Nel campus della Seoul National University, nella settimana compresa tra il 30 luglio e il 5 agosto, 2500 partecipanti hanno discusso in 229 sezioni articolate in cinquantaquattro gruppi tematici. Iniziata a Parigi nel 1900 e giunta alla ventiduesima edizione, la serie dei congressi mondiali di filosofia ha avuto cadenza quadriennale prima della seconda guerra mondiale e quinquennale dopo. A decidere dell’assegnazione è l’assemblea generale della Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie. Con Seoul, il congresso mondiale si è tenuto per la prima volta in Asia. Nel quarto di secolo precedente è stato a Montréal (1983), Brighton (1988), Mosca (1993), Boston (1998) e Istambul (2003). Ogni assegnazione ha premiato la vitalità filosofica di una nazione. Non per nulla, del resto, in Italia il congresso è stato già tre volte: a Bologna nel 1911, a Napoli nel 1924 e a Venezia nel 1958. “Ripensare la filosofia oggi”, il titolo del congresso (che sul programma appare in inglese, coreano, francese, tedesco, russo, spagnolo e cinese; peccato per il portoghese e l’italiano) per certi versi rinvia a una dimensione altamente speculativa, la noêsis noêseôs, il pensiero di pensiero di Metafisica Lambda, per altri a un’altra orgogliosamente eraclitea, ripensare la filosofia vuol dire infatti ripensare il pensiero, che vale quanto far scorrere ciò che scorre. Il compito è nobile: ripensare la natura, i ruoli e le responsabilità della filosofia e dei filosofi nell’età della globalizzazione per individuare problemi, conflitti, iniquità e ingiustizie legati allo sviluppo di una civiltà ormai planetaria, multiculturale e tecno-scientifica. Il divario tra filosofi continentali e analitici continua a farsi sentire, e basta pensare alla stessa Corea del Sud, nella quale una nuova generazione di professori educata nell’America del Nord su temi di filosofia analitica si contrappone (provocando rivolgimenti di grande momento nei vari comitati) a una generazione più matura educata in Europa nella tradizione della filosofia idealistica e della fenomenologia. Questa contrapposizione tuttavia perde rilievo, se si considerano gli sviluppi dei principali approcci teoretici tenendo presente l’interazione tra locale e globale. Il punto di vista più adatto per apprezzare il congresso mondiale è appunto quello degli studi comparatistici in relazione al differente peso attribuito alla riflessione sulla politica, alla dinamica tra la filosofia e la sua storia e all’interazione tra la filosofia e le altre forme di spiritualità. Un approccio globale non può prescindere dal lavoro effettivo delle singole comunità di ricercatori. Il fatto che il congresso mondiale si riunisca per la prima volta in Asia, ha ricordato il presidente del comitato organizzatore Myung-Hyun Lee, è uno stimolo in più per riflettere criticamente sul retroterra culturale, le tradizioni filosofiche, le interpretazioni e le identità della realtà asiatica. Una migliore conoscenza apre la strada a una più efficace integrazione tra le prospettive dell’Oriente e dell’Occidente. Ben venga, dunque l’iniziativa dello International Council for Philosophy and Humanistic Studies dell’UNESCO, che sta coordinando una ricerca sullo stato della filosofia in tutto il mondo con l’obiettivo di individuare le tendenze della filosofia a livello locale e globale che più influenzeranno lo sviluppo della filosofia nei prossimi decenni. Tanto più appassionante, dunque, la tavola rotonda intitolata Rethinking History of Philosophy and Comparative Philosophy: Traditions, Critique and Dialogue, tesa a riformulare il rapporto tra la filosofia e la sua storia nei termini di una prospettiva comparatistica che tenga conto di tradizioni, identità e interazione. Ha aperto Tomonobu Imamichi ricordando che la storia della filosofia nasce in Metafisica Alfa con l’incontro tra le tradizioni della filosofia naturale ionia e della metafisica italica, aprendo la via dell’incontro tra tradizioni, della critica e del dialogo. Jean Greisch ha ricordato che la richiesta al ventesimo secolo di Wittgenstein e Heidegger di aprire confronti nuovi, trova corrispondenza nella meditazione del vecchio saggio Laozi, che, racconta la leggenda, un doganiere lasciò passare attraverso un ponte solo a patto che lasciasse i suoi pensieri per iscritto. Siamo davanti a fonti diverse, ma l’escatologia è certamente unificata. Enrique Dussel ha salutato la nuova epoca di una storia della filosofia che si dedica al dialogo tra le tradizioni filosofiche, che si apra a un dialogo autenticamente simmetrico, non guastato dal pregiudizio dell’eurocentrismo. Occorre educare le future