Con la sentenza n. 157 del 2023, la Corte costituzionale ha risolto il conflitto di attribuzioni fra la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura e la Camera dei deputati dichiarando che non spettava alla seconda negare l’autorizzazione, richiesta dalla prima, all’utilizzo di captazioni informatiche di conversazioni del deputato Cosimo Maria Ferri — magistrato ordinario collocato fuori ruolo per lo svolgimento del mandato parlamentare — e annullando la delibera di diniego dell’autorizzazione approvata dalla Camera sul presupposto che l’attività di indagine svolta nel corso di un procedimento penale nei confronti di un soggetto estraneo al Parlamento fosse diretta ad accedere alla sfera di comunicazioni dell’on. Ferri. Richiamate le norme di attuazione dell'art. 68, comma 3, Cost., che prevedono l'autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza per le intercettazioni dirette, ossia disposte nei confronti del parlamentare, e l'autorizzazione successiva per le intercettazioni indirette, disposte nei confronti di terzi, ma coinvolgenti il parlamentare (artt. 4 e 6 della l. n. 140 del 2003); ripercorsa la precedente giurisprudenza costituzionale riguardante le intercettazioni indirette dei parlamentari (secondo cui, per escluderne la casualità, è necessario che, in base ai rapporti intercorrenti con i terzi direttamente intercettati, il parlamentare possa essere raffigurato come il bersaglio dell’attività di investigazione, risultando concreta e attuale l’ipotesi di una intromissione nelle sue comunicazioni), l'autore mette in evidenza la particolarità del caso esaminato dalla Corte, rappresentata dal fatto che il procedimento all’interno del quale si è posto il problema dell’utilizzazione delle intercettazioni (procedimento disciplinare) è diverso da quello all’interno del quale esse sono state effettuate (procedimento penale). La Corte ha affermato che la circostanza che a carico del parlamentare non vi siano indizi di reità non può di per sé «escludere il carattere mirato degli atti di indagine» (cioè la non occasionalità delle intercettazioni), precisando però che tale circostanza «rileva nel senso di ritenere già prima facie corretto l’agire dell’organo richiedente l’autorizzazione successiva e non incongrua la motivazione posta a fondamento della richiesta». Non si tratta di una presunzione assoluta, perché ammette la prova contraria. Ma è una prova difficile da produrre, atteso che il carattere ‘mirato’ dell’intercettazione dovrebbe essere «avvalorato da elementi connotati da particolare evidenza»: elementi che, nel caso specifico, ad avviso della Corte costituzionale non esistevano. L'autore osserva, in conclusione, che sarebbe stato probabilmente irrealistico ipotizzare un esito di segno opposto, anche alla luce delle precedenti decisioni della Corte di cassazione nell’ambito della stessa vicenda giudiziaria.

Intercettazioni indirette del parlamentare-magistrato e loro utilizzo nel giudizio davanti alla Sezione disciplinare del C.S.M.

Ferri Giampietro
Writing – Original Draft Preparation
2023-01-01

Abstract

Con la sentenza n. 157 del 2023, la Corte costituzionale ha risolto il conflitto di attribuzioni fra la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura e la Camera dei deputati dichiarando che non spettava alla seconda negare l’autorizzazione, richiesta dalla prima, all’utilizzo di captazioni informatiche di conversazioni del deputato Cosimo Maria Ferri — magistrato ordinario collocato fuori ruolo per lo svolgimento del mandato parlamentare — e annullando la delibera di diniego dell’autorizzazione approvata dalla Camera sul presupposto che l’attività di indagine svolta nel corso di un procedimento penale nei confronti di un soggetto estraneo al Parlamento fosse diretta ad accedere alla sfera di comunicazioni dell’on. Ferri. Richiamate le norme di attuazione dell'art. 68, comma 3, Cost., che prevedono l'autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza per le intercettazioni dirette, ossia disposte nei confronti del parlamentare, e l'autorizzazione successiva per le intercettazioni indirette, disposte nei confronti di terzi, ma coinvolgenti il parlamentare (artt. 4 e 6 della l. n. 140 del 2003); ripercorsa la precedente giurisprudenza costituzionale riguardante le intercettazioni indirette dei parlamentari (secondo cui, per escluderne la casualità, è necessario che, in base ai rapporti intercorrenti con i terzi direttamente intercettati, il parlamentare possa essere raffigurato come il bersaglio dell’attività di investigazione, risultando concreta e attuale l’ipotesi di una intromissione nelle sue comunicazioni), l'autore mette in evidenza la particolarità del caso esaminato dalla Corte, rappresentata dal fatto che il procedimento all’interno del quale si è posto il problema dell’utilizzazione delle intercettazioni (procedimento disciplinare) è diverso da quello all’interno del quale esse sono state effettuate (procedimento penale). La Corte ha affermato che la circostanza che a carico del parlamentare non vi siano indizi di reità non può di per sé «escludere il carattere mirato degli atti di indagine» (cioè la non occasionalità delle intercettazioni), precisando però che tale circostanza «rileva nel senso di ritenere già prima facie corretto l’agire dell’organo richiedente l’autorizzazione successiva e non incongrua la motivazione posta a fondamento della richiesta». Non si tratta di una presunzione assoluta, perché ammette la prova contraria. Ma è una prova difficile da produrre, atteso che il carattere ‘mirato’ dell’intercettazione dovrebbe essere «avvalorato da elementi connotati da particolare evidenza»: elementi che, nel caso specifico, ad avviso della Corte costituzionale non esistevano. L'autore osserva, in conclusione, che sarebbe stato probabilmente irrealistico ipotizzare un esito di segno opposto, anche alla luce delle precedenti decisioni della Corte di cassazione nell’ambito della stessa vicenda giudiziaria.
2023
immunità parlamentari, intercettazioni indirette, conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, Corte costituzionale
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