Nel panorama complesso dell’estrema destra italiana il ruolo svolto dal Veneto, e da Verona in particolare, come rampa di lancio di iniziative xenofobe e razziste si coniuga ormai da quindici anni in qua con vistose ricadute politiche a livello locale e poi con la gestione da parte della Lega e dei suoi esponenti più in vista, dal trevigiano Gentilini al veronese Tosi, della cosa pubblica. Si è trattato di un cammino in costante ascesa nel quale un “fronte veneto” fatto di ultras del calcio e di teste rasate più e meno in doppiopetto, assieme a vari gruppi di clericali integralisti, è riuscito ad insinuarsi giorno dopo giorno, con le proprie idee e i propri programmi, nei più diversi strati sociali sino ad insediarsi vittoriosamente ai vertici del governo di alcuni dei maggiori centri urbani della regione, come appunto Verona. Al posto del vecchio localismo piccolo borghese degli artisti, dei versificatori e dei cantori della veronesità fioriti fra Otto e Novecento (da Berto Barbarani ad Angelo Dall’Oca Bianca), si è fatto largo un condensato di nozioni identitarie rudimentali che si compendia nella difesa strenua di un territorio sentito come proprio e intangibile, da preservare con ogni mezzo dall’intrusione di stranieri ed estranei. Linguaggi e stili di vita, fenomeni di costume e atteggiamenti mentali si incrociano con i riusi della tradizione nel segno del tradizionalismo, con la demagogia dei messaggi populisti, ma anche con l’eredità del moderatismo sia liberale che cattolico. Ricercatori e studiosi, quasi tutti veronesi, si sono interrogati sulle radici e quindi sulla storia di un fenomeno che, pur con le sue peculiarità locali o regionali, aiuta a inquadrare e a meglio comprendere le grandi trasformazioni dalle quali è stato investito l’intero paese, esposto ad un mutamento di tipo quasi genetico delle proprie strutture mentali e culturali.

«Heil Hellas!»: tenere la destra in curva. Sociabilità e immaginario della destra radicale sugli spalti scaligeri

DILEMMI, Andrea
2009-01-01

Abstract

Nel panorama complesso dell’estrema destra italiana il ruolo svolto dal Veneto, e da Verona in particolare, come rampa di lancio di iniziative xenofobe e razziste si coniuga ormai da quindici anni in qua con vistose ricadute politiche a livello locale e poi con la gestione da parte della Lega e dei suoi esponenti più in vista, dal trevigiano Gentilini al veronese Tosi, della cosa pubblica. Si è trattato di un cammino in costante ascesa nel quale un “fronte veneto” fatto di ultras del calcio e di teste rasate più e meno in doppiopetto, assieme a vari gruppi di clericali integralisti, è riuscito ad insinuarsi giorno dopo giorno, con le proprie idee e i propri programmi, nei più diversi strati sociali sino ad insediarsi vittoriosamente ai vertici del governo di alcuni dei maggiori centri urbani della regione, come appunto Verona. Al posto del vecchio localismo piccolo borghese degli artisti, dei versificatori e dei cantori della veronesità fioriti fra Otto e Novecento (da Berto Barbarani ad Angelo Dall’Oca Bianca), si è fatto largo un condensato di nozioni identitarie rudimentali che si compendia nella difesa strenua di un territorio sentito come proprio e intangibile, da preservare con ogni mezzo dall’intrusione di stranieri ed estranei. Linguaggi e stili di vita, fenomeni di costume e atteggiamenti mentali si incrociano con i riusi della tradizione nel segno del tradizionalismo, con la demagogia dei messaggi populisti, ma anche con l’eredità del moderatismo sia liberale che cattolico. Ricercatori e studiosi, quasi tutti veronesi, si sono interrogati sulle radici e quindi sulla storia di un fenomeno che, pur con le sue peculiarità locali o regionali, aiuta a inquadrare e a meglio comprendere le grandi trasformazioni dalle quali è stato investito l’intero paese, esposto ad un mutamento di tipo quasi genetico delle proprie strutture mentali e culturali.
2009
Storia di Verona; Ultras; Neofascismo
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