Sappiamo molto su processi, indicatori e metriche per la comunicazione scientifica e il trasferimento della conoscenza delle scienze dure, ma sappiamo ancora troppo poco su quelli delle scienze umane e sociali. È urgente individuare i presupposti per una loro migliore valutazione. Si tratta di un’impresa non impossibile, a patto che si trovi consenso su un massimo comun denominatore e si metta a fuoco un approccio epistemico che affronti la domanda di come le comunità scientifiche delle scienze umane e sociali possano produrre conoscenze valide, nel senso di valutabili. Questa la sfida del volume curato da Andrea Bonaccorsi (si veda anche il suo La valutazione possibile, il Mulino 2015), al quale hanno collaborato autori provenienti dalle università, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dalla Fondazione Bruno Kessler, dal mondo delle biblioteche e dalla stessa Agenzia per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, istituita nel 2006. Con quali criteri valutare la ricerca nelle scienze umane e sociali? Quale ruolo attribuire ai libri e alle monografie? Come classificare le riviste? Cosa dire della bibliometria di Google Scholar e dei cataloghi delle biblioteche e, infine, in che direzione le scienze umane e sociali possono fare attività di terza missione? Queste le domande affrontate nelle prime quattro parti del volume, che si chiude con una quinta domanda, cosa imparare dall’esperienza italiana, affrontata dalla biblioteconomista danese Alesia Zuccala, la quale osserva come lo sforzo compiuto in Italia verso una cultura pluralistica della valutazione presenti più opportunità, ben più dell’adesione a ideali forzati, per unire paesi e nazionalità nel rispetto delle differenze. Il volume descrive e spiega le buone pratiche e le lezioni apprese dell’esperienza italiana durante le valutazioni della qualità della ricerca del 2004-2010 e del 2011-2014, nonché durante le annate di abilitazione scientifica nazionale 2012-2014. Per fare un esempio celebre, il contesto italiano offre un’opportunità senza precedenti di esaminare su larga scala la vexata quaestio delle riviste di classe A, che viene considerata analiticamente (pp. 253-267) in quanto esperimento controllato per mettere alla prova la robustezza della classificazione di riviste sulla base di due processi di valutazione indipendenti: l’uno condotto sui singoli articoli da parte di migliaia di valutatori anonimi, e l’altro condotto sulle stesse riviste da gruppi di esperti in sinergia con le associazioni scientifiche disciplinari. In queste condizioni, un classico approccio a regressione multipla trova giustificazione piena e fornisce dati che dimostrano la validità della classificazione delle riviste rispetto alla previsione della qualità media dei singoli articoli, sebbene rimanga e debba rimanere variabilità attorno ai valori previsti. È indubbio che l’esperienza italiana proponga agli studiosi dei dati che sono di grande rilievo per le discussioni dei prossimi anni. In primo luogo, perché in Italia è stato condotto il processo di valutazione più ampio e comprensivo tra i grandi paesi europei. In secondo luogo, perché per ragioni storiche nel nostro paese interi settori delle scienze umane, dalla filologia alla storia dell’arte e all’archeologia, hanno una lunga tradizione che risale al Medioevo e al Rinascimento; e infatti le comunità italiane delle scienze umane e sociali sono vivaci, aprono dibattiti e prendono iniziative. In terzo luogo, è stata la stessa Agenzia a finanziare progetti di ricerca originali che hanno permesso a ricercatori in una varietà di settori di impegnarsi in studi teorici e empirici con l’obiettivo di migliorare le pratiche di valutazione. L’idea di fondo è che criteri relativi alla qualità della ricerca di fatto esistano nella prassi delle comunità delle scienze umane e sociali, ma richiedano un lungo processo di conversazione ed elicitazione che necessita di essere formulato in termini linguistici, reso riflessivo e posto nello spazio pubblico. In questa prospettiva, la valutazione diventa un processo democratico, nel quale le decisioni vengono poste sotto i riflettori dell’opinione pubblica, dalla quale richiedono giustificazione. Risultati tanto più preziosi, oggi, quando recenti documenti ministeriali mettono in discussione il futuro dell’Agenzia. Andrea Bonaccorsi (ed.), The Evaluation of Research in Social Sciences and Humanities: Lessons from the Italian Experience, Springer, Berlin 2018, ISBN 9783319685533, 416 p.

