Il problema della conoscenza scientifica si pone in modo non dissimile sia che l’oggetto della conoscenza siano i fenomeni naturali, sia che si tratti dei fenomeni psicologici: in entrambi i casi delle ipotesi teoriche devono essere confrontate con dei dati, frutto di osservazione o di sperimentazione. Ma cos’è un dato in psicologia? Durante lo sviluppo storico di questa disciplina ciò che è stato considerato “dato” è molto vario: dai resoconti introspettivi, alle frequenze con cui accadono i fenomeni, alla codifica di certi comportamenti, alla frequenza di risposte a domande poste con interviste o questionari, alle misure raccolte attraverso test o scale di misura di costrutti psicologici, alle simulazioni al computer di processi cognitivi, fino ai discorsi in interazione e le attività ad essi connesse come gesti, sguardi, movimenti entro sistemi. E su questi dati i ricercatori basano le loro successive analisi. È evidente da tale elenco che i “dati” di natura psicologica non esistono di per sé come fatti “autoevidenti”, ma dipendono dagli strumenti con i quali si decide di raccoglierli e dalle teorie psicologiche che li fanno diventare eventi interpretabili. Sia che si abbia la possibilità di lavorare con disegni sperimentali, come nel caso della psicologia sperimentale (in cui le variabili indipendenti possono essere manipolate dal ricercatore e le variabili esterne possono essere controllate) sia che, come accade nella gran parte della ricerca in psicologia applicata, ci si serva di disegni non sperimentali (nei quali si può procedere solo analizzando le relazioni tra variabili), un passaggio determinante della fase della ricerca è quello di articolare un modello di analisi in cui concetti e ipotesi si articolino in un quadro coerente. Quasi sempre i concetti implicati dalle ipotesi non sono direttamente osservabili: la costruzione di un concetto consiste quindi nello stabilire alcune dimensioni che lo costituiscono e nell’individuare come queste dimensioni possono essere misurate. Solo a partire da dati osservati, che vengono ricavati grazie a questo processo di misurazione, sarà possibile poi testare effettivamente le ipotesi. Concepire strumenti capaci di fornire informazioni adeguate per testare un’ipotesi, e validare questi strumenti per assicurarsi del loro grado di precisione (attendibilità) e adeguatezza (validità) sono fasi importanti del processo di ricerca in psicologia. La raccolta dei dati, inoltre, deve essere pensata in modo che questi siano espressi in una forma che permetta il loro trattamento secondo l’analisi che il ricercatore prevede di mettere in atto. Infatti gli strumenti di misura sono utilizzati per raccogliere dati pertinenti rispetto ad un modello teorico che il ricer-catore va a verificare o falsificare a partire appunto dai dati osservati e dalle loro relazioni. Questo numero del DiPAV si avvale della collaborazione di ricercatori che dedicano al tema della misurazione in psicologia una buona parte delle proprie ricerche. Tali ricercatori tentano di approfondire gli aspetti teorici connessi al problema, restando nel contempo ancorati ad una realtà di ricerca dove non sempre la pratica risponde adeguatamente ai presupposti della teoria, penso ad esempio alla psicologia del lavoro, alla psicologia clinica, alla psicologia ambientale, o alla docimologia. Questi ricercatori hanno in comune un metodo di lavoro – aspetto irrinunciabile del luogo fisico in cui molti di loro hanno approfondito la propria formazione, ovvero il Centro Docimologico – che prevede il contributo sinergico di competenze differenziate, aspetto questo da non trascurare per un processo di crescita proficua della ricerca in psicometria e in generale in psicologia. I primi cinque interventi, di natura teorica, si prefiggono di illustrare alcune problematiche inerenti l’uso dei dati in psicologia, soprattutto quando questi provengono da strumenti di autovalutazione: la differenza tra “punteggi grezzi” e punteggi in linea con la teoria della misurazione fondamentale (Burro); il problema dell’attendibilità e della validità degli strumenti di misura (Sartori, Pasini); una valutazione su alcuni indici di consistenza interna degli item di un questionario (Burro); come trattare i dati mancanti spesso presenti in una base di dati di natura psicologica (Chemolli, Pasini); alcune distorsioni connesse agli stili di risposta (Sartori). I quattro interventi che seguono mostrano il legame tra gli aspetti teorici e quelli applicativi nella concretezza di alcuni lavori di validazione di strumenti di rilevazione di costrutti psicologici: l’empatia (Sartori, Meneghini), l’orientamento motivazionale (Burro, Meneghini), la percezione della capacità rigenerativa degli ambienti (Pasini, Berto), le strategie di coping dei lavoratori immigrati (Pasini, Rappagliosi, Brondino). Sono infine presenti due contributi che nascono dall’uso concreto di alcuni strumenti di misura: attraverso un questionario si valutano gli agenti stressori e le conseguenze psicofisiche sugli insegnanti (Caramia, Rappagliosi); la scala di misura del grado di Restorativeness dei luoghi viene utilizzata in una ricerca sul turismo (Berto, Pasini).

