Nel 1766, quattro anni dopo la morte del suo maestro Alexander Gottlieb Baumgarten, Meier tradusse in tedesco la sua Metaphysica (Olms, Hildesheim-New York 1982, 17391; trad. ted. Metaphysik, a cura di G. F. Meier, Hemmerde, Halle 1766), ma prima, tra il 1755 e il 1759, ne aveva composta una più ampia versione in tedesco, pubblicata a proprio nome e però sulla base dei dictata di Baumgarten, come Meier candidamente dichiarava nella Prefazione. Il testo della seconda edizione, del 1765, è stato riedito da Michael Albrecht per la collana di materiali che accompagna i Gesammelte Werke di Wolff. Come già indicato da Baumgarten, l’obiettivo di Meier è «trattare i concetti della metafisica che sono utili e pratici in un modo tale che non solo siano fertili e fondati, ma comprensibili e intelligibili per chiunque voglia conoscere la natura di questa scienza» (vol. I, p. 2). L’ontologia è dunque utile in quanto contiene i lineamenti della teoria della conoscenza. In altre parole, Meier interpreta la metafisica epistemologicamente, e all’ontologia spetta la mediazione tra scientiae sermocinales e scientiae reales. La conoscenza umana è capace «di una certezza piena», e devono esserci «principi o verità fondamentali siffatti […], che sono i primi principi di tutta la conoscenza umana» (ibid.); persino gli scettici devono ammettere «che vi sono molti concetti e giudizi che nel genere umano sono accettati come ragioni sulle quali si fonda la più piena convinzione» (vol. I, p. 3). Si tratta insomma di usare l’ontologia senza pregiudizi, e qui Meier va ben al di là di Locke e sostiene tesi che né Wolff né Baumgarten avevano formulato. Bisogna infatti distinguere tra una «vera» e «genuina» metafisica e le sue forme degenerate, dove la «ächte Metaphysik» è certamente quella di Wolff, e dunque «una conoscenza distinta sulla base di ragioni certe e indistruttibili» (vol. I, p. 7), che merita il nome di scienza e deve poter «dimostrare nel modo più fondato fintanto che lo permettono i limiti dell’intelletto umano» (vol. I, p. 7).

Georg Friedrich Meier, Metaphysik (Hildesheim: Olms, 2007)

POZZO, Riccardo
2009-01-01

Abstract

Nel 1766, quattro anni dopo la morte del suo maestro Alexander Gottlieb Baumgarten, Meier tradusse in tedesco la sua Metaphysica (Olms, Hildesheim-New York 1982, 17391; trad. ted. Metaphysik, a cura di G. F. Meier, Hemmerde, Halle 1766), ma prima, tra il 1755 e il 1759, ne aveva composta una più ampia versione in tedesco, pubblicata a proprio nome e però sulla base dei dictata di Baumgarten, come Meier candidamente dichiarava nella Prefazione. Il testo della seconda edizione, del 1765, è stato riedito da Michael Albrecht per la collana di materiali che accompagna i Gesammelte Werke di Wolff. Come già indicato da Baumgarten, l’obiettivo di Meier è «trattare i concetti della metafisica che sono utili e pratici in un modo tale che non solo siano fertili e fondati, ma comprensibili e intelligibili per chiunque voglia conoscere la natura di questa scienza» (vol. I, p. 2). L’ontologia è dunque utile in quanto contiene i lineamenti della teoria della conoscenza. In altre parole, Meier interpreta la metafisica epistemologicamente, e all’ontologia spetta la mediazione tra scientiae sermocinales e scientiae reales. La conoscenza umana è capace «di una certezza piena», e devono esserci «principi o verità fondamentali siffatti […], che sono i primi principi di tutta la conoscenza umana» (ibid.); persino gli scettici devono ammettere «che vi sono molti concetti e giudizi che nel genere umano sono accettati come ragioni sulle quali si fonda la più piena convinzione» (vol. I, p. 3). Si tratta insomma di usare l’ontologia senza pregiudizi, e qui Meier va ben al di là di Locke e sostiene tesi che né Wolff né Baumgarten avevano formulato. Bisogna infatti distinguere tra una «vera» e «genuina» metafisica e le sue forme degenerate, dove la «ächte Metaphysik» è certamente quella di Wolff, e dunque «una conoscenza distinta sulla base di ragioni certe e indistruttibili» (vol. I, p. 7), che merita il nome di scienza e deve poter «dimostrare nel modo più fondato fintanto che lo permettono i limiti dell’intelletto umano» (vol. I, p. 7).
2009
9783615702002
G.F. Meier; Illuminismo; metafisica
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