generazioni a identificarsi in una tradizione che è multiculturale. Dussel introduce la nozione di “transmodernità” che, senza essere postmodernità, è superamento del modernismo eurocentrico attraverso un confronto tra la totalità delle tradizioni regionali, confronto che porterà alla costituzione di una nuova modernità, la quale non sarà universale, ma “pluriversale”. Anche Jung Hwa-Yol ha insistito sulla necessità di sostituire all’universalità della grande narrazione filosofica europea una nuova “trasversalità”; e ha fatto l’esempio nella statua del Buddha di Kyoto, nel volto emergente della quale risaltano la trasfigurazione e la trasvalutazione dello sconfinamento interculturale. Su questi temi è tornato Evandro Agazzi, nella sessione dello International Institute of Philosophy, ribadendo il ruolo che oggi spetta alla filosofia di porre le condizioni di possibilità per la realizzazione di un autentico dialogo interculturale che non sia deviato da pretese di assolutizzazione. Tutte le culture sono relative, nei tempi delle epoche della storia e negli spazi delle regioni del mondo. Nemmeno l’idea di ragione è neutrale. La sociologia del conoscere ha mostrato come Kant e Habermas sbaglino a tener fermo a questo postulato. Al massimo, conclude iperbolicamente Agazzi, si può pensare che vi siano dei “geni filosofici” nella natura umana. La Ibn Roshd Lecture, infine, è stata tenuta da Ioanna Kuçuradi, la Kierkegaard Lecture da Mark C. Taylor e la Maimonides Lecture da Tu Weiming. Le altre sessioni plenarie sono state dedicate alla filosofia politica (Rethinking Moral, Social and Political Philosophy: Democracy, Justice and Global Responsibility) con D.P. Chattopadhyaya, Fred Dallmayr, Nkolo Fo e Tong Shinjun, all’estetica (Rethinking Metaphysics and Aesthetics: Reality, Beauty and the Meaning of Life) con Tanella Boni, Jean-Luc Marion, Kenichi Sasaki e Gerhard Seel, e infine alla filosofia della scienza (Rethinking Epistemology, Philosophy of Science and Technology: Knowledge and Culture) con Evandro Agazzi, Jaegwon Kim, Ernest Lepore e Bertrand Saint-Sernin. Nel 2013, il ventitreesimo congresso mondiale sarà in Grecia, ad Atene, nella culla della filosofia.

Congressi internazionali/Seul: Il pluriverso della ragione

POZZO, Riccardo;
2008-01-01

Abstract

Nel campus della Seoul National University, nella settimana compresa tra il 30 luglio e il 5 agosto, 2500 partecipanti hanno discusso in 229 sezioni articolate in cinquantaquattro gruppi tematici. Iniziata a Parigi nel 1900 e giunta alla ventiduesima edizione, la serie dei congressi mondiali di filosofia ha avuto cadenza quadriennale prima della seconda guerra mondiale e quinquennale dopo. A decidere dell’assegnazione è l’assemblea generale della Fédération Internationale des Sociétés de Philosophie. Con Seoul, il congresso mondiale si è tenuto per la prima volta in Asia. Nel quarto di secolo precedente è stato a Montréal (1983), Brighton (1988), Mosca (1993), Boston (1998) e Istambul (2003). Ogni assegnazione ha premiato la vitalità filosofica di una nazione. Non per nulla, del resto, in Italia il congresso è stato già tre volte: a Bologna nel 1911, a Napoli nel 1924 e a Venezia nel 1958. “Ripensare la filosofia oggi”, il titolo del congresso (che sul programma appare in inglese, coreano, francese, tedesco, russo, spagnolo e cinese; peccato per il portoghese e l’italiano) per certi versi rinvia a una dimensione altamente speculativa, la noêsis noêseôs, il pensiero di pensiero di Metafisica Lambda, per altri a un’altra orgogliosamente eraclitea, ripensare la filosofia vuol dire infatti ripensare il pensiero, che vale quanto far scorrere ciò che scorre. Il compito è nobile: ripensare la natura, i ruoli e le responsabilità della filosofia e dei filosofi nell’età della globalizzazione per individuare problemi, conflitti, iniquità e ingiustizie legati allo sviluppo di una civiltà ormai planetaria, multiculturale e tecno-scientifica. Il divario tra filosofi continentali e analitici continua a farsi sentire, e basta pensare alla stessa Corea del Sud, nella quale una nuova generazione di professori educata nell’America del Nord su temi di filosofia analitica si contrappone (provocando rivolgimenti di grande momento nei vari comitati) a una generazione più matura educata in Europa nella tradizione della filosofia idealistica e della fenomenologia. Questa contrapposizione tuttavia perde rilievo, se si considerano gli sviluppi dei principali approcci teoretici tenendo presente l’interazione tra locale e globale. Il punto di vista più adatto per apprezzare il congresso mondiale è appunto quello degli studi comparatistici in