Gli strumenti di autovalutazione in psicologia

PASINI, Margherita
2007-01-01

Abstract

Il problema della conoscenza scientifica si pone in modo non dissimile sia che l’oggetto della conoscenza siano i fenomeni naturali, sia che si tratti dei fenomeni psicologici: in entrambi i casi delle ipotesi teoriche devono essere confrontate con dei dati, frutto di osservazione o di sperimentazione. Ma cos’è un dato in psicologia? Durante lo sviluppo storico di questa disciplina ciò che è stato considerato “dato” è molto vario: dai resoconti introspettivi, alle frequenze con cui accadono i fenomeni, alla codifica di certi comportamenti, alla frequenza di risposte a domande poste con interviste o questionari, alle misure raccolte attraverso test o scale di misura di costrutti psicologici, alle simulazioni al computer di processi cognitivi, fino ai discorsi in interazione e le attività ad essi connesse come gesti, sguardi, movimenti entro sistemi. E su questi dati i ricercatori basano le loro successive analisi. È evidente da tale elenco che i “dati” di natura psicologica non esistono di per sé come fatti “autoevidenti”, ma dipendono dagli strumenti con i quali si decide di raccoglierli e dalle teorie psicologiche che li fanno diventare eventi interpretabili. Sia che si abbia la possibilità di lavorare con disegni sperimentali, come nel caso della psicologia sperimentale (in cui le variabili indipendenti possono essere manipolate dal ricercatore e le variabili esterne possono essere controllate) sia che, come accade nella gran parte della ricerca in psicologia applicata, ci si serva di disegni non sperimentali (nei quali si può procedere solo analizzando le relazioni tra variabili), un passaggio determinante della fase della ricerca è quello di articolare un modello di analisi in cui concetti e ipotesi si articolino in un quadro coerente. Quasi sempre i concetti implicati dalle ipotesi non sono direttamente osservabili: la costruzione di un concetto consiste quindi nello stabilire alcune dimensioni che lo costituiscono e nell’individuare come queste dimensioni possono essere misurate. Solo a partire da dati osservati, che vengono ricavati grazie a questo processo di misurazione, sarà possibile poi testare effettivamente le ipotesi. Concepire strumenti capaci di fornire informazioni adeguate per testare un’ipotesi, e validare questi strumenti per assicurarsi del loro grado di precisione (attendibilità) e adeguatezza (validità) sono fasi importanti del processo di ricerca in psicologia. La raccolta dei dati, inoltre, deve essere pensata in modo che questi siano espressi in una forma che permetta il loro trattamento secondo l’analisi che il ricercatore prevede di mettere in atto. Infatti gli strumenti di misura sono utilizzati per raccogliere dati pertinenti rispetto ad un modello teorico che il ricer-catore va a verificare o falsificare a partire appunto dai dati osservati e dalle loro relazioni. Questo numero del DiPAV si avvale della collaborazione di ricercatori che dedicano al tema della misurazione in psicologia una buona parte delle proprie ricerche. Tali ricercatori tentano di approfondire gli aspetti teorici connessi al problema, restando nel contempo ancorati ad una realtà di ricerca dove non sempre la pratica risponde adeguatamente ai presupposti della teoria, penso ad esempio alla psicologia del lavoro, alla psicologia clinica, alla psicologia ambientale, o alla docimologia. Questi ricercatori hanno in comune un metodo di lavoro – aspetto irrinunciabile del luogo fisico in cui molti di loro hanno approfondito la propria formazione, ovvero il Centro Docimologico – che prevede il contributo sinergico di competenze differenziate, aspetto questo da non trascurare per un processo di crescita proficua della ricerca in psicometria e in generale in psicologia. I primi cinque interventi, di natura teorica, si prefiggono di illustrare alcune problematiche inerenti l’uso dei dati in psicologia, soprattutto quando questi provengono da strumenti di autovalutazione: la differenza tra “punteggi grezzi” e punteggi in linea con la teoria della misurazione fondamentale (Burro); il problema dell’attendibilità e della validità degli strumenti di misura (Sartori, Pasini); una valutazione su alcuni indici di consistenza interna degli item di un questionario (Burro); come trattare i dati mancanti spesso presenti in una base di dati di natura psicologica (Chemolli, Pasini); alcune distorsioni connesse agli stili di risposta (Sartori). I quattro interventi che seguono mostrano il legame tra gli aspetti teorici e quelli applicativi nella concretezza di alcuni lavori di validazione di strumenti di rilevazione di costrutti psicologici: l’empatia (Sartori, Meneghini), l’orientamento motivazionale (Burro, Meneghini), la percezione della capacità rigenerativa degli ambienti (Pasini, Berto), le strategie di coping dei lavoratori immigrati (Pasini, Rappagliosi, Brondino). Sono infine presenti due contributi che nascono dall’uso concreto di alcuni strumenti di misura: attraverso un questionario si valutano gli agenti stressori e le conseguenze psicofisiche sugli insegnanti (Caramia, Rappagliosi); la scala di misura del grado di Restorativeness dei luoghi viene utilizzata in una ricerca sul turismo (Berto, Pasini).
2007
misurazione in psicologia; strumenti di autovalutazione; validità; attendibilità; analisi dei dati
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