Nel De caelo Aristotele non solo ripensa criticamente le idee cosmologiche e i principi che in Grecia erano stati sviluppati fin dagli inizi della riflessione razionale sulla physis, ma anche formula un modo di vedere il cosmo talmente originale e organico, che ha fatto da paradigma cosmologico dell’Occidente per più di un millennio. Il De caelo consta di quattro libri: i primi due trattano del cielo, degli astri che lo popolano e, infine, della Terra; il terzo e il quarto esaminano invece i quattro elementi sublunari. Il quinto elemento, la finitezza dell’universo, l’unicità del cosmo, l’eternità del mondo, le traslazioni celesti, la forma del cielo, gli astri, la terra, la generazione degli elementi sublunari e gli stessi quattro elementi: ognuno di questi temi scanditi da Aristotele in modo tanto perentorio quanto ben argomentato ha ispirato una serie assai lunga di discussioni che hanno creato delle storie di problemi molto articolate, senza timore di esagerare, da Aristotele ai giorni nostri. Alberto Jori, tra i più brillanti antichisti italiani della sua generazione, aveva già dedicato alla pragmateia perì ouranoû una lunga serie di articoli come pure l’edizione bilingue greco-italiano per Rusconi (1999) e poi per Bompiani (2002). La sua monumentale traduzione commentata tedesca, nella collana che la Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften continua a produrre per affiancare l’edizione di Immanuel Bekker (il De caelo uscì nel 1831, vol. I, coll. 268a-313b), ha un indubbio valore di definitività. Basti pensare che alle poco meno di cento pagine del testo (pp. 21-116) seguono circa duecentocinquanta pagine di chiarificazioni (pp. 119-373) e altre centocinquanta di commento riga per riga (pp. 377-510), per tacere delle ventidue pagine di indici dei nomi e dei passi degli autori citati da Aristotele e degli scritti dello stesso Aristotele (pp. 511-533). In A Brief History of Time (1988), il fisico inglese Stephen Hawking richiama il De caelo fin dalla prima pagina. Cosa che dice già di per sé molto, ricorda Jori, perché infatti il trattato di Aristotele è stato da sempre la pietra miliare dalla quale l’umanità è partita per una comprensione della natura nei limiti del possibile vicina alla realtà (p. 119).
Aristoteles, Über den Himmel, ed. A. Jori (Berlin: Akademie Verlag, 2009)
POZZO, Riccardo
2009-01-01
Abstract
Nel De caelo Aristotele non solo ripensa criticamente le idee cosmologiche e i principi che in Grecia erano stati sviluppati fin dagli inizi della riflessione razionale sulla physis, ma anche formula un modo di vedere il cosmo talmente originale e organico, che ha fatto da paradigma cosmologico dell’Occidente per più di un millennio. Il De caelo consta di quattro libri: i primi due trattano del cielo, degli astri che lo popolano e, infine, della Terra; il terzo e il quarto esaminano invece i quattro elementi sublunari. Il quinto elemento, la finitezza dell’universo, l’unicità del cosmo, l’eternità del mondo, le traslazioni celesti, la forma del cielo, gli astri, la terra, la generazione degli elementi sublunari e gli stessi quattro elementi: ognuno di questi temi scanditi da Aristotele in modo tanto perentorio quanto ben argomentato ha ispirato una serie assai lunga di discussioni che hanno creato delle storie di problemi molto articolate, senza timore di esagerare, da Aristotele ai giorni nostri. Alberto Jori, tra i più brillanti antichisti italiani della sua generazione, aveva già dedicato alla pragmateia perì ouranoû una lunga serie di articoli come pure l’edizione bilingue greco-italiano per Rusconi (1999) e poi per Bompiani (2002). La sua monumentale traduzione commentata tedesca, nella collana che la Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissenschaften continua a produrre per affiancare l’edizione di Immanuel Bekker (il De caelo uscì nel 1831, vol. I, coll. 268a-313b), ha un indubbio valore di definitività. Basti pensare che alle poco meno di cento pagine del testo (pp. 21-116) seguono circa duecentocinquanta pagine di chiarificazioni (pp. 119-373) e altre centocinquanta di commento riga per riga (pp. 377-510), per tacere delle ventidue pagine di indici dei nomi e dei passi degli autori citati da Aristotele e degli scritti dello stesso Aristotele (pp. 511-533). In A Brief History of Time (1988), il fisico inglese Stephen Hawking richiama il De caelo fin dalla prima pagina. Cosa che dice già di per sé molto, ricorda Jori, perché infatti il trattato di Aristotele è stato da sempre la pietra miliare dalla quale l’umanità è partita per una comprensione della natura nei limiti del possibile vicina alla realtà (p. 119).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.