Nato a Mirandola da una nobile famiglia di provenienza milanese nel 1502, Antonio Bernardi della Mirandola conduce una vita in gran parte esterna al mondo delle università. Studia filosofia a Bologna dove segue le lezioni di Pietro Pomponazzi e Ludovico Boccadiferro, ma le incombenze relative agli studi teologici e all’ordinazione lasciano passare più tempo del solito e così Bernardi si laurea all’Università di Ferrara solo nel 1533 sotto la direzione di Giovanni Mainardi e Antonio Musa Brasavola. Nel 1533 viene incaricato dell’insegnamento della logica all’Università di Bologna, che svolge dal semestre invernale 1533/34 fino a quello del 1536/37, non senza che la provocatorietà delle sue tesi provochi forti critiche da parte degli averroisti, dei tomisti, dei simpliciani e dagli scotisti. Nel 1537 è promosso alla cattedra straordinaria di filosofia, alla quale accede leggendo de auditu physico nel semestre invernale 1537/38 e de coelo et mundo nel semestre invernale 1538/39 (come recitano i rotuli, citati a p. 116s.). L’emblematista Achille Bocchi dedica a Bernardi il simbolo 62 delle Symbolicarum quaestionum de universo genere […] libri quinque (Bologna 1555), il simbolo della dialettica, divina e socratica facultas, riconoscendo a Bernardi un orientamento platonico-ciceroniano e dunque antiaristotelico, antiapodittico e sermocinale. Ma già qui, nota opportunamente Annarita Angelini, saltano agli occhi le difficoltà della posizione di Bernardi, che apre il fianco a interpretazioni della scienza suprema di Platone in una mera ars sermocinalis, sganciando l’ars bene disserendi dalla sua origine noetica e facendone l’espressione più completa della modalità dianoetica del sapere (p. 120). In verità, però, Bernardi ripete senza timore di ridondanza la sua adesione all’aristotelismo di Aristotele, prima cioè della pletora degli interpreti, quasi sempre fuorvianti, se non addirittura falsi e in cattiva fede (p. 121). Scrive Bernardi nella prefazione della In universam logicam institutio (Basilea 1545, fol. A2r-v): “Paulus Venetus et Petrus Hispanus [...] tantum enim absunt [...] a sternenda ad Aristotelis cognitionem via, ut omnem etiam ad illam auditum praeclusisse videantur [...] pleraque etiam tradunt, quae a peripatetica ratione atque doctrina abhorrent”. Più della professione di fede aristotelica, colpisce i contemporanei la tesi di Bernardi circa l’estraneità delle Categoriae dall’Organon. Tesi questa, scrive Angelini, che per quanto ricondotta dal suo formulatore alla richiesta di un ripristino della puritas aristotelica, “sgancia la logica, e parimenti la dialettica, da qualunque vincolo metafisico e ne esalta la dimensione esclusivamente instrumentalis” (p. 123). Si tratta di una riattribuzione di competenze che conferisce alla logica una neutralità e una versatilità che nessun altro livello del sapere le avrebbe potuto contendere (p. 125). Centrale, in Bernardi, l’approccio epistemologico, basato sul sintagma modus cognoscendi, che diventerà di uso comune dopo l’appropriazione della strumentalità della logica da parte di Jacopo Zabarella (1533-1589). Per Bernardi, il soggetto proprio della logica non sono né le orazioni né le categorie, ma esclusivamente il modo di conoscere (p. 37). La logica nulla ha a che fare con le categorie, visto che si occupa esclusivamente delle regole che conducono alla costruzione di proposizioni, definizioni e sillogismi (p. 55). Se da una parte Bernardi nega dunque che le seconde intenzioni, i concetti di concetti, siano oggetti della logica, per se stesse