prevenire l’insorgenza di vincoli a suo carico derivanti dalla pronuncia popolare, la Corte dovrebbe allora stabilire che lo stesso legislatore, prima del referendum, non può intervenire sulla normativa compresa nel quesito.

Abrogazione popolare e vincolo per il Legislatore: il divieto di ripristino vale finché non intervenga un cambiamento del «quadro politico» o delle «circostanze di fatto»

FERRI, Giampietro
Writing – Original Draft Preparation
2013-01-01

Abstract

Prendendo spunto dalla vicenda riguardante la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, si affronta il problema degli effetti dell'abrogazione referendaria alla luce della giurisprudenza costituzionale. Lo scritto incomincia con l'esame dei precedenti giurisprudenziali risalenti agli anni Novanta del secolo scorso, dai quali si evince la sussistenza di un vincolo per il legislatore rappresentativo, mancando però indicazioni circa la durata del «divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare». Lo scritto, fatti alcuni cenni ai referendum "sull'acqua pubblica" del 2011 e ai conseguenti mutamenti legislativi, prosegue analizzando la sentenza n. 199 del 2012, con cui la Corte costituzionale ha per la prima volta dichiarato l'illegittimità costituzionale di una norma — l'art. 4 del decreto legge n. 138 del 2011 — per violazione del suddetto divieto. Si tratta di un divieto valevole per un periodo di tempo limitato. Infatti, la Corte ha affermato che il divieto decade con il mutamento del «quadro politico», ossia — secondo l'interpretazione che sembra più convincente — con il rinnovo delle Camere, oppure con il mutamento delle «circostanze di fatto», non potendo escludersi che prima della fine della legislatura accadano eventi che inducono gli elettori a un ripensamento. Lo scritto, che mostra apprezzamento per la posizione di equilibrio assunta dalla Corte, si conclude osservando che la soluzione da essa formulata presenta tuttavia aspetti problematici, non permettendo al Parlamento e al Governo di intervenire subito per bloccare eventuali effetti negativi dell’abrogazione referendaria non previsti dai votanti, e introducendo una disarmonia nella giurisprudenza costituzionale. Infatti, la giurisprudenza ammette che il Parlamento possa evitare il referendum abrogativo modificando sostanzialmente la normativa compresa nel quesito. Poiché tale modifica avviene con una legge che potrebbe essere oggetto di una successiva modifica con cui vengono reintrodotte le norme vigenti al momento della presentazione della richiesta referendaria, e poiché quindi esiste per il legislatore rappresentativo la possibilità di prevenire l’insorgenza di vincoli a suo carico derivanti dalla pronuncia popolare, la Corte dovrebbe allora stabilire che lo stesso legislatore, prima del referendum, non può intervenire sulla normativa compresa nel quesito.
2013
referendum, abrogazione, divieto di ripristino della normativa abrogata, quadro politico, circostanze di fatto, Corte costituzionale
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