relazione al differente peso attribuito alla riflessione sulla politica, alla dinamica tra la filosofia e la sua storia e all’interazione tra la filosofia e le altre forme di spiritualità. Un approccio globale non può prescindere dal lavoro effettivo delle singole comunità di ricercatori. Il fatto che il congresso mondiale si riunisca per la prima volta in Asia, ha ricordato il presidente del comitato organizzatore Myung-Hyun Lee, è uno stimolo in più per riflettere criticamente sul retroterra culturale, le tradizioni filosofiche, le interpretazioni e le identità della realtà asiatica. Una migliore conoscenza apre la strada a una più efficace integrazione tra le prospettive dell’Oriente e dell’Occidente. Ben venga, dunque l’iniziativa dello International Council for Philosophy and Humanistic Studies dell’UNESCO, che sta coordinando una ricerca sullo stato della filosofia in tutto il mondo con l’obiettivo di individuare le tendenze della filosofia a livello locale e globale che più influenzeranno lo sviluppo della filosofia nei prossimi decenni. Tanto più appassionante, dunque, la tavola rotonda intitolata Rethinking History of Philosophy and Comparative Philosophy: Traditions, Critique and Dialogue, tesa a riformulare il rapporto tra la filosofia e la sua storia nei termini di una prospettiva comparatistica che tenga conto di tradizioni, identità e interazione. Ha aperto Tomonobu Imamichi ricordando che la storia della filosofia nasce in Metafisica Alfa con l’incontro tra le tradizioni della filosofia naturale ionia e della metafisica italica, aprendo la via dell’incontro tra tradizioni, della critica e del dialogo. Jean Greisch ha ricordato che la richiesta al ventesimo secolo di Wittgenstein e Heidegger di aprire confronti nuovi, trova corrispondenza nella meditazione del vecchio saggio Laozi, che, racconta la leggenda, un doganiere lasciò passare attraverso un ponte solo a patto che lasciasse i suoi pensieri per iscritto. Siamo davanti a fonti diverse, ma l’escatologia è certamente unificata. Enrique Dussel ha salutato la nuova epoca di una storia della filosofia che si dedica al dialogo tra le tradizioni filosofiche, che si apra a un dialogo autenticamente simmetrico, non guastato dal pregiudizio dell’eurocentrismo. Occorre educare le future generazioni a identificarsi in una tradizione che è multiculturale. Dussel introduce la nozione di “transmodernità” che, senza essere postmodernità, è superamento del modernismo eurocentrico attraverso un confronto tra la totalità delle tradizioni regionali, confronto che porterà alla costituzione di una nuova modernità, la quale non sarà universale, ma “pluriversale”. Anche Jung Hwa-Yol ha insistito sulla necessità di sostituire all’universalità della grande narrazione filosofica europea una nuova “trasversalità”; e ha fatto l’esempio nella statua del Buddha di Kyoto, nel volto emergente della quale risaltano la trasfigurazione e la trasvalutazione dello sconfinamento interculturale. Su questi temi è tornato Evandro Agazzi, nella sessione dello International Institute of Philosophy, ribadendo il ruolo che oggi spetta alla filosofia di porre le condizioni di possibilità per la realizzazione di un autentico dialogo interculturale che non sia deviato da pretese di assolutizzazione. Tutte le culture sono relative, nei tempi delle epoche della storia e negli spazi delle regioni del mondo. Nemmeno l’idea di ragione è neutrale. La sociologia del conoscere ha mostrato come Kant e Habermas sbaglino a tener fermo a questo postulato. Al massimo, conclude iperbolicamente Agazzi, si può pensare che vi siano dei “geni filosofici” nella natura umana. La Ibn Roshd Lecture, infine, è stata tenuta da Ioanna Kuçuradi, la Kierkegaard Lecture da Mark C. Taylor e la Maimonides Lecture da Tu Weiming. Le altre sessioni plenarie sono state dedicate alla filosofia politica (Rethinking Moral, Social and Political Philosophy: Democracy, Justice and Global Responsibility) con D.P. Chattopadhyaya, Fred Dallmayr, Nkolo Fo e Tong Shinjun, all’estetica (Rethinking Metaphysics and Aesthetics: Reality, Beauty and the Meaning of Life) con Tanella Boni, Jean-Luc Marion, Kenichi Sasaki e Gerhard Seel, e infine alla filosofia della scienza (Rethinking Epistemology, Philosophy of Science and Technology: Knowledge and Culture) con Evandro Agazzi, Jaegwon Kim, Ernest Lepore e Bertrand Saint-Sernin. Nel 2013, il ventitreesimo congresso mondiale sarà in Grecia, ad Atene, nella culla della filosofia.
2008
FISP; World Congress of Philosophy; Seul 2008
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/346822
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