o in quanto aggiunte alle prime intenzioni (p. 93), la sua concezione rispetto alla natura degli universali lo colloca nei ranghi dei più decisi sostenitori del realismo (p. 63). Un fatto gravissimo verificatosi nel corso del 1539, sul quale però non si trovano informazioni nel volume (nonostante la menzione a p. 183), porta Bernardi ad abbandonare Bologna e l’insegnamento universitario per spostarsi a Roma, come segretario del vescovo di Maiorca, il bolognese Giambattista Campeggi. Entrato nel 1540 alla corte papale al seguito del cardinale Alessandro Farnese (nipote ancora adolescente di papa Paolo III), Bernardi inizia una fortunata carriera ecclesiastica e diplomatica, contribuendo alla soluzione di casi assai intricati, come ad esempio la riconciliazione tra Ottavio Farnese e Ferrante Gonzaga. Nominato vescovo di Caserta nel 1552, nel 1557 è a Parma, sempre al seguito del giovane cardinale Farnese. Nel 1559 riceve tra le sue prebende l’Abbazia di Sant’Andrea di Dovadola presso Forlì. Muore a Bologna il 18 o il 19 giugno 1565. Per il suo funerale, nel giugno del 1565, l’Accademia degli Storditi allestì una grande cerimonia nella Basilica di San Petronio. La posizione filosofica di Bernardi appare caratterizzata da una notevole indipendenza. Nato all’inizio del sedicesimo secolo, Bernardi segue Niccolò Leonico Tomeo (1456-1531) e precede Bernardino Tomitano (1517-1576) e Francesco Piccolomini (1523-1607). Come loro, il suo rifiuto del naturalismo di Pomponazzi è nettissimo. La sua critica investe i primi nove capitoli del De immortalitate animae tentando alla luce della ragione e di una diversa lettura dei testi aristotelici di dissolvere le argomentazioni del Peretto a favore della mortalità simpliciter e dell’immortalità secundum quid. Rovesciando l’istanza di Pomponazzi, Bernardi obietta che proprio perché l’intelletto non è fantasia e non è riducibile ai sensi, ma si serve della fantasia, ne segue che non è assolutamente inseparabile dal corpo e materiale, ma è astratto, indivisibile e eterno (p. 99s.). La replica di Bernardi va nella direzione di una conciliazione tra platonismo e aristotelismo, non a caso la migliore garanzia per la salvaguardia della fede cristiana. Il grande merito di Bernardi va visto nell’aver saputo creare i presupposti per un dialogo che non c’è mai stato, almeno su carta, ma che si è svolto invece tra le righe: il dialogo tra gli eredi della topica di Cicerone e Quintiliano, i logici umanaisti Lorenzo Valla (1407-1457), Rodolfo Agricola (1442-1485), Pietro Ramo (1515-1522) e i logici aristotelici italiani Marco Antonio de’ Passeri detto il Genoa (1491-1563), Francesco Patrizzi (1529-1597), oltre ai già nominati Tomitano, Piccolomini e Zabarella. Al curatore Marco Forlivesi vanno i complimenti degli studiosi che apprezzano in un volume collettaneo (assieme al curatore, hanno contribuito: Bruno Andreolli, Graziella Martinelli Braqglia, Cesare Vasoli, Maria Muccillo, Antonino Poppi, Annarita Angelini, Cristóvão Marinheiro, Marco Cavina e Umberto Casari) e però monografico al tempo stesso la riuscita ricostruzione del pensiero di un logico fuori corrente e dunque per lo più dimenticato. Ne riparleremo nelle pagine dedicate a Bernardi nell’atteso volume sulla storia della filosofia del Rinascimento, curato da Enno Rudoph per il ciclopico Ueberwegs Grundriss der Philosophie, di prossima apparizione (Basel 2010), la più importante opera di riferimento per la storia della filosofia, pagine che senza il volume curato da Forlivesi non sarebbero state nemmeno pensabili.
