La circolazione ad accesso aperto dei risultati della ricerca, in particolare di quelli finanziati con fondi pubblici, riveste un ruolo prioritario per il progresso scientifico, economico, sociale e culturale di ogni paese. L’accesso aperto consente di migliorare l’intero ciclo dell’informazione scientifica e contribuisce a razionalizzare i processi e gli investimenti della ricerca, accrescere la qualità dei risultati, diffondere la conoscenza scientifica anche tra i non addetti ai lavori e infine favorire un rapporto più trasparente e più diretto tra la comunità scientifica e la cittadinanza. Nella prospettiva accesso aperto (open source, open government, open data, open culture, open science), il patrimonio digitale pubblico assume il ruolo di motore essenziale per la crescita di tutta la società. Da notare il ruolo di apripista svolto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche che ha firmato già nel novembre 2012 la Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities, coordina la partecipazione italiana a molte infrastrutture di ricerca europee, partecipa attivamente a progetti e infrastrutture europee per l’accesso aperto e coordina importanti progetti e infrastrutture nazionali a sostegno dell’istanza open, primo fra tutti la Science & Technology Digital Library del Consiglio Nazionale delle Ricerche. In sé e per sé, innovazione significa creazione di nuovi prodotti e servizi che portano sul mercato una nuova idea. Oggi si è d’accordo che la ricerca sia curiosity driven, ma abbia al contempo un impatto traslazionale, poiché è il trasferimento di conoscenze a rendere possibile l’innovazione, che è product driven, in quanto genera nuovi prodotti e linee di produzione. La lezione che governi e uomini di affari possono trarre dalla ricognizione compiuta nello Handbook of Global Science, Technology, and Innovation, curato da due ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Daniele Archibugi e Andrea Filippetti , è che la forza della tradizione garantisce un vantaggio decisivo ma non assoluto: per preservare le proprie posizioni nella scienza e la propria competitività economica occorre che governi e industria operino su due strategie parallele. Da una parte una predisposizione a collaborare per acquisire e generare conoscenza, sia dei governi, tramite il finanziamento di programmi di ricerca pubblici (nazionali e transnazionali), sia delle imprese, in una concezione dell’innovazione aperta alla collaborazione piuttosto che la difesa settaria di diritti di proprietà intellettuale acquisiti. Dall’altra, la capacità di valorizzare dinamicamente le competenze acquisite in decenni e spesso addirittura in secoli, come insegna l’esperienza dei distretti industriali, vista la persistente tendenza delle attività economiche ad alta intensità di conoscenza ad agglomerarsi in spazi geografici limitati. L’innovazione è competenza, non esclusiva ma certamente principale, dei consigli nazionali delle ricerche di tutto il mondo, istituzioni assai diverse dalle università e dalle accademie, che risalgono rispettivamente al Medioevo e al Rinascimento. Le università hanno come missione l’insegnamento e i professori sono però liberi di insegnare e fare ricerca su cosa piace loro di più; mentre le accademie furono istituite dai re che volevano che degli scienziati vivessero a corte per avere risposte su questioni di loro, dei re, interesse. I consigli nazionali delle ricerche, invece, furono istituiti attorno alla prima guerra mondiale per ottenere risultati di rilevanza strategica per i loro paesi. Infatti, a chi crede che la globalizzazione riduca il pianeta a un paesaggio uniforme, si può obiettare che questo non è vero nel caso di scienza, tecnologia e innovazione. Sembra anzi che i meccanismi di autoesaltazione operino efficacemente, rendendo poche località di eccellenza destinate a produrre idee, scoperte e innovazioni diffuse in tutto il mondo. Del resto, Archibugi e Filippetti rammentano quanto sia facile diventare periferia dell’impero scientifico e quanto invece sia difficile entrare nel club dei produttori di conoscenza. Governi e scienziati siano avvertiti: che ci sia dia da fare! Nel frattempo, «innovazione sociale e culturale» è un sintagma divenuto di uso corrente per via del nome usato dallo European Strategy Forum Research Infrastructures per il gruppo di lavoro che si occupa delle infrastrutture per le scienze umane e sociali . La grande sfida è l’ampliamento dalla data science alla computational social science e alle data humanities. Non a caso, le scienze umane e sociali sono entrate a pieno titolo nella Research Data Alliance . L’obiettivo è considerare gli aspetti scientifici e tecnologici in grado di offrire proposte innovative alle sfide sociali del nuovo millennio. Pensiamo a tecnologie abilitanti quali: NFC-Near Field Communication, CRM-Content Rights Management, Contents-Aware Networks (fruition and enjoyment), Low-Latency Networks (warning and security) e Huge-Bandwidth Networks (augmented reality). Le infrastrutture di ricerca si trasformano da infrastrutture digitali in infrastrutture sociali, per realizzare il passaggio dall’innovazione tecnologica, all’innovazione sociale e infine all’innovazione culturale. In sostanza, se è vero che vediamo i presupposti per la creazione di migliaia di posti di lavoro sostenibili e di elevata qualità, è anche vero che occorrono maggiori investimenti per garantire che tutti possano accedere all’internet ad alta velocità a prezzi accessibili, così come occorre una riforma delle leggi europee sul diritto d’autore che rafforzi i diritti dei creatori. Occorre soprattutto un equilibrio tra libertà dei contenuti e proprietà intellettuale che tuteli sia la libertà di fruizione dei contenuti che il diritto all’equa remunerazione dell’autore. Nel ruolo di attore principale per la costituzione di un’infrastruttura innovativa e integrativa, le infrastrutture di ricerca per le scienze umane e sociali hanno una responsabilità rilevante per il futuro dell’editoria nel suo senso più ampio. Il libro digitale e le sue complesse relazioni con le infrastrutture per la conservazione (long term digital preservation), l’accesso (digital libraries), la comunicazione (in Italia assicurata dal consorzio GARR per la ricerca pubblica) e l’esplorazione dei dati (data mining) stanno al centro della discussione. Certo, si può non far nulla e attendere l’ipotesi darwiniana di un modello di libro elettronico migliore di tutti che prima o poi si imporrà sugli altri modelli, probabilmente una combinazione di testi, audiovisivi, giochi e mappe spaziotemporali. Ma necessità storica a parte, occorre una discussione sulle politiche. Nei contributi che seguono, Emanuela Reale considera i sistemi d’incentivazione all’open access e alla open innovation, Paola Galimberti presenta la altmetrics, nuovo approccio per la determinazione dell’impatto e il controllo della qualità, Pietro Greco illustra la citizen science, uno dei cardini del nuovo approccio europeo al ruolo della scienza nella società, Elena Giglia espone l’intricato ambito diritto d’autore e nuovi modelli di business, Paolo Manghi, Leonardo Candela e Donatella Castelli spiegano a che punto siamo con la costruzione di tecnologie e sistemi digitali a supporto dell’Open Science, e infine Alberto Di Minin e Chiara De Marco chiudono con delle osservazioni sul rapporto tra open science e open innovation.

