Il contributo è pubblicato nella rivista Diritto Penale Contemporaneo, Rivista trimestrale, ed è stato sottoposto alla valutazione di due esperti revisori, che hanno dato esito favorevole. Il legislatore italiano, con la l. n. 48 del 2008, di ratifica della Convenzione Cybercrime, non ha ritenuto necessario modificare l’art. 615 ter c.p. Le disposizioni di fonte sovranazionale (fra cui la Convenzione Cybercrime e la proposta di direttiva europea relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione, che abroga la decisione quadro 2005/222/GAI) non riprendono la dicotomia della condotta che caratterizza l’ipotesi base dell’art. 615 ter c.p. italiano. Tali fonti sovranazionali ed europee invitano gli Stati a prevedere incriminazioni minime, ma non vietano, da un lato, la specificazione di taluni elementi, nel rispetto dei principi di determinatezza e frammentarietà e, dall’altro lato, l’ampliamento della tutela di beni espressione dei diritti fondamentali dell’individuo, nei limiti del bilanciamento con altri diritti fondamentali e nel rispetto del principio di proporzione. Pertanto, definire in modo elastico il “tipo criminoso”, quale espressione di un contenuto omogeneo di disvalore del fatto, contribuisce ad evitare il rischio chela norma, intesa alla stregua di “risultato” dell’interpretazione della fattispecie legale, venga stravolta dall’uso degli stessi strumenti interpretativi a disposizione del giudice penale. In questo senso la scelta del legislatore italiano non contrasta con le disposizioni previste dalla Convenzione Cybercrime, dalla decisione quadro e dalla proposta di direttiva europea

Verso una rivalutazione dell’art. 615 ter c.p.?Il reato di accesso abusivo a sistemi informatici o telematici fra la tutela di tradizionali e di nuovi diritti fondamentali nell’era di Internet

FLOR, Roberto
2012-01-01

Abstract

Il contributo è pubblicato nella rivista Diritto Penale Contemporaneo, Rivista trimestrale, ed è stato sottoposto alla valutazione di due esperti revisori, che hanno dato esito favorevole. Il legislatore italiano, con la l. n. 48 del 2008, di ratifica della Convenzione Cybercrime, non ha ritenuto necessario modificare l’art. 615 ter c.p. Le disposizioni di fonte sovranazionale (fra cui la Convenzione Cybercrime e la proposta di direttiva europea relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione, che abroga la decisione quadro 2005/222/GAI) non riprendono la dicotomia della condotta che caratterizza l’ipotesi base dell’art. 615 ter c.p. italiano. Tali fonti sovranazionali ed europee invitano gli Stati a prevedere incriminazioni minime, ma non vietano, da un lato, la specificazione di taluni elementi, nel rispetto dei principi di determinatezza e frammentarietà e, dall’altro lato, l’ampliamento della tutela di beni espressione dei diritti fondamentali dell’individuo, nei limiti del bilanciamento con altri diritti fondamentali e nel rispetto del principio di proporzione. Pertanto, definire in modo elastico il “tipo criminoso”, quale espressione di un contenuto omogeneo di disvalore del fatto, contribuisce ad evitare il rischio chela norma, intesa alla stregua di “risultato” dell’interpretazione della fattispecie legale, venga stravolta dall’uso degli stessi strumenti interpretativi a disposizione del giudice penale. In questo senso la scelta del legislatore italiano non contrasta con le disposizioni previste dalla Convenzione Cybercrime, dalla decisione quadro e dalla proposta di direttiva europea
2012
accesso abusivo a sistemi informatici o telematici; mantenimento non autorizzato; tutela dei diritti fondamentali; abuso delle qualità del pubblico ufficiale; abuso delle credenziali di autenticazione
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