Lezione italiana: La sfida (possibile) per la valutazione della ricerca nelle scienze umane

Pozzo, Riccardo
2019-01-01

Abstract

Sappiamo molto su processi, indicatori e metriche per la comunicazione scientifica e il trasferimento della conoscenza delle scienze dure, ma sappiamo ancora troppo poco su quelli delle scienze umane e sociali. È urgente individuare i presupposti per una loro migliore valutazione. Si tratta di un’impresa non impossibile, a patto che si trovi consenso su un massimo comun denominatore e si metta a fuoco un approccio epistemico che affronti la domanda di come le comunità scientifiche delle scienze umane e sociali possano produrre conoscenze valide, nel senso di valutabili. Questa la sfida del volume curato da Andrea Bonaccorsi (si veda anche il suo La valutazione possibile, il Mulino 2015), al quale hanno collaborato autori provenienti dalle università, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dalla Fondazione Bruno Kessler, dal mondo delle biblioteche e dalla stessa Agenzia per la Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, istituita nel 2006. Con quali criteri valutare la ricerca nelle scienze umane e sociali? Quale ruolo attribuire ai libri e alle monografie? Come classificare le riviste? Cosa dire della bibliometria di Google Scholar e dei cataloghi delle biblioteche e, infine, in che direzione le scienze umane e sociali possono fare attività di terza missione? Queste le domande affrontate nelle prime quattro parti del volume, che si chiude con una quinta domanda, cosa imparare dall’esperienza italiana, affrontata dalla biblioteconomista danese Alesia Zuccala, la quale osserva come lo sforzo compiuto in Italia verso una cultura pluralistica della valutazione presenti più opportunità, ben più dell’adesione a ideali forzati, per unire paesi e nazionalità nel rispetto delle differenze. Il volume descrive e spiega le buone pratiche e le lezioni apprese dell’esperienza italiana durante le valutazioni della qualità della ricerca del 2004-2010 e del 2011-2014, nonché durante le annate di abilitazione scientifica nazionale 2012-2014. Per fare un esempio celebre, il contesto italiano offre un’opportunità senza precedenti di esaminare su larga scala la vexata quaestio delle riviste di classe A, che viene considerata analiticamente (pp. 253-267) in quanto esperimento controllato per mettere alla prova la robustezza della classificazione di riviste sulla base di due processi di valutazione indipendenti: l’uno condotto sui singoli articoli da parte di migliaia di valutatori anonimi, e l’altro condotto sulle stesse riviste da gruppi di esperti in sinergia con le associazioni scientifiche disciplinari. In queste condizioni, un classico approccio a regressione multipla trova giustificazione piena e fornisce dati che dimostrano la validità della classificazione delle riviste rispetto alla previsione della qualità media dei singoli articoli, sebbene rimanga e debba rimanere variabilità attorno ai valori previsti. È indubbio che l’esperienza italiana proponga agli studiosi dei dati che sono di grande rilievo per le discussioni dei prossimi anni. In primo luogo, perché in Italia è stato condotto il processo di valutazione più ampio e comprensivo tra i grandi paesi europei. In secondo luogo, perché per ragioni storiche nel nostro paese interi settori delle scienze umane, dalla filologia alla storia dell’arte e all’archeologia, hanno una lunga tradizione che risale al Medioevo e al Rinascimento; e infatti le comunità italiane delle scienze umane e sociali sono vivaci, aprono dibattiti e prendono iniziative. In terzo luogo, è stata la stessa Agenzia a finanziare progetti di ricerca originali che hanno permesso a ricercatori in una varietà di settori di impegnarsi in studi teorici e empirici con l’obiettivo di migliorare le pratiche di valutazione. L’idea di fondo è che criteri relativi alla qualità della ricerca di fatto esistano nella prassi delle comunità delle scienze umane e sociali, ma richiedano un lungo processo di conversazione ed elicitazione che necessita di essere formulato in termini linguistici, reso riflessivo e posto nello spazio pubblico. In questa prospettiva, la valutazione diventa un processo democratico, nel quale le decisioni vengono poste sotto i riflettori dell’opinione pubblica, dalla quale richiedono giustificazione. Risultati tanto più preziosi, oggi, quando recenti documenti ministeriali mettono in discussione il futuro dell’Agenzia. Andrea Bonaccorsi (ed.), The Evaluation of Research in Social Sciences and Humanities: Lessons from the Italian Experience, Springer, Berlin 2018, ISBN 9783319685533, 416 p.
2019
Scienze umane e sociali
ANVUR
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