Il Grundriss der Geschichte der Philosophie, rifacimento in trenta volumi dell’opera dallo stesso titolo di Friedrich Ueberweg (che ebbe ventotto edizioni tra il 1863 e il 1928), venne avviato da Helmut Holzhey venti e più anni fa per i tipi dell’editore Schwabe di Basilea. Dei cinque dedicati all’antichità sono finora usciti il volume 2/1, sui sofisti, Socrate, i matematici e i medici (1998), il volume 3, sull’antica accademia, Aristotele e il Peripato (2004) e il volume 4/1-2, sulla filosofia ellenistica (1994), tutti a cura di Hellmut Flashar. Nessun volume è invece apparso finora tra quelli previsti, uno per argomento, per la filosofia bizantina, il Medioevo, il Rinascimento, il secolo diciannovesimo, al secolo ventesimo, alle filosofie dell’Asia e alle filosofie dell’Africa, così come mancano i tre volumi che tratteranno la filosofia islamica. Per il diciassettesimo secolo sono apparsi i volumi 1/1-2, sui temi generali, la penisola iberica e l’Italia (1998), 2/1-2, sulla Francia e l’Olanda (1993), 3/1-2, sull’Inghilterra (1988), questi a cura di Jean-Pierre Schrobinger, mentre a cura di Helmut Holzhey e Wilhelm Schmidt-Biggemann con la collaborazione di Vilem Mudroch è apparso il volume 4/1-2, sul Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca, l’Europa settentrionale e l’Europa orientale (2000). Con il volume che si presenta inizia invece la serie dei volumi dedicati alla filosofia del diciottesimo secolo. Come si vede, si tratta davvero di un’opera monumentale, rispetto alla quale è doveroso ricordare l’illustre precedente dei dieci volumi (undici nella seconda edizione) della Storia della filosofia diretta da Mario Dal Pra (Firenze, Vallardi 1975-1978; Padova, Piccin 1991-1998), anch’essa articolata in modo esaustivo per secoli e aree geografiche e che resta esemplare per chiarezza e rigore. Trenta anni di indagini su testi e ipertesti non sono però passati invano e questo volume dello Ueberweg dà indubbiamente una dimostrazione luminosa di come si possa dar forma a una compiuta indagine storico-filosofica agli albori del ventunesimo secolo. Anche se una risposta era certamente già da trovare anche nella chiusura definitiva da parte del gruppo guidato da Gregorio Piaia della Storia delle storie generali della filosofia (vol. 4/II e 5, Roma e Padova Antenore, 2004) della questione riguardante le specifiche modalità della storiografia filosofica in quanto genere letterario. Si era in verità curiosi. La domanda su dove stia andando la storia della filosofia non è certo una domanda astratta e riguarda molto concretamente questioni quali quella sollevata dai contributori del fascicolo 2 dell’annata 2003 (58) della Rivista di storia della filosofia relativamente al nesso tra storia della filosofia e storia pragmatica della filosofia. L’impressione è che, a fronte dell’attuale sterminata disponibilità di ipertesti, del mediahyper globale nel quale viviamo (e che sta venendo tematizzato con risultati sempre più rilevanti da Paolo D’Iorio presso l’Institut des Textes et Manuscrits Modernes del CNRS), si tenda sempre più a non buttare nulla e che dunque la storia pragmatica della filosofia stia prendendo il sopravvento. I curatori dello Ueberweg propongono di leggere e ricostruire a livello nazionale la filosofia del diciottesimo secolo, non ostante la sua schietta impronta cosmopolita, il suo esser fondata sull’universalità dell’umana ragione (ancora immune dall’influenza dell’idea di “nazione” collegata a uno specifico retaggio linguistico e storico-culturale, sino al contrapporsi dei vari nazionalismi e, più avanti, alla crisi del concetto stesso di “identità nazionale”). Così, il volume che si presenta è dedicato alla Gran Bretagna, l’America del Nord e l’Olanda; quelli che seguiranno alla Francia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e l’America latina, la Germania, al Scandinavia, l’Europa centrale e l’Europa orientale. Ma per esser più precisi, si può dire che la proposta sia di ricostruire la storia della filosofia del diciottesimo secolo addirittura a livello regionale, seguendo come unità di misura i bacini di utenza delle singole università. E infatti l’interazione tra storia della filosofia e storia delle istituzioni si rivela il fondamento sul quale è costruito il volume che si presenta. La sezione dedicata alla