L’articolo rielabora, con l’aggiunta di note bibliografiche, l’intervento tenuto al Seminario di Ferrara sulle questioni decise dalla sentenza pronunciata pochi giorni prima, in data 3 maggio 2005, dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee nelle cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Silvio Berlusconi ed altri, in relazione alla nuova formulazione dei delitti di falso in bilancio (artt. 2621 e 2622 cod. civ.) introdotta dal d.lgsl. n. 61 del 2002. In particolare l’Autore sottolinea criticamente la preoccupazione della Corte di non scalfire l’assetto dei rapporti fra fonti comunitarie derivate (nella specie: direttive in materia societaria) e fonti nazionali pur contenenti una disciplina penale più favorevole al reo di quella vigente all’epoca della commissione dei fatti contestati, da ritenere più rispettosa del medesimo diritto comunitario. Pur non escludendo la Corte che la nuova legislazione penale italiana non tuteli adeguatamente gli interessi, non solo privatistici dei soci e dei creditori, ma anche collettivi dei terzi e del mercato, alla piena trasparenza e veridicità dei bilanci societari, che le fonti comunitarie intendono garantire, nondimeno ritiene – in dissenso con le conclusioni dell’Avvocato generale – che da questo tipo di fonti non possano discendere effetti sfavorevoli al reo in contrasto con il principio di retroattività della legge penale più mite, che avrebbe rilievo fra i “principi generali” dell’ordinamento comunitario, specie alla luce della Carta di Nizza. In tal modo, sottolinea l’Autore, pur non considerando la questione irricevibile, la Corte limita incongruamente gli effetti del primato del diritto comunitario rispetto a quello nazionale, per esigenze che sembrano riguardare la conservazione degli equilibri politico-istituzionali esistenti attualmente fra Comunità e Stati membri, le cui scelte politico-criminali non vengono sottoposte a sindacato. Una ragione di tale atteggiamento può essere rinvenuta nell’incerto assetto delle competenze europee in materia penale, che si auspica venga superata dall’ulteriore sviluppo dell’Unione europea prospettato dal Trattato istitutivo di una Costituzione per l’Europa, che esplicitamente le attribuisce competenze penali e, conseguentemente, legittima un più ampio sindacato in materia da parte della stessa Corte di Giustizia.
Ragioni politiche e “principi generali” nel sindacato di adeguatezza della lex mitior a tutela di precetti comunitari
PICOTTI, Lorenzo
2005-01-01
Abstract
L’articolo rielabora, con l’aggiunta di note bibliografiche, l’intervento tenuto al Seminario di Ferrara sulle questioni decise dalla sentenza pronunciata pochi giorni prima, in data 3 maggio 2005, dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee nelle cause riunite C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Silvio Berlusconi ed altri, in relazione alla nuova formulazione dei delitti di falso in bilancio (artt. 2621 e 2622 cod. civ.) introdotta dal d.lgsl. n. 61 del 2002. In particolare l’Autore sottolinea criticamente la preoccupazione della Corte di non scalfire l’assetto dei rapporti fra fonti comunitarie derivate (nella specie: direttive in materia societaria) e fonti nazionali pur contenenti una disciplina penale più favorevole al reo di quella vigente all’epoca della commissione dei fatti contestati, da ritenere più rispettosa del medesimo diritto comunitario. Pur non escludendo la Corte che la nuova legislazione penale italiana non tuteli adeguatamente gli interessi, non solo privatistici dei soci e dei creditori, ma anche collettivi dei terzi e del mercato, alla piena trasparenza e veridicità dei bilanci societari, che le fonti comunitarie intendono garantire, nondimeno ritiene – in dissenso con le conclusioni dell’Avvocato generale – che da questo tipo di fonti non possano discendere effetti sfavorevoli al reo in contrasto con il principio di retroattività della legge penale più mite, che avrebbe rilievo fra i “principi generali” dell’ordinamento comunitario, specie alla luce della Carta di Nizza. In tal modo, sottolinea l’Autore, pur non considerando la questione irricevibile, la Corte limita incongruamente gli effetti del primato del diritto comunitario rispetto a quello nazionale, per esigenze che sembrano riguardare la conservazione degli equilibri politico-istituzionali esistenti attualmente fra Comunità e Stati membri, le cui scelte politico-criminali non vengono sottoposte a sindacato. Una ragione di tale atteggiamento può essere rinvenuta nell’incerto assetto delle competenze europee in materia penale, che si auspica venga superata dall’ulteriore sviluppo dell’Unione europea prospettato dal Trattato istitutivo di una Costituzione per l’Europa, che esplicitamente le attribuisce competenze penali e, conseguentemente, legittima un più ampio sindacato in materia da parte della stessa Corte di Giustizia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.