Il 18 aprile 2011 la Commissione europea ha presentato la relazione al Consiglio ed al Parlamento europeo avente ad oggetto la “Valutazione dell’applicazione della direttiva sulla conservazione dei dati (direttiva 2006/24)” L’analisi della Commissione si è basata sulle comunicazioni relative al recepimento dell’atto europeo trasmesse da venticinque Stati membri. In Repubblica ceca, Germania e Romania le rispettive Corti costituzionali avevano dichiarato incostituzionali le leggi nazionali di attuazione della stessa direttiva. Il rapporto ha evidenziato, in primis, che quest’ultima ha assicurato che la maggior parte degli Stati membri provvedessero alla conservazione dei dati, ma non ha garantito di per sé che i dati conservati fossero immagazzinati, estratti e usati nel pieno rispetto del diritto alla vita privata e del diritto alla protezione dei dati personali. In secondo luogo, essendo stata delegata agli Stati la previsione delle garanzie per i diritti fondamentali, esso ha rilevato la carenza di un approccio comune, anche con riferimento alla limitazione delle finalità della data retention, ai periodi di conservazione e alle previsioni di contributi economici statali per gli operatori e i fornitori di servizi destinatari dell’obbligo di conservazione dei dati. In terzo luogo, la Commissione, prendendo atto, da un lato, proprio del caso irlandese – a seguito del quale la questione della validità della direttiva è stata rimessa alla Corte di giustizia – e, dall’altro lato, dell’intervento del garante europeo per la protezione dei dati personali – il quale ha affermato che la direttiva «non ha armonizzato la legislazione nazionale» e che il ricorso alle informazioni conservate non si limita allo stretto necessario per contrastare i reati gravi – ha sollevato dubbi sul rispetto della vita privata e della riservatezza e ha evidenziato la necessità di norme più severe anche in materia di sicurezza e protezione dei dati, basandosi sulle critiche, emerse anche a seguito delle citate sentenze delle Corti costituzionali nazionali, all’obbligo di conservazione dei dati così come previsto dalla legislazione vigente. La Commissione, però, ha sostenuto l’indispensabilità della data retention nell’ambito delle investigazioni per l’accertamento e la prevenzione di gravi reati. Per questo motivo, e in un momento storico di massima allerta contro attacchi terroristici, essa ha sottolineato l’opportunità di esaminare la conservazione dei dati nell’UE alla luce dei principi di necessità e proporzionalità, tenuto conto e nell’interesse della sicurezza nazionale, del buon funzionamento del mercato interno e del rafforzamento del rispetto della vita privata, nonché del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, proponendo la revisione del quadro giuridico in materia di conservazione dei dati sulla base di alcune raccomandazioni, fra le quali: a) sostenere e disciplinare la conservazione dei dati quale misura di sicurezza; b) garantire la proporzionalità nell’intero processo di immagazzinamento, estrazione e uso dei dati. L’epocale sentenza in commento della Corte di Giustizia dell'8 aprile 2014 (C‑293/12 e C‑594/12) giunge, dunque, in un delicato momento storico, in cui il ricorso alle “investigazioni tecnologiche” e all’accessibilità a dati ed informazioni trasmesse per via telefonica e telematica deve confrontarsi con le esigenze di accertamento dei reati e di ricerca della prova, da un lato, e di rispetto delle garanzie e dei diritti inviolabili dei cittadini, dall’altro lato, nel contesto più ampio della riforma in atto, a livello europeo, di tutta la disciplina in materia di tutela della privacy, attraverso un corpus unico di norme.

La Corte di giustizia considera la direttiva europea 2006/24 sulla c.d. “data retention” contraria ai diritti fondamentali. Una lunga storia a lieto fine?

FLOR, Roberto
2014-01-01

Abstract

Il 18 aprile 2011 la Commissione europea ha presentato la relazione al Consiglio ed al Parlamento europeo avente ad oggetto la “Valutazione dell’applicazione della direttiva sulla conservazione dei dati (direttiva 2006/24)” L’analisi della Commissione si è basata sulle comunicazioni relative al recepimento dell’atto europeo trasmesse da venticinque Stati membri. In Repubblica ceca, Germania e Romania le rispettive Corti costituzionali avevano dichiarato incostituzionali le leggi nazionali di attuazione della stessa direttiva. Il rapporto ha evidenziato, in primis, che quest’ultima ha assicurato che la maggior parte degli Stati membri provvedessero alla conservazione dei dati, ma non ha garantito di per sé che i dati conservati fossero immagazzinati, estratti e usati nel pieno rispetto del diritto alla vita privata e del diritto alla protezione dei dati personali. In secondo luogo, essendo stata delegata agli Stati la previsione delle garanzie per i diritti fondamentali, esso ha rilevato la carenza di un approccio comune, anche con riferimento alla limitazione delle finalità della data retention, ai periodi di conservazione e alle previsioni di contributi economici statali per gli operatori e i fornitori di servizi destinatari dell’obbligo di conservazione dei dati. In terzo luogo, la Commissione, prendendo atto, da un lato, proprio del caso irlandese – a seguito del quale la questione della validità della direttiva è stata rimessa alla Corte di giustizia – e, dall’altro lato, dell’intervento del garante europeo per la protezione dei dati personali – il quale ha affermato che la direttiva «non ha armonizzato la legislazione nazionale» e che il ricorso alle informazioni conservate non si limita allo stretto necessario per contrastare i reati gravi – ha sollevato dubbi sul rispetto della vita privata e della riservatezza e ha evidenziato la necessità di norme più severe anche in materia di sicurezza e protezione dei dati, basandosi sulle critiche, emerse anche a seguito delle citate sentenze delle Corti costituzionali nazionali, all’obbligo di conservazione dei dati così come previsto dalla legislazione vigente. La Commissione, però, ha sostenuto l’indispensabilità della data retention nell’ambito delle investigazioni per l’accertamento e la prevenzione di gravi reati. Per questo motivo, e in un momento storico di massima allerta contro attacchi terroristici, essa ha sottolineato l’opportunità di esaminare la conservazione dei dati nell’UE alla luce dei principi di necessità e proporzionalità, tenuto conto e nell’interesse della sicurezza nazionale, del buon funzionamento del mercato interno e del rafforzamento del rispetto della vita privata, nonché del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali, proponendo la revisione del quadro giuridico in materia di conservazione dei dati sulla base di alcune raccomandazioni, fra le quali: a) sostenere e disciplinare la conservazione dei dati quale misura di sicurezza; b) garantire la proporzionalità nell’intero processo di immagazzinamento, estrazione e uso dei dati. L’epocale sentenza in commento della Corte di Giustizia dell'8 aprile 2014 (C‑293/12 e C‑594/12) giunge, dunque, in un delicato momento storico, in cui il ricorso alle “investigazioni tecnologiche” e all’accessibilità a dati ed informazioni trasmesse per via telefonica e telematica deve confrontarsi con le esigenze di accertamento dei reati e di ricerca della prova, da un lato, e di rispetto delle garanzie e dei diritti inviolabili dei cittadini, dall’altro lato, nel contesto più ampio della riforma in atto, a livello europeo, di tutta la disciplina in materia di tutela della privacy, attraverso un corpus unico di norme.
2014
Data retention; Limiti costituzionali e convenzionali; Diritto penale e nuove tecnologie
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