Il lavoro intende porre a confronto le due trattazioni sul cosiddetto piacere puro ('alethès hedonè'), rispettivamente del 'Filebo' platonico (44d2 e 51b ss.) e dell’ 'Etica Nicomachea' aristotelica (K7, 1177a). In particolare Platone sostiene che piaceri puri sarebbero quelli veri, non supponenti un precedente dolore e tali da non lasciar dietro di sé uno strascico di dolore ('Resp'. 583b-586b) ed elenca fra essi anche il piacere del conoscere ('Phil'. 51e7-52a1; 'Phaed'. 114e). Aristotele avalla e riprende in qualche modo tale trattazione, ammettendo che la filosofia abbia in sé godimenti meravigliosi per piaceri e stabilità ('Eth. Nic.' K 7, 1177 a 25-26) nella celebrazione della vita teoretica nell’ultimo libro dell’opera, come tipo di vita capace di garantire all’uomo la più autentica felicità. Oltre le questioni storiche e redazionali dei due testi, il confronto intende mostrare: a) che Platone resta ancora aderente alla definizione tradizionale del piacere come processo o movimento ('ghènesis') e nello specifico come riempimento ('plèrosis') di una mancanza organica, per cui si gode nella misura in cui e per tutto il tempo in cui si soffre di tale mancanza, colmata la quale si cessa di soffrire ma anche di godere; b) che egli non propone una definizione rinnovata e allargata rispetto a quella tradizionale di piacere, definizione che inglobi la nuova categoria del piacere puro, nonostante egli affermi che l’ 'eidos' di tale piacere e diverso e persino opposto ('Phil'. 51e4) rispetto a quello dei piaceri misti a dolore; c) che è Aristotele, rilevata esplicitamente tale situazione problematica, ad assumersi il compito della ri-definizione del concetto, nell’ 'Etica Nicomachea', con la nuova definizione del piacere come “attività della disposizione secondo natura” (H 12, 1153 a 14), sulla base non solo del ben noto dibattito in merito fra le due scuole filosofiche, ma della sua propria importante distinzione fra movimento ('ghènesis') ed attività ('enèrgheia'); d) che solo tale nuova definizione legittima razionalmente il piacere puro, quando il piacere in generale sia inteso non più come movimento, cioè come 'ghènesis' o 'kìnesis', ma appunto come enèrgheia, dunque come qualcosa la cui struttura sarebbe non quella del movimento, cioè del semplice passaggio da (vuoto) a (pieno), bensì la stabilità orientata naturale dell’essere-in-vista-di-qualcosa.

Platone, Aristotele e il piacere puro

NAPOLITANO, Linda
2002-01-01

Abstract

Il lavoro intende porre a confronto le due trattazioni sul cosiddetto piacere puro ('alethès hedonè'), rispettivamente del 'Filebo' platonico (44d2 e 51b ss.) e dell’ 'Etica Nicomachea' aristotelica (K7, 1177a). In particolare Platone sostiene che piaceri puri sarebbero quelli veri, non supponenti un precedente dolore e tali da non lasciar dietro di sé uno strascico di dolore ('Resp'. 583b-586b) ed elenca fra essi anche il piacere del conoscere ('Phil'. 51e7-52a1; 'Phaed'. 114e). Aristotele avalla e riprende in qualche modo tale trattazione, ammettendo che la filosofia abbia in sé godimenti meravigliosi per piaceri e stabilità ('Eth. Nic.' K 7, 1177 a 25-26) nella celebrazione della vita teoretica nell’ultimo libro dell’opera, come tipo di vita capace di garantire all’uomo la più autentica felicità. Oltre le questioni storiche e redazionali dei due testi, il confronto intende mostrare: a) che Platone resta ancora aderente alla definizione tradizionale del piacere come processo o movimento ('ghènesis') e nello specifico come riempimento ('plèrosis') di una mancanza organica, per cui si gode nella misura in cui e per tutto il tempo in cui si soffre di tale mancanza, colmata la quale si cessa di soffrire ma anche di godere; b) che egli non propone una definizione rinnovata e allargata rispetto a quella tradizionale di piacere, definizione che inglobi la nuova categoria del piacere puro, nonostante egli affermi che l’ 'eidos' di tale piacere e diverso e persino opposto ('Phil'. 51e4) rispetto a quello dei piaceri misti a dolore; c) che è Aristotele, rilevata esplicitamente tale situazione problematica, ad assumersi il compito della ri-definizione del concetto, nell’ 'Etica Nicomachea', con la nuova definizione del piacere come “attività della disposizione secondo natura” (H 12, 1153 a 14), sulla base non solo del ben noto dibattito in merito fra le due scuole filosofiche, ma della sua propria importante distinzione fra movimento ('ghènesis') ed attività ('enèrgheia'); d) che solo tale nuova definizione legittima razionalmente il piacere puro, quando il piacere in generale sia inteso non più come movimento, cioè come 'ghènesis' o 'kìnesis', ma appunto come enèrgheia, dunque come qualcosa la cui struttura sarebbe non quella del movimento, cioè del semplice passaggio da (vuoto) a (pieno), bensì la stabilità orientata naturale dell’essere-in-vista-di-qualcosa.
2002
9788837219109
Platone; Aristotele; piaceri; piacere puro
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/318131
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