Introduzione: Scienziati giù dalla torre d'avorio!

POZZO, Riccardo
2017-01-01

Abstract

La circolazione ad accesso aperto dei risultati della ricerca, in particolare di quelli finanziati con fondi pubblici, riveste un ruolo prioritario per il progresso scientifico, economico, sociale e culturale di ogni paese. L’accesso aperto consente di migliorare l’intero ciclo dell’informazione scientifica e contribuisce a razionalizzare i processi e gli investimenti della ricerca, accrescere la qualità dei risultati, diffondere la conoscenza scientifica anche tra i non addetti ai lavori e infine favorire un rapporto più trasparente e più diretto tra la comunità scientifica e la cittadinanza. Nella prospettiva accesso aperto (open source, open government, open data, open culture, open science), il patrimonio digitale pubblico assume il ruolo di motore essenziale per la crescita di tutta la società. Da notare il ruolo di apripista svolto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche che ha firmato già nel novembre 2012 la Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities, coordina la partecipazione italiana a molte infrastrutture di ricerca europee, partecipa attivamente a progetti e infrastrutture europee per l’accesso aperto e coordina importanti progetti e infrastrutture nazionali a sostegno dell’istanza open, primo fra tutti la Science & Technology Digital Library del Consiglio Nazionale delle Ricerche. In sé e per sé, innovazione significa creazione di nuovi prodotti e servizi che portano sul mercato una nuova idea. Oggi si è d’accordo che la ricerca sia curiosity driven, ma abbia al contempo un impatto traslazionale, poiché è il trasferimento di conoscenze a rendere possibile l’innovazione, che è product driven, in quanto genera nuovi prodotti e linee di produzione. La lezione che governi e uomini di affari possono trarre dalla ricognizione compiuta nello Handbook of Global Science, Technology, and Innovation, curato da due ricercatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Daniele Archibugi e Andrea Filippetti , è che la forza della tradizione garantisce un vantaggio decisivo ma non assoluto: per preservare le proprie posizioni nella scienza e la propria competitività economica occorre che governi e industria operino su due strategie parallele. Da una parte una predisposizione a collaborare per acquisire e generare conoscenza, sia dei governi, tramite il finanziamento di programmi di ricerca pubblici (nazionali e transnazionali), sia delle imprese, in una concezione dell’innovazione aperta alla collaborazione piuttosto che la difesa settaria di diritti di proprietà intellettuale acquisiti. Dall’altra, la capacità di valorizzare dinamicamente le competenze acquisite in decenni e spesso addirittura in secoli, come insegna l’esperienza dei distretti industriali, vista la persistente tendenza delle attività economiche ad alta intensità di conoscenza ad agglomerarsi in spazi geografici limitati. L’innovazione è competenza, non esclusiva ma certamente principale, dei consigli nazionali delle ricerche di tutto il mondo, istituzioni assai diverse dalle università e dalle accademie, che risalgono rispettivamente al Medioevo e al Rinascimento. Le università hanno come missione l’insegnamento e i professori sono però liberi di insegnare e fare ricerca su cosa piace loro di più; mentre le accademie furono istituite dai re che volevano che degli scienziati vivessero a corte per avere risposte su questioni di loro, dei re, interesse. I consigli nazionali delle ricerche, invece, furono istituiti attorno alla prima guerra mondiale per ottenere risultati di rilevanza strategica per i loro paesi. Infatti, a chi crede che la globalizzazione riduca il pianeta a un paesaggio uniforme, si può obiettare che questo non è vero nel caso di scienza, tecnologia e innovazione. Sembra anzi che i meccanismi di autoesaltazione operino efficacemente, rendendo poche località di eccellenza destinate a produrre