Andrea Bonaccorsi riprende e rilancia in maniera autorevole il dibattito sulla libertà di ricerca nelle discipline umanistiche e la polemica sui limiti della misurazione e della valutazione quantitativa nella realtà sociale, proponendo – questo il rilancio – degli elementi per una nuova teoria della valutazione. Partendo dal problema weberiano circa la non oggettività dei giudizi di valore, obiettivo di Bonaccorsi, non senza ironia, è inquadrarlo dal punto di vista antropologico (thick descriptions, habitus, conflitti, avvelenamenti del pozzo, reputazione) per individuare i presupposti per una valutazione migliore; impresa non impossibile, suggerisce Bonaccorsi, a patto che si trovi consenso su un minimo denominatore comune. Stabilire insomma se nei settori disciplinari delle scienze umane e sociali sia accettabile affidare la valutazione, in via prevalente o esclusiva, a indicatori bibliometrici internazionalmente riconosciuti, che tuttavia non tengono conto delle peculiarità metodologiche ed epistemologiche delle scienze umane e sociali. Non si può negare che gli indicatori bibliometrici risentano di un problema di rappresentatività per le discipline nelle quali la pubblicazione su rivista internazionale non è la forma di codifica tipica della nuova conoscenza prodotta, com’è presto divenuto chiaro dalle aspre critiche ricevute dallo European Reference Index for the Humanities, pubblicato nel 2008 dalla European Science Foundation. Ma è anche vero che la costituzione di tre gruppi di ricerca ANVUR sulla valutazione nelle aree umanistiche, giuridiche e sociali risale al novembre 2014 e si trattò, appunto, di un’iniziativa di Bonaccorsi e Andrea Graziosi. Osserva giustamente Bonaccorsi: “da un lato disponiamo di buoni argomenti teorici per difendere la valutazione della ricerca, dall’altro la evidenza empirica raccolta con metodo rigoroso non sembra confortare la visione allarmistica”. Bonaccorsi riprende lo scenario proposto da Richard Münch di Academic Capitalism (Routledge, 2014), secondo il quale “la scienza è trasformata in un mercato nel quale le università devono competere per una quota di mercato”, scenario che solleva una serie di domande: come si sta trasformando l’essenza della produzione scientifica di oggi? Come si configura l’agenda dell’open science? Chi governa le citazioni del discorso scientifico? Quali sono le strategie per la open science e la open innovation fatte proprie dalle agenzie della ricerca, da una parte, e dalle università e dagli enti di ricerca, dall’altra, a livello nazionale, europeo e globale? Si evidenzia in tal modo il ruolo delle nuove tecnologie e di come le infrastrutture di ricerca si trasformino da infrastrutture digitali in infrastrutture sociali per realizzare il passaggio dall’innovazione tecnologica, all’innovazione sociale e infine all’innovazione culturale. Nella prospettiva dell’accesso aperto (open source, open government, open data, open culture, open science), diventa chiaro come il patrimonio culturale digitale pubblico faccia da motore per la crescita della società. Da notare il ruolo di apripista svolto dal CNR, che ha firmato già nel novembre 2012 la Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities, coordina la partecipazione italiana a molte infrastrutture di ricerca europee e sta partecipando a importanti progetti e infrastrutture nazionali a sostegno dell’istanza open, primo fra tutti il progetto della Guglielmo Marconi Science & Technology Digital Library. Andrea Bonaccorsi, La valutazione possibile. Teoria e pratica nel mondo della ricerca, il Mulino, Bologna 2015, 234 p. ISBN 9788815259981.

"Humanities", la valutazione possibile

POZZO, Riccardo
2016-01-01

Abstract

Andrea Bonaccorsi riprende e rilancia in maniera autorevole il dibattito sulla libertà di ricerca nelle discipline umanistiche e la polemica sui limiti della misurazione e della valutazione quantitativa nella realtà sociale, proponendo – questo il rilancio – degli elementi per una nuova teoria della valutazione. Partendo dal problema weberiano circa la non oggettività dei giudizi di valore, obiettivo di Bonaccorsi, non senza ironia, è inquadrarlo dal punto di vista antropologico (thick descriptions, habitus, conflitti, avvelenamenti del pozzo, reputazione) per individuare i presupposti per una valutazione migliore; impresa non impossibile, suggerisce Bonaccorsi, a patto che si trovi consenso su un minimo denominatore comune. Stabilire insomma se nei settori disciplinari delle scienze umane e sociali sia accettabile affidare la valutazione, in via prevalente o esclusiva, a indicatori bibliometrici internazionalmente riconosciuti, che tuttavia non tengono conto delle peculiarità metodologiche ed epistemologiche delle scienze umane e sociali. Non si può negare che gli indicatori bibliometrici risentano di un problema di rappresentatività per le discipline nelle quali la pubblicazione su rivista internazionale non è la forma di codifica tipica della nuova conoscenza prodotta, com’è presto divenuto chiaro dalle aspre critiche ricevute dallo European Reference Index for the Humanities, pubblicato nel 2008 dalla European Science Foundation. Ma è anche vero che la costituzione di tre gruppi di ricerca ANVUR sulla valutazione nelle aree umanistiche, giuridiche e sociali risale al novembre 2014 e si trattò, appunto, di un’iniziativa di Bonaccorsi e Andrea Graziosi. Osserva giustamente Bonaccorsi: “da un lato disponiamo di buoni argomenti teorici per difendere la valutazione della ricerca, dall’altro la evidenza empirica raccolta con metodo rigoroso non sembra confortare la visione allarmistica”. Bonaccorsi riprende lo scenario proposto da Richard Münch di Academic Capitalism (Routledge, 2014), secondo il quale “la scienza è trasformata in un mercato nel quale le università devono competere per una quota di mercato”, scenario che solleva una serie di domande: come si sta trasformando l’essenza della produzione scientifica di oggi? Come si configura l’agenda dell’open science? Chi governa le citazioni del discorso scientifico? Quali sono le strategie per la open science e la open innovation fatte proprie dalle agenzie della ricerca, da una parte, e dalle università e dagli enti di ricerca, dall’altra, a livello nazionale, europeo e globale? Si evidenzia in tal modo il ruolo delle nuove tecnologie e di come le infrastrutture di ricerca si trasformino da infrastrutture digitali in infrastrutture sociali per realizzare il passaggio dall’innovazione tecnologica, all’innovazione sociale e infine all’innovazione culturale. Nella prospettiva dell’accesso aperto (open source, open government, open data, open culture, open science), diventa chiaro come il patrimonio culturale digitale pubblico faccia da motore per la crescita della società. Da notare il ruolo di apripista svolto dal CNR, che ha firmato già nel novembre 2012 la Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and Humanities, coordina la partecipazione italiana a molte infrastrutture di ricerca europee e sta partecipando a importanti progetti e infrastrutture nazionali a sostegno dell’istanza open, primo fra tutti il progetto della Guglielmo Marconi Science & Technology Digital Library. Andrea Bonaccorsi, La valutazione possibile. Teoria e pratica nel mondo della ricerca, il Mulino, Bologna 2015, 234 p. ISBN 9788815259981.
2016
Andrea Bonaccorsi, valutazione, scienze umane
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