Lo scopo che il testo si propone è d’esaminare le potenzialità descrittive della teoria del trauma culturale recentemente proposta da J. A. Alexander (2006a, 2012). Com’è noto, nella prospettiva adottata dal sociologo di Yale, la traumaticità è da intendersi non come un qualcosa d’inscritto nelle caratteristiche oggettive degli eventi, ma come uno status che gli episodi in questione raggiungono solo dopo essere passati attraverso un complesso trattamento interpretativo che vede protagonisti attori appartenenti alle più svariate sfere istituzionali (scienziati, politici, religiosi, intellettuali, burocrati ed artisti). Due sono i limiti che affliggono questo modello. Il primo, già discusso in letteratura (Smelser 2004, Joas 2005), ha a che fare con le difficoltà che s’incontrano nel negare qualsiasi oggettività alla dimensione traumatica degli eventi. Il secondo, non ancora messo bene in luce dalla critica, riguarda invece l’unidirezionalità del movimento descritto da Alexander. Nel suo registro, la costruzione del trauma culturale può subire rallentamenti, interruzioni, o addirittura non iniziare per niente. Tuttavia, una volta compiuta, essa pare essere definitiva ed i significati che essa propaga non sembra possano essere più messi in discussione. Prendendo in esame le vicende italiane riguardanti la memoria collettiva della Resistenza, l’articolo cerca di mostrare come la realtà del trauma culturale designi al contrario un processo che non può mai dirsi concluso una volta per tutte, una realtà profondamente instabile e mutevole, sempre soggetta a revisioni e negazioni.

La memoria difficile in Italia: trauma culturale e pratiche commemorative della resistenza

MORI, Luca;MIGLIORATI, Lorenzo
2013-01-01

Abstract

Lo scopo che il testo si propone è d’esaminare le potenzialità descrittive della teoria del trauma culturale recentemente proposta da J. A. Alexander (2006a, 2012). Com’è noto, nella prospettiva adottata dal sociologo di Yale, la traumaticità è da intendersi non come un qualcosa d’inscritto nelle caratteristiche oggettive degli eventi, ma come uno status che gli episodi in questione raggiungono solo dopo essere passati attraverso un complesso trattamento interpretativo che vede protagonisti attori appartenenti alle più svariate sfere istituzionali (scienziati, politici, religiosi, intellettuali, burocrati ed artisti). Due sono i limiti che affliggono questo modello. Il primo, già discusso in letteratura (Smelser 2004, Joas 2005), ha a che fare con le difficoltà che s’incontrano nel negare qualsiasi oggettività alla dimensione traumatica degli eventi. Il secondo, non ancora messo bene in luce dalla critica, riguarda invece l’unidirezionalità del movimento descritto da Alexander. Nel suo registro, la costruzione del trauma culturale può subire rallentamenti, interruzioni, o addirittura non iniziare per niente. Tuttavia, una volta compiuta, essa pare essere definitiva ed i significati che essa propaga non sembra possano essere più messi in discussione. Prendendo in esame le vicende italiane riguardanti la memoria collettiva della Resistenza, l’articolo cerca di mostrare come la realtà del trauma culturale designi al contrario un processo che non può mai dirsi concluso una volta per tutte, una realtà profondamente instabile e mutevole, sempre soggetta a revisioni e negazioni.
2013
Trauma culturale
Memoria collettiva
Resistenza
Italia
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