Una filosofia della migrazione 17 maggio 2018 di Riccardo Pozzo Lascia un commento Sono passati due mesi dal voto del 4 marzo in Italia e il tema migrazione sembra sia scomparso dalle pagine dei giornali. Eppure, oggi più che mai abbiamo bisogno di ricchezza culturale e soprattutto di antidoti alla xenofobia. Sappiamo bene che attitudini xenofobe trovano espressione anche in elezioni democratiche e non sempre abbiamo a disposizione un Platone per reagire al voto di cittadini che condannarono Socrate benché innocente. La migrazione non è solo spostamento di popolazioni e gruppi etnici. Il suo ambito è più ampio, perché accompagna l’intera storia delle civiltà, proprio perché la migrazione è la causa degli scambi tra culture e dunque la causa dei continui trasferimenti e traduzioni da un contesto linguistico, economico, politico e culturale – diciamo Africa – a un altro – diciamo Europa. Rémi Brague ha notato che il termine arabo per dizionario – وماق (qāmūs) – corrisponde alla traslitterazione del nome di un titano della mitologia greca Ὠκεανός (’Okeanós), nel senso originario di un’estensione liquida che abbraccia tutte le terre emerse, permettendo la navigazione e dunque la comunicazione e lo scambio tra culture. Le frontiere politiche definiscono gli uni come membri di una comunità di cittadini e al contempo escludono gli altri. Ma oggi sono sempre più numerose le persone che abitano dei paesi che non sono più i loro e le stesse frontiere sono divenute porose. La direzione che sembra doversi favorire fa riferimento a una visione della diversità culturale come fattore ormai strutturale delle società europee e foriero di dinamiche generative del tessuto sociale (come di quello culturale, economico etc.). Si può e si deve, infatti, considerare la migrazione entro il quadro del cambiamento e dell’innovazione della società. ‘Innovazione sociale e culturale’ è un sintagma divenuto di uso corrente negli ultimi anni per via del nome scelto dallo European Strategy Forum Research Infrastructures per il gruppo di lavoro che si occupa delle infrastrutture per le scienze umane e sociali. .Su incarico del MIUR e in linea con il gruppo strategico di lavoro Social and Cultural Innovation del foro ESFRI, i ricercatori italiani contribuiscono a quattro infrastrutture di ricerca che si occupano di innovazione sociale e culturale presenti nella Roadmap ESFRI 2016 e si sono candidati per la Roadmap ESFRI 2018 con RESILIENCE-Religious Studies Infrastructure: Libraries, Experts, Nodes and Centres, infrastruttura di ricerca guidata da FSCIRE, il centro di studi creato da Giuseppe Alberigo nel convento dove si stabilì Giuseppe Dossetti al suo ritiro dalla politica e che oggi è diretto da Alberto Melloni (http://www.esfri.eu/working-groups/social-and-cultural-innovation: CLARIN ERIC clarin.eu, DARIAH ERIC www.dariah.eu, E-RIHS www.e-rihs.eu, SHARE ERIC, www.share-project.org, RESILIENCE http://www.fscire.it/index.php/it/networking/infrastruttura-resilience/). Detto senza mezzi termini, tocca alla filosofia il compito di individuare un narrativo condiviso su cosa sia successo, stia succedendo e cosa succederà nella migrazione: memoria, affinché morte, violenza e distruzione non succedano di nuovo; e futuro, per un narrativo che ci accompagni nel ventunesimo secolo e che abbia la stessa efficacia di quello presentato da Hanna Arendt sull’olocausto (Eichmann in Jerusalem, apparso sul New Yorker a puntate a partire dal 17 maggio 1963). Per questo motivo, occorre mettersi al lavoro e sviluppare l’importante proposta di Donatella Di Cesare nel suo studio sulla filosofia della migrazione (Stranieri residenti. Per una filosofia della migrazione, Bollati-Boringhieri, Torino 2017). Continuiamo a non avere una riflessione sulla migrazione e nemmeno una concettualizzazione su chi sia il migrante. Accettare che siano i confini a determinare gli spazi e luoghi significa andare incontro a un vicolo cieco della democrazia. Da qui la necessità di pensare alla deterritorializzazione come alternativa all’integrità identitaria (Di Cesare, cit., p. 53, 62, 68). Il continente dei migranti dispersi dappertutto è enorme e numerosi sono i popoli che stanno per partire e mettere in gioco world orders old and new. Contro i migranti si ergono gli Stati, i bastioni dello old world order, dell’assoluto nómos della terra. Da qui il conflitto tra la sovranità statale e il diritto di migrare, tra una cittadinanza ristretta e una nuova cittadinanza deterritorializzata (Di Cesare, op.cit., p. 105). Indagare, discutere, riflettere. La migrazione richiede