idee, scoperte e innovazioni diffuse in tutto il mondo. Del resto, Archibugi e Filippetti rammentano quanto sia facile diventare periferia dell’impero scientifico e quanto invece sia difficile entrare nel club dei produttori di conoscenza. Governi e scienziati siano avvertiti: che ci sia dia da fare! Nel frattempo, «innovazione sociale e culturale» è un sintagma divenuto di uso corrente per via del nome usato dallo European Strategy Forum Research Infrastructures per il gruppo di lavoro che si occupa delle infrastrutture per le scienze umane e sociali . La grande sfida è l’ampliamento dalla data science alla computational social science e alle data humanities. Non a caso, le scienze umane e sociali sono entrate a pieno titolo nella Research Data Alliance . L’obiettivo è considerare gli aspetti scientifici e tecnologici in grado di offrire proposte innovative alle sfide sociali del nuovo millennio. Pensiamo a tecnologie abilitanti quali: NFC-Near Field Communication, CRM-Content Rights Management, Contents-Aware Networks (fruition and enjoyment), Low-Latency Networks (warning and security) e Huge-Bandwidth Networks (augmented reality). Le infrastrutture di ricerca si trasformano da infrastrutture digitali in infrastrutture sociali, per realizzare il passaggio dall’innovazione tecnologica, all’innovazione sociale e infine all’innovazione culturale. In sostanza, se è vero che vediamo i presupposti per la creazione di migliaia di posti di lavoro sostenibili e di elevata qualità, è anche vero che occorrono maggiori investimenti per garantire che tutti possano accedere all’internet ad alta velocità a prezzi accessibili, così come occorre una riforma delle leggi europee sul diritto d’autore che rafforzi i diritti dei creatori. Occorre soprattutto un equilibrio tra libertà dei contenuti e proprietà intellettuale che tuteli sia la libertà di fruizione dei contenuti che il diritto all’equa remunerazione dell’autore. Nel ruolo di attore principale per la costituzione di un’infrastruttura innovativa e integrativa, le infrastrutture di ricerca per le scienze umane e sociali hanno una responsabilità rilevante per il futuro dell’editoria nel suo senso più ampio. Il libro digitale e le sue complesse relazioni con le infrastrutture per la conservazione (long term digital preservation), l’accesso (digital libraries), la comunicazione (in Italia assicurata dal consorzio GARR per la ricerca pubblica) e l’esplorazione dei dati (data mining) stanno al centro della discussione. Certo, si può non far nulla e attendere l’ipotesi darwiniana di un modello di libro elettronico migliore di tutti che prima o poi si imporrà sugli altri modelli, probabilmente una combinazione di testi, audiovisivi, giochi e mappe spaziotemporali. Ma necessità storica a parte, occorre una discussione sulle politiche. Nei contributi che seguono, Emanuela Reale considera i sistemi d’incentivazione all’open access e alla open innovation, Paola Galimberti presenta la altmetrics, nuovo approccio per la determinazione dell’impatto e il controllo della qualità, Pietro Greco illustra la citizen science, uno dei cardini del nuovo approccio europeo al ruolo della scienza nella società, Elena Giglia espone l’intricato ambito diritto d’autore e nuovi modelli di business, Paolo Manghi, Leonardo Candela e Donatella Castelli spiegano a che punto siamo con la costruzione di tecnologie e sistemi digitali a supporto dell’Open Science, e infine Alberto Di Minin e Chiara De Marco chiudono con delle osservazioni sul rapporto tra open science e open innovation.
2017
Open Access
Open Science
Open Innovation
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
ParadoxaPozzoVirgili_intro.pdf

non disponibili

Descrizione: Paradoxa Pozzo Virgili
Tipologia: Documento in Pre-print
Licenza: Accesso ristretto
Dimensione 162.22 kB
Formato Adobe PDF
162.22 kB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/959693
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact