Racconta Hannah Arendt in un apologo acutissimo, a metà tra l’ironia e il dramma, la grandezza e insieme il pericolo di un pensatore come Martin Heidegger. E considerando la conoscenza ravvicinata, teorica e affettiva, che aveva di lui, possiamo ritenere assai affidabile il giudizio. Heidegger, spiega Arendt, è come una volpe, animale intelligente e astuto, il cui pensiero e la cui fama continuano ad attirare da ogni parte visitatori ammirati e seguaci devoti nella sua tana. Ma – ecco il problema – questa tana è una trappola, e non tanto perché il pensatore tenda di nascosto un tranello ai suoi ospiti, ma perché egli stesso ha scelto – per sé – una trappola come casa. Quando vi si entra, non si riesce più a uscirne: e lui stesso è come incastrato nella sua dimora. Il pensiero heideggeriano, insomma, se da un lato possiede fascino e attrattiva innegabili, dall’altro è una specie di stanza chiusa da cui non ci si può (e addirittura non ci si vuole) più liberare, perché porta inevitabilmente coloro che vi si addentrano a intenderlo come un orizzonte insuperabile, nel quale l’uomo è in un certo modo appellato dalla verità dell’essere, e al tempo stesso è irrimediabilmente consegnato all’impossibilità che tale verità gli si possa dare effettivamente. A questo si riferisce evidentemente Costantino Esposito nel suo nuovo libro apparso da poco nell’Universale Paperbacks del Mulino e intitolato semplicemente Heidegger, quando afferma che non possiamo più continuare a ritenere, nel bene o nel male, Heidegger come il nostro destino (dopo Heidegger, insomma, non sarebbe più possibile pensare questa o quest’altra cosa, perché cadrebbe sotto la sua interdizione ecc.). E ciò per il semplice motivo che dietro tale carattere destinale si nascondono – come ben sa chi si dedica al difficile lavoro della ricostruzione storico-critica della filosofia – scelte ben precise, opzioni determinate che segnano tutto lo svolgimento del suo pensiero. Il suo buon senso ermeneutico permette a Esposito, conoscitore di lungo corso del pensiero di Heidegger, di contestualizzarlo e verificarlo più liberamente di quanto non si faccia di solito, contestando chi pensi di «dover essere devotamente heideggeriani per poter capire Heidegger» oppure «fieramente anti-heideggeriani per poterlo mettere criticamente in questione». Il libretto, che si presenta come una nuova ricostruzione complessiva e rigorosa dell’autore tedesco, riapre le questioni poste da Heidegger in un lunghissimo arco di tempo, dagli anni Dieci ai Settanta del Novecento. E lo fa puntando innanzi tutto sulla messa a fuoco delle matrici del pensiero heideggeriano, in primo luogo la radicalizzazione della fenomenologia husserliana, non più come un’analisi dei vissuti della coscienza ma come l’interpretazione che la vita stessa compie del suo essere, vivendo (assumendo in questo l’impulso dato da Dilthey all’ermeneutica); in secondo luogo la riscoperta del cristianesimo primitivo di Paolo e di Agostino, per il senso dell’esistere umano come finitezza, temporalità e storicità; e infine la nuova interpretazione del pensiero aristotelico, inteso come descrizione di quella motilità strutturale che costituisce l’essere della vita umana come comprensione dell’essere. Heidegger ha sostenuto che la nostra tradizione metafisica si è compiuta e consumata nell’epoca della tecnica e del nichilismo; e che per cominciare un nuovo pensiero filosofico si deve continuare a pensare quello che resta, impensato, al fondo nascosto della metafisica stessa. Di cosa si tratta? Del fatto che l’essere si ritrae da noi, si rifiuta, si congeda in un’impossibilità che noi dobbiamo assumere come inizio di una nuova donazione, però irrealizzabile. In fondo, un paradosso tipico di una volpe intelligentissima che rischia continuamente di restare intrappolata nella sua genialità. Costantino Esposito, Heidegger, Bologna, il Mulino Universale Paperbacks 2013, 242 p., ISBN 9788815244673

Nella casa divenuta trappola

POZZO, Riccardo
2013-01-01

Abstract

Racconta Hannah Arendt in un apologo acutissimo, a metà tra l’ironia e il dramma, la grandezza e insieme il pericolo di un pensatore come Martin Heidegger. E considerando la conoscenza ravvicinata, teorica e affettiva, che aveva di lui, possiamo ritenere assai affidabile il giudizio. Heidegger, spiega Arendt, è come una volpe, animale intelligente e astuto, il cui pensiero e la cui fama continuano ad attirare da ogni parte visitatori ammirati e seguaci devoti nella sua tana. Ma – ecco il problema – questa tana è una trappola, e non tanto perché il pensatore tenda di nascosto un tranello ai suoi ospiti, ma perché egli stesso ha scelto – per sé – una trappola come casa. Quando vi si entra, non si riesce più a uscirne: e lui stesso è come incastrato nella sua dimora. Il pensiero heideggeriano, insomma, se da un lato possiede fascino e attrattiva innegabili, dall’altro è una specie di stanza chiusa da cui non ci si può (e addirittura non ci si vuole) più liberare, perché porta inevitabilmente coloro che vi si addentrano a intenderlo come un orizzonte insuperabile, nel quale l’uomo è in un certo modo appellato dalla verità dell’essere, e al tempo stesso è irrimediabilmente consegnato all’impossibilità che tale verità gli si possa dare effettivamente. A questo si riferisce evidentemente Costantino Esposito nel suo nuovo libro apparso da poco nell’Universale Paperbacks del Mulino e intitolato semplicemente Heidegger, quando afferma che non possiamo più continuare a ritenere, nel bene o nel male, Heidegger come il nostro destino (dopo Heidegger, insomma, non sarebbe più possibile pensare questa o quest’altra cosa, perché cadrebbe sotto la sua interdizione ecc.). E ciò per il semplice motivo che dietro tale carattere destinale si nascondono – come ben sa chi si dedica al difficile lavoro della ricostruzione storico-critica della filosofia – scelte ben precise, opzioni determinate che segnano tutto lo svolgimento del suo pensiero. Il suo buon senso ermeneutico permette a Esposito, conoscitore di lungo corso del pensiero di Heidegger, di contestualizzarlo e verificarlo più liberamente di quanto non si faccia di solito, contestando chi pensi di «dover essere devotamente heideggeriani per poter capire Heidegger» oppure «fieramente anti-heideggeriani per poterlo mettere criticamente in questione». Il libretto, che si presenta come una nuova ricostruzione complessiva e rigorosa dell’autore tedesco, riapre le questioni poste da Heidegger in un lunghissimo arco di tempo, dagli anni Dieci ai Settanta del Novecento. E lo fa puntando innanzi tutto sulla messa a fuoco delle matrici del pensiero heideggeriano, in primo luogo la radicalizzazione della fenomenologia husserliana, non più come un’analisi dei vissuti della coscienza ma come l’interpretazione che la vita stessa compie del suo essere, vivendo (assumendo in questo l’impulso dato da Dilthey all’ermeneutica); in secondo luogo la riscoperta del cristianesimo primitivo di Paolo e di Agostino, per il senso dell’esistere umano come finitezza, temporalità e storicità; e infine la nuova interpretazione del pensiero aristotelico, inteso come descrizione di quella motilità strutturale che costituisce l’essere della vita umana come comprensione dell’essere. Heidegger ha sostenuto che la nostra tradizione metafisica si è compiuta e consumata nell’epoca della tecnica e del nichilismo; e che per cominciare un nuovo pensiero filosofico si deve continuare a pensare quello che resta, impensato, al fondo nascosto della metafisica stessa. Di cosa si tratta? Del fatto che l’essere si ritrae da noi, si rifiuta, si congeda in un’impossibilità che noi dobbiamo assumere come inizio di una nuova donazione, però irrealizzabile. In fondo, un paradosso tipico di una volpe intelligentissima che rischia continuamente di restare intrappolata nella sua genialità. Costantino Esposito, Heidegger, Bologna, il Mulino Universale Paperbacks 2013, 242 p., ISBN 9788815244673
2013
Heidegger; Arendt
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/667567
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