un’attenta considerazione delle sue implicazioni etiche e politiche, si pensi soprattutto a questioni legate all’identità personale, al genere, alla diversità culturale e religiosa. La crisi dei migranti pone l’Italia e l’Europa davanti a una sfida le cui dimensioni sono comparabili alla sfida posta dalla crisi ecologica dell’ultimo quarto del secolo scorso, crisi che fu superata grazie a un enorme sforzo di ricerca, che portò a una riconversione industriale e un cambiamento nella mentalità dei cittadini. Anche per le migrazioni dobbiamo puntare su un grande impegno di ricerca, su una riconversione del mercato del lavoro e soprattutto su un cambio di mentalità. L’innovazione culturale ha luogo quando si produce riflessione. Il populismo come ha ricordato Marco Tarchi su «Paradoxa» il 21 dicembre 2017 non è una teoria politica, non è nemmeno un’ideologia, è piuttosto una mentalità. Ed è dunque sul cambio di mentalità che si deve puntare. L’emergenza della crisi dei migranti richiede un nuovo narrativo filosofico per un governo democratico che includa la diversità culturale al livello locale, regionale, nazionale ed europeo. I patrimoni interculturali devono essere appresi; la cittadinanza democratica deve essere rafforzata; e le esperienze condivise vanno incoraggiate attraverso la creazione di spazi di scambio. La direzione che sembra doversi favorire fa riferimento a una visione della diversità culturale come fattore ormai strutturale delle società europee e foriero di dinamiche generative del tessuto sociale (come di quello culturale, economico etc.). I migranti sono «generatori di innovazione e reti», come dimostrano case studies di imprenditori in Lombardia (Alessia Maccaferri, «ilSole240re», n. 631, 14 gennaio 2018, p. 9). Del resto anche papa Francesco ha parlato della necessità di «tracciare la differenza tra immigrazione e invasione». Il «Papa non pensa allo sviluppo di comunità separate in futuro, ma alla fusione di culture a partire dall’identità del Paese ospitante» (Andrea Riccardi, «Corriere della Sera», 15 gennaio 2018, p. 2). Per questi motivi, è utile che la filosofia consideri la migrazione entro il quadro del cambiamento e dell’innovazione della società.

Una filosofia della migrazione

Riccardo, Pozzo
2018-01-01

Abstract

Una filosofia della migrazione 17 maggio 2018 di Riccardo Pozzo Lascia un commento Sono passati due mesi dal voto del 4 marzo in Italia e il tema migrazione sembra sia scomparso dalle pagine dei giornali. Eppure, oggi più che mai abbiamo bisogno di ricchezza culturale e soprattutto di antidoti alla xenofobia. Sappiamo bene che attitudini xenofobe trovano espressione anche in elezioni democratiche e non sempre abbiamo a disposizione un Platone per reagire al voto di cittadini che condannarono Socrate benché innocente. La migrazione non è solo spostamento di popolazioni e gruppi etnici. Il suo ambito è più ampio, perché accompagna l’intera storia delle civiltà, proprio perché la migrazione è la causa degli scambi tra culture e dunque la causa dei continui trasferimenti e traduzioni da un contesto linguistico, economico, politico e culturale – diciamo Africa – a un altro – diciamo Europa. Rémi Brague ha notato che il termine arabo per dizionario – وماق (qāmūs) – corrisponde alla traslitterazione del nome di un titano della mitologia greca Ὠκεανός (’Okeanós), nel senso originario di un’estensione liquida che abbraccia tutte le terre emerse, permettendo la navigazione e dunque la comunicazione e lo scambio tra culture. Le frontiere politiche definiscono gli uni come membri di una comunità di cittadini e al contempo escludono gli altri. Ma oggi sono sempre più numerose le persone che abitano dei paesi che non sono più i loro e le stesse frontiere sono divenute porose. La direzione che sembra doversi favorire fa riferimento a una visione della diversità culturale come fattore ormai strutturale delle società europee e foriero di dinamiche generative del tessuto sociale (come di quello culturale, economico etc.). Si può e si deve, infatti, considerare la migrazione entro il quadro del cambiamento e dell’innovazione della società. ‘Innovazione sociale e culturale’ è un sintagma divenuto di uso corrente negli ultimi anni per via del nome scelto dallo European Strategy Forum Research Infrastructures per il gruppo di lavoro che si occupa delle infrastrutture per le scienze umane e sociali. .Su incarico del MIUR e in linea con il gruppo strategico di lavoro Social and Cultural Innovation del foro ESFRI, i ricercatori italiani contribuiscono a quattro infrastrutture di ricerca che si