Antonio Bernardi della Mirandola (1502-1565), ed. Marco Forlivesi (Firenze: Olschki, 2009)
POZZO, Riccardo
2009-01-01
Abstract
Nato a Mirandola da una nobile famiglia di provenienza milanese nel 1502, Antonio Bernardi della Mirandola conduce una vita in gran parte esterna al mondo delle università. Studia filosofia a Bologna dove segue le lezioni di Pietro Pomponazzi e Ludovico Boccadiferro, ma le incombenze relative agli studi teologici e all’ordinazione lasciano passare più tempo del solito e così Bernardi si laurea all’Università di Ferrara solo nel 1533 sotto la direzione di Giovanni Mainardi e Antonio Musa Brasavola. Nel 1533 viene incaricato dell’insegnamento della logica all’Università di Bologna, che svolge dal semestre invernale 1533/34 fino a quello del 1536/37, non senza che la provocatorietà delle sue tesi provochi forti critiche da parte degli averroisti, dei tomisti, dei simpliciani e dagli scotisti. Nel 1537 è promosso alla cattedra straordinaria di filosofia, alla quale accede leggendo de auditu physico nel semestre invernale 1537/38 e de coelo et mundo nel semestre invernale 1538/39 (come recitano i rotuli, citati a p. 116s.). L’emblematista Achille Bocchi dedica a Bernardi il simbolo 62 delle Symbolicarum quaestionum de universo genere […] libri quinque (Bologna 1555), il simbolo della dialettica, divina e socratica facultas, riconoscendo a Bernardi un orientamento platonico-ciceroniano e dunque antiaristotelico, antiapodittico e sermocinale. Ma già qui, nota opportunamente Annarita Angelini, saltano agli occhi le difficoltà della posizione di Bernardi, che apre il fianco a interpretazioni della scienza suprema di Platone in una mera ars sermocinalis, sganciando l’ars bene disserendi dalla sua origine noetica e facendone l’espressione più completa della modalità dianoetica del sapere (p. 120). In verità, però, Bernardi ripete senza timore di ridondanza la sua adesione all’aristotelismo di Aristotele, prima cioè della pletora degli interpreti, quasi sempre fuorvianti, se non addirittura falsi e in cattiva fede (p. 121). Scrive Bernardi nella prefazione della In universam logicam institutio (Basilea 1545, fol. A2r-v): “Paulus Venetus et Petrus Hispanus [...] tantum enim absunt [...] a sternenda ad Aristotelis cognitionem via, ut omnem etiam ad illam auditum praeclusisse videantur [...] pleraque etiam tradunt, quae a peripatetica ratione atque doctrina abhorrent”. Più della professione di fede aristotelica, colpisce i contemporanei la tesi di Bernardi circa l’estraneità delle Categoriae dall’Organon. Tesi questa, scrive Angelini, che per quanto ricondotta dal suo formulatore alla richiesta di un ripristino della puritas aristotelica, “sgancia la logica, e parimenti la dialettica, da qualunque vincolo metafisico e ne esalta la dimensione esclusivamente instrumentalis” (p. 123). Si tratta di una riattribuzione di competenze che conferisce alla logica una neutralità e una versatilità che nessun altro livello del sapere le avrebbe potuto contendere (p. 125). Centrale, in Bernardi, l’approccio epistemologico, basato sul sintagma modus cognoscendi, che diventerà di uso comune dopo l’appropriazione della strumentalità della logica da parte di Jacopo Zabarella (1533-1589). Per Bernardi, il soggetto proprio della logica non sono né le orazioni né le categorie, ma esclusivamente il modo di conoscere (p. 37). La logica nulla ha a che fare con le categorie, visto che si occupa esclusivamente delle regole che conducono alla costruzione di proposizioni, definizioni e sillogismi (p. 55). Se da una parte Bernardi nega dunque che le seconde intenzioni, i concetti di concetti, siano