Gran Bretagna non per nulla inizia con un capitolo dedicato alla descrizione delle tradizioni coltivate in Inghilterra alle università di Oxford e Cambridge, nelle accademie dei Dissenters e nelle società scientifiche, e lo stesso schema viene replicato a proposito delle università scozzesi e irlandesi e del loro accordo o contrasto con le accademie dissenzienti e società scientifiche istituite nel loro territorio. Seguono capitoli sui moralisti della prima metà del secolo, il deismo e l’apologetica, la psicologia e la pubblicistica politica, con largo spazio alla questione dei diritti delle donne. Un intero capitolo è dedicato all’idealismo di Berkeley, un altro alla teoria della conoscenza nel solco di Locke e un altro ancora alla filosofia della natura e della scienza nella prima metà del secolo. Il nono capitolo riguarda lo scetticismo e la scienza dell’uomo di Hume, il decimo la filosofia morale e la teoria della società civile e l’undicesimo la common sense philosophy. Il dodicesimo considera la teoria del gusto e il tredicesimo i dibattiti sui diritti dell’uomo nella seconda metà del secolo; il quattordicesimo la filosofia della natura e della scienza nella seconda metà del secolo e il quindicesimo conclude la trattazione della Gran Bretagna con una disamina dell’utilitarismo. Alla filosofia nordamericana è dedicato il lungo sedicesimo capitolo, articolato in sezioni sulla storia delle università, il puritanesimo e la sua revisione, ragione e rivoluzione, la rivoluzione americana e la public philosophy. Alla filosofia olandese spettano i tre capitoli conclusivi riguardanti, rispettivamente, la filosofia nelle università, la filosofia fuori delle università, particolarmente interessante per via della diffusione dello spinozismo, e la filosofia politica. I letterati Alexander Pope (1688-1744), Jonathan Swift (1677-1745), i polemisti William Godwin (1756-1836), Mary Woolstonecraft (1759-1797), gli inventori della società civile (nonché fonti del giovane Hegel) James Steuart (1713-1780) e Adam Ferguson (1723-1816), i dotti americani Jonathan Edwards (1703-1758) e Thomas Jefferson (1743-1826), per finire con il matematico Bernard Nieuwentyt (1654-1718), che tanta parte ebbe nella contrastata diffusione dello spinozismo. Sono tutti esempi di proposte filosofiche che se di per sé non erano cristalline lo diventano grazie alla accurata messa a fuoco che ricevono in questo volume. Per ogni persona, infatti, viene proposta una ricostruzione biografica nel contesto istituzionale della sua regione, un’analisi di tutte le sue opere che riguardino materie filosofiche, una valutazione complessiva alla luce anche della storia dell’incidenza di breve e lungo periodo, nonché una bibliografia degli studi critici. Un’opera, in altre parole, che per nessuna ragione dovrebbe mancare in una biblioteca filosofica. Detto questo, sia consentita una considerazione conclusiva sulla nozione di enciclopedia filosofica oggi, che ovviamente non può avere nulla a che vedere con il tentativo di sistematizzazione del sapere filosofico di un epoca proposto, ad esempio, da Hegel. Oggi, le più recenti imprese che portano questo nome, e penso alla Routledge Enyclopedia of Philosophy, apparsa in dieci volumi nel 1998 e alla Enciclopedia filosofica di Gallarate, della quale sta per apparire una seconda edizione in numero di volumi ben maggiore degli otto della prima, sono ancora orientate a presentare un qualche migliaio di lemmi relativi a autori e concetti, con un primato in proporzione di sette a tre dei primi sui secondi. Ebbene, l’editore Schwabe ha mostrato come tener fermo a questo schema impedisca un serio avanzamento della ricerca. Una ricerca innovativa è infatti possibile solo sulla base della perfetta complementarietà che lega le ricostruzioni della storia personale dei filosofi nel contesto delle loro regioni, istituzioni e dell’opinione pubblica mondiale proposte nel Grundriss der Geschichte der Philosophie alle ricostruzioni della storia dei concetti, dalle loro prime accezioni fino agli usi più recenti, proposte nello Historisches Wörterbuch der Philosophie, anch’esso, come noto, apparso per i tipi di Schwabe e che proprio quest’anno ha raggiunto il suo completamento con il dodicesimo volume (il primo apparve nel 1972, un volume di indici è previsto per il 2006).