occupano di innovazione sociale e culturale presenti nella Roadmap ESFRI 2016 e si sono candidati per la Roadmap ESFRI 2018 con RESILIENCE-Religious Studies Infrastructure: Libraries, Experts, Nodes and Centres, infrastruttura di ricerca guidata da FSCIRE, il centro di studi creato da Giuseppe Alberigo nel convento dove si stabilì Giuseppe Dossetti al suo ritiro dalla politica e che oggi è diretto da Alberto Melloni (http://www.esfri.eu/working-groups/social-and-cultural-innovation: CLARIN ERIC clarin.eu, DARIAH ERIC www.dariah.eu, E-RIHS www.e-rihs.eu, SHARE ERIC, www.share-project.org, RESILIENCE http://www.fscire.it/index.php/it/networking/infrastruttura-resilience/). Detto senza mezzi termini, tocca alla filosofia il compito di individuare un narrativo condiviso su cosa sia successo, stia succedendo e cosa succederà nella migrazione: memoria, affinché morte, violenza e distruzione non succedano di nuovo; e futuro, per un narrativo che ci accompagni nel ventunesimo secolo e che abbia la stessa efficacia di quello presentato da Hanna Arendt sull’olocausto (Eichmann in Jerusalem, apparso sul New Yorker a puntate a partire dal 17 maggio 1963). Per questo motivo, occorre mettersi al lavoro e sviluppare l’importante proposta di Donatella Di Cesare nel suo studio sulla filosofia della migrazione (Stranieri residenti. Per una filosofia della migrazione, Bollati-Boringhieri, Torino 2017). Continuiamo a non avere una riflessione sulla migrazione e nemmeno una concettualizzazione su chi sia il migrante. Accettare che siano i confini a determinare gli spazi e luoghi significa andare incontro a un vicolo cieco della democrazia. Da qui la necessità di pensare alla deterritorializzazione come alternativa all’integrità identitaria (Di Cesare, cit., p. 53, 62, 68). Il continente dei migranti dispersi dappertutto è enorme e numerosi sono i popoli che stanno per partire e mettere in gioco world orders old and new. Contro i migranti si ergono gli Stati, i bastioni dello old world order, dell’assoluto nómos della terra. Da qui il conflitto tra la sovranità statale e il diritto di migrare, tra una cittadinanza ristretta e una nuova cittadinanza deterritorializzata (Di Cesare, op.cit., p. 105). Indagare, discutere, riflettere. La migrazione richiede un’attenta considerazione delle sue implicazioni etiche e politiche, si pensi soprattutto a questioni legate all’identità personale, al genere, alla diversità culturale e religiosa. La crisi dei migranti pone l’Italia e l’Europa davanti a una sfida le cui dimensioni sono comparabili alla sfida posta dalla crisi ecologica dell’ultimo quarto del secolo scorso, crisi che fu superata grazie a un enorme sforzo di ricerca, che portò a una riconversione industriale e un cambiamento nella mentalità dei cittadini. Anche per le migrazioni dobbiamo puntare su un grande impegno di ricerca, su una riconversione del mercato del lavoro e soprattutto su un cambio di mentalità. L’innovazione culturale ha luogo quando si produce riflessione. Il populismo come ha ricordato Marco Tarchi su «Paradoxa» il 21 dicembre 2017 non è una teoria politica, non è nemmeno un’ideologia, è piuttosto una mentalità. Ed è dunque sul cambio di mentalità che si deve puntare. L’emergenza della crisi dei migranti richiede un nuovo narrativo filosofico per un governo democratico che includa la diversità culturale al livello locale, regionale, nazionale ed europeo. I patrimoni interculturali devono essere appresi; la cittadinanza democratica deve essere rafforzata; e le esperienze condivise vanno incoraggiate attraverso la creazione di spazi di scambio. La direzione che sembra doversi favorire fa riferimento a una visione della diversità culturale come fattore ormai strutturale delle società europee e foriero di dinamiche generative del tessuto sociale (come di quello culturale, economico etc.). I migranti sono «generatori di innovazione e reti», come dimostrano case studies di imprenditori in Lombardia (Alessia Maccaferri, «ilSole240re», n. 631, 14 gennaio 2018, p. 9). Del resto anche papa Francesco ha parlato della necessità di «tracciare la differenza tra immigrazione e invasione». Il «Papa non pensa allo sviluppo di comunità separate in futuro, ma alla fusione di culture a partire dall’identità del Paese ospitante» (Andrea Riccardi, «Corriere della Sera», 15 gennaio 2018, p. 2). Per questi motivi, è utile che la filosofia consideri la migrazione entro il quadro del cambiamento e dell’innovazione della società.
2018
migrazione
Donatella Di Cesare
Hannah Arendt
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