A commento delle censure di costituzionalità avanzate dal TAR Lazio, Roma, Sez. III-quater, sent. 398/2008, si critica la fondatezza del presupposto da cui muove la pronuncia: quello della tutela “affievolita” che la legge 40/2004 appresterebbe nei riguardi dell’embrione. Il Giudice romano si espone invero alla critica di non aver saputo cogliere le dissimili sfumature di significato che il termine “embrione” assume nel corpo della legge 40, a seconda che l’oggetto concreto su cui ricadono le diverse prescrizioni coincida con l’ovocita già fecondato (quindi con il concepito) ovvero si riferisca ai gameti maschile e femminile, congiuntamente considerati per la loro potenzialità di unirsi (naturalmente o artificialmente) nel fatto fecondativo. Si tratta cioè – volendo ricorrere alla distinzione aristotelica – di discernere tra “embrione in atto” e “embrione in potenza”, individuando nel momento fecondativo il punto d’attualizzazione. È una distinzione che emerge ripetutamente nelle pieghe della legge 40 e che si riscontra altresì nelle norme impugnate. L’analisi del testo normativo mette chiaramente in evidenza come lo statuto giuridico dell’embrione vari notevolmente a seconda che lo si consideri “in atto” ovvero “in potenza”. Soltanto nella prima ipotesi viene in rilievo la direttiva contenuta nell’art. 1 della legge, che impone la tutela dei diritti del concepito. Il fatto è che i gameti maschili e femminili, quand’anche congiuntamente considerati alla stregua di embrione in potenza, non sono affatto assunti dal Legislatore quali soggetti di diritti: costituiscono piuttosto meri oggetti, di cui può liberamente disporsi nei limiti prescritti dall’ordinamento. E tutte le volte in cui il Legislatore impone limitazioni e cautele a chi ne ha la disponibilità, lo fa non certo per tutelare – in modo “affievolito” – loro presunti diritti, quanto piuttosto per salvaguardare «i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Al contrario, l’embrione in atto è – sin da quando esso può riconoscersi come tale, cioè sin dal momento della fecondazione – sottratto alla disponibilità degli altri individui, proprio per il rispetto dovuto nei riguardi della sua dignità di soggetto che la legge 40 espressamente riconosce. Posta questa fondamentale distinzione, è facile verificare come la tutela che la legge 40 appresta nei riguardi del concepito sia assoluta – non certo “affievolita” – nel senso che il Legislatore assicura il più elevato livello di tutela concretamente configurabile. Pare corretto affermare che, in una lettura sistemica della legge 40, l’unico legittimo trattamento dell’embrione (in atto) consista nel suo trasferimento in utero. Nell’utero, poi, l’embrione potrà – secondo natura – attecchire (e svilupparsi) o non attecchire; ma questa possibilità di sopravvivenza e naturale sviluppo non può legittimamente essergli tolta. È un suo diritto, che il Legislatore riconosce e tutela.

Irragionevolezza delle norme o opacità dell'interpretazione? La tutela dell'embrione alla luce della distinzione aristotelica fra atto e potenza

ANDRETTO, Luca;
2008-01-01

Abstract

A commento delle censure di costituzionalità avanzate dal TAR Lazio, Roma, Sez. III-quater, sent. 398/2008, si critica la fondatezza del presupposto da cui muove la pronuncia: quello della tutela “affievolita” che la legge 40/2004 appresterebbe nei riguardi dell’embrione. Il Giudice romano si espone invero alla critica di non aver saputo cogliere le dissimili sfumature di significato che il termine “embrione” assume nel corpo della legge 40, a seconda che l’oggetto concreto su cui ricadono le diverse prescrizioni coincida con l’ovocita già fecondato (quindi con il concepito) ovvero si riferisca ai gameti maschile e femminile, congiuntamente considerati per la loro potenzialità di unirsi (naturalmente o artificialmente) nel fatto fecondativo. Si tratta cioè – volendo ricorrere alla distinzione aristotelica – di discernere tra “embrione in atto” e “embrione in potenza”, individuando nel momento fecondativo il punto d’attualizzazione. È una distinzione che emerge ripetutamente nelle pieghe della legge 40 e che si riscontra altresì nelle norme impugnate. L’analisi del testo normativo mette chiaramente in evidenza come lo statuto giuridico dell’embrione vari notevolmente a seconda che lo si consideri “in atto” ovvero “in potenza”. Soltanto nella prima ipotesi viene in rilievo la direttiva contenuta nell’art. 1 della legge, che impone la tutela dei diritti del concepito. Il fatto è che i gameti maschili e femminili, quand’anche congiuntamente considerati alla stregua di embrione in potenza, non sono affatto assunti dal Legislatore quali soggetti di diritti: costituiscono piuttosto meri oggetti, di cui può liberamente disporsi nei limiti prescritti dall’ordinamento. E tutte le volte in cui il Legislatore impone limitazioni e cautele a chi ne ha la disponibilità, lo fa non certo per tutelare – in modo “affievolito” – loro presunti diritti, quanto piuttosto per salvaguardare «i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Al contrario, l’embrione in atto è – sin da quando esso può riconoscersi come tale, cioè sin dal momento della fecondazione – sottratto alla disponibilità degli altri individui, proprio per il rispetto dovuto nei riguardi della sua dignità di soggetto che la legge 40 espressamente riconosce. Posta questa fondamentale distinzione, è facile verificare come la tutela che la legge 40 appresta nei riguardi del concepito sia assoluta – non certo “affievolita” – nel senso che il Legislatore assicura il più elevato livello di tutela concretamente configurabile. Pare corretto affermare che, in una lettura sistemica della legge 40, l’unico legittimo trattamento dell’embrione (in atto) consista nel suo trasferimento in utero. Nell’utero, poi, l’embrione potrà – secondo natura – attecchire (e svilupparsi) o non attecchire; ma questa possibilità di sopravvivenza e naturale sviluppo non può legittimamente essergli tolta. È un suo diritto, che il Legislatore riconosce e tutela.
2008
embrione; tutela; legge 40; procreazione; assistita; fecondazione; atto; potenza
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/326450
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