Die Philosophie des 18. Jahrhunderts, Band 1: Großbritannien und Nordamerika, Niederlande, ed. Helmut Holzhey et al. (Basel: Schwabe, 2004)

POZZO, Riccardo
2007-01-01

Abstract

Il Grundriss der Geschichte der Philosophie, rifacimento in trenta volumi dell’opera dallo stesso titolo di Friedrich Ueberweg (che ebbe ventotto edizioni tra il 1863 e il 1928), venne avviato da Helmut Holzhey venti e più anni fa per i tipi dell’editore Schwabe di Basilea. Dei cinque dedicati all’antichità sono finora usciti il volume 2/1, sui sofisti, Socrate, i matematici e i medici (1998), il volume 3, sull’antica accademia, Aristotele e il Peripato (2004) e il volume 4/1-2, sulla filosofia ellenistica (1994), tutti a cura di Hellmut Flashar. Nessun volume è invece apparso finora tra quelli previsti, uno per argomento, per la filosofia bizantina, il Medioevo, il Rinascimento, il secolo diciannovesimo, al secolo ventesimo, alle filosofie dell’Asia e alle filosofie dell’Africa, così come mancano i tre volumi che tratteranno la filosofia islamica. Per il diciassettesimo secolo sono apparsi i volumi 1/1-2, sui temi generali, la penisola iberica e l’Italia (1998), 2/1-2, sulla Francia e l’Olanda (1993), 3/1-2, sull’Inghilterra (1988), questi a cura di Jean-Pierre Schrobinger, mentre a cura di Helmut Holzhey e Wilhelm Schmidt-Biggemann con la collaborazione di Vilem Mudroch è apparso il volume 4/1-2, sul Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca, l’Europa settentrionale e l’Europa orientale (2000). Con il volume che si presenta inizia invece la serie dei volumi dedicati alla filosofia del diciottesimo secolo. Come si vede, si tratta davvero di un’opera monumentale, rispetto alla quale è doveroso ricordare l’illustre precedente dei dieci volumi (undici nella seconda edizione) della Storia della filosofia diretta da Mario Dal Pra (Firenze, Vallardi 1975-1978; Padova, Piccin 1991-1998), anch’essa articolata in modo esaustivo per secoli e aree geografiche e che resta esemplare per chiarezza e rigore. Trenta anni di indagini su testi e ipertesti non sono però passati invano e questo volume dello Ueberweg dà indubbiamente una dimostrazione luminosa di come si possa dar forma a una compiuta indagine storico-filosofica agli albori del ventunesimo secolo. Anche se una risposta era certamente già da trovare anche nella chiusura definitiva da parte del gruppo guidato da Gregorio Piaia della Storia delle storie generali della filosofia (vol. 4/II e 5, Roma e Padova Antenore, 2004) della questione riguardante le specifiche modalità della storiografia filosofica in quanto genere letterario. Si era in verità curiosi. La domanda su dove stia andando la storia della filosofia non è certo una domanda astratta e riguarda molto concretamente questioni quali quella sollevata dai contributori del fascicolo 2 dell’annata 2003 (58) della Rivista di storia della filosofia relativamente al nesso tra storia della filosofia e storia pragmatica della filosofia. L’impressione è che, a fronte dell’attuale sterminata disponibilità di ipertesti, del mediahyper globale nel quale viviamo (e che sta venendo tematizzato con risultati sempre più rilevanti da Paolo D’Iorio presso l’Institut des Textes et Manuscrits Modernes del CNRS), si tenda sempre più a non buttare nulla e che dunque la storia pragmatica della filosofia stia prendendo il sopravvento. I curatori dello Ueberweg propongono di leggere e ricostruire a livello nazionale la filosofia del diciottesimo secolo, non ostante la sua schietta impronta cosmopolita, il suo esser fondata sull’universalità dell’umana ragione (ancora immune dall’influenza dell’idea di “nazione” collegata a uno specifico retaggio linguistico e storico-culturale, sino al contrapporsi dei vari nazionalismi e, più avanti, alla crisi del concetto stesso di “identità nazionale”). Così, il volume che si presenta è dedicato alla Gran Bretagna, l’America del Nord e l’Olanda; quelli che seguiranno alla Francia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e l’America latina, la Germania, al Scandinavia, l’Europa centrale e l’Europa orientale. Ma per esser più precisi, si può dire che la proposta sia di ricostruire la storia della filosofia del diciottesimo secolo addirittura a livello regionale, seguendo come unità di misura i bacini di utenza delle singole università. E infatti l’interazione tra storia della filosofia e storia delle istituzioni si rivela il fondamento sul quale è costruito il volume che si presenta. La sezione dedicata alla Gran Bretagna non per nulla inizia con un capitolo dedicato alla descrizione delle tradizioni coltivate in Inghilterra alle università di Oxford e Cambridge, nelle accademie dei Dissenters e nelle società scientifiche, e lo stesso schema viene replicato a proposito delle università scozzesi e irlandesi e del loro accordo o contrasto con le accademie dissenzienti e società scientifiche istituite nel loro territorio. Seguono capitoli sui moralisti della prima metà del secolo, il deismo e l’apologetica, la psicologia e la pubblicistica politica, con largo spazio alla questione dei diritti delle donne. Un intero capitolo è dedicato all’idealismo di Berkeley, un altro alla teoria della conoscenza nel solco di Locke e un altro ancora alla filosofia della natura e della scienza nella prima metà del secolo. Il nono capitolo riguarda lo scetticismo e la scienza dell’uomo di Hume, il decimo la filosofia morale e la teoria della società civile e l’undicesimo la common sense philosophy. Il dodicesimo considera la teoria del gusto e il tredicesimo i dibattiti sui diritti dell’uomo nella seconda metà del secolo; il quattordicesimo la filosofia della natura e della scienza nella seconda metà del secolo e il quindicesimo conclude la trattazione della Gran Bretagna con una disamina dell’utilitarismo. Alla filosofia nordamericana è dedicato il lungo sedicesimo capitolo, articolato in sezioni sulla storia delle università, il puritanesimo e la sua revisione, ragione e rivoluzione, la rivoluzione americana e la public philosophy. Alla filosofia olandese spettano i tre capitoli conclusivi riguardanti, rispettivamente, la filosofia nelle università, la filosofia fuori delle università, particolarmente interessante per via della diffusione dello spinozismo, e la filosofia politica. I letterati Alexander Pope (1688-1744), Jonathan Swift (1677-1745), i polemisti William Godwin (1756-1836), Mary Woolstonecraft (1759-1797), gli inventori della società civile (nonché fonti del giovane Hegel) James Steuart (1713-1780) e Adam Ferguson (1723-1816), i dotti americani Jonathan Edwards (1703-1758) e Thomas Jefferson (1743-1826), per finire con il matematico Bernard Nieuwentyt (1654-1718), che tanta parte ebbe nella contrastata diffusione dello spinozismo. Sono tutti esempi di proposte filosofiche che se di per sé non erano cristalline lo diventano grazie alla accurata messa a fuoco che ricevono in questo volume. Per ogni persona, infatti, viene proposta una ricostruzione biografica nel contesto istituzionale della sua regione, un’analisi di tutte le sue opere che riguardino materie filosofiche, una valutazione complessiva alla luce anche della storia dell’incidenza di breve e lungo periodo, nonché una bibliografia degli studi critici. Un’opera, in altre parole, che per nessuna ragione dovrebbe mancare in una biblioteca filosofica. Detto questo, sia consentita una considerazione conclusiva sulla nozione di enciclopedia filosofica oggi, che ovviamente non può avere nulla a che vedere con il tentativo di sistematizzazione del sapere filosofico di un epoca proposto, ad esempio, da Hegel. Oggi, le più recenti imprese che portano questo nome, e penso alla Routledge Enyclopedia of Philosophy, apparsa in dieci volumi nel 1998 e alla Enciclopedia filosofica di Gallarate, della quale sta per apparire una seconda edizione in numero di volumi ben maggiore degli otto della prima, sono ancora orientate a presentare un qualche migliaio di lemmi relativi a autori e concetti, con un primato in proporzione di sette a tre dei primi sui secondi. Ebbene, l’editore Schwabe ha mostrato come tener fermo a questo schema impedisca un serio avanzamento della ricerca. Una ricerca innovativa è infatti possibile solo sulla base della perfetta complementarietà che lega le ricostruzioni della storia personale dei filosofi nel contesto delle loro regioni, istituzioni e dell’opinione pubblica mondiale proposte nel Grundriss der Geschichte der Philosophie alle ricostruzioni della storia dei concetti, dalle loro prime accezioni fino agli usi più recenti, proposte nello Historisches Wörterbuch der Philosophie, anch’esso, come noto, apparso per i tipi di Schwabe e che proprio quest’anno ha raggiunto il suo completamento con il dodicesimo volume (il primo apparve nel 1972, un volume di indici è previsto per il 2006).
2007
9783796519871
cartesianismo; Illuminismo; senso comune
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/346733
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