oggetti della logica, per se stesse o in quanto aggiunte alle prime intenzioni (p. 93), la sua concezione rispetto alla natura degli universali lo colloca nei ranghi dei più decisi sostenitori del realismo (p. 63). Un fatto gravissimo verificatosi nel corso del 1539, sul quale però non si trovano informazioni nel volume (nonostante la menzione a p. 183), porta Bernardi ad abbandonare Bologna e l’insegnamento universitario per spostarsi a Roma, come segretario del vescovo di Maiorca, il bolognese Giambattista Campeggi. Entrato nel 1540 alla corte papale al seguito del cardinale Alessandro Farnese (nipote ancora adolescente di papa Paolo III), Bernardi inizia una fortunata carriera ecclesiastica e diplomatica, contribuendo alla soluzione di casi assai intricati, come ad esempio la riconciliazione tra Ottavio Farnese e Ferrante Gonzaga. Nominato vescovo di Caserta nel 1552, nel 1557 è a Parma, sempre al seguito del giovane cardinale Farnese. Nel 1559 riceve tra le sue prebende l’Abbazia di Sant’Andrea di Dovadola presso Forlì. Muore a Bologna il 18 o il 19 giugno 1565. Per il suo funerale, nel giugno del 1565, l’Accademia degli Storditi allestì una grande cerimonia nella Basilica di San Petronio. La posizione filosofica di Bernardi appare caratterizzata da una notevole indipendenza. Nato all’inizio del sedicesimo secolo, Bernardi segue Niccolò Leonico Tomeo (1456-1531) e precede Bernardino Tomitano (1517-1576) e Francesco Piccolomini (1523-1607). Come loro, il suo rifiuto del naturalismo di Pomponazzi è nettissimo. La sua critica investe i primi nove capitoli del De immortalitate animae tentando alla luce della ragione e di una diversa lettura dei testi aristotelici di dissolvere le argomentazioni del Peretto a favore della mortalità simpliciter e dell’immortalità secundum quid. Rovesciando l’istanza di Pomponazzi, Bernardi obietta che proprio perché l’intelletto non è fantasia e non è riducibile ai sensi, ma si serve della fantasia, ne segue che non è assolutamente inseparabile dal corpo e materiale, ma è astratto, indivisibile e eterno (p. 99s.). La replica di Bernardi va nella direzione di una conciliazione tra platonismo e aristotelismo, non a caso la migliore garanzia per la salvaguardia della fede cristiana. Il grande merito di Bernardi va visto nell’aver saputo creare i presupposti per un dialogo che non c’è mai stato, almeno su carta, ma che si è svolto invece tra le righe: il dialogo tra gli eredi della topica di Cicerone e Quintiliano, i logici umanaisti Lorenzo Valla (1407-1457), Rodolfo Agricola (1442-1485), Pietro Ramo (1515-1522) e i logici aristotelici italiani Marco Antonio de’ Passeri detto il Genoa (1491-1563), Francesco Patrizzi (1529-1597), oltre ai già nominati Tomitano, Piccolomini e Zabarella. Al curatore Marco Forlivesi vanno i complimenti degli studiosi che apprezzano in un volume collettaneo (assieme al curatore, hanno contribuito: Bruno Andreolli, Graziella Martinelli Braqglia, Cesare Vasoli, Maria Muccillo, Antonino Poppi, Annarita Angelini, Cristóvão Marinheiro, Marco Cavina e Umberto Casari) e però monografico al tempo stesso la riuscita ricostruzione del pensiero di un logico fuori corrente e dunque per lo più dimenticato. Ne riparleremo nelle pagine dedicate a Bernardi nell’atteso volume sulla storia della filosofia del Rinascimento, curato da Enno Rudoph per il ciclopico Ueberwegs Grundriss der Philosophie, di prossima apparizione (Basel 2010), la più importante opera di riferimento per la storia della filosofia, pagine che senza il volume curato da Forlivesi non sarebbero state nemmeno pensabili.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.