La configurabilità del rapporto di impresa familiare nel caso in cui un soggetto presti la propria collaborazione a favore di una società cui appartenga un suo congiunto è oggetto di contrastanti opinioni. Ad un orientamento che esclude tale configurabilità, in base ad argomenti letterali e derivanti dalle difficoltà di coordinamento della disciplina dell’istituto con quella societaria, si contrappone un’opposta teoria che, sia pur talora con alcuni distinguo, la ammette. Esigenze sostanziali, volte a tutelare gli interessi dei familiari collaboratori e ad evitare ingiustificate disparità di trattamento, conducono a ritenere il rapporto di impresa familiare compatibile con l’esercizio in forma societaria dell’attività di impresa, sia pur solo relativamente alla quota del familiare socio. In questo modo si superano, almeno in parte, le difficoltà di coordinamento con la disciplina societaria, talora ritenute preclusive del riconoscimento dell’applicabilità dell’istituto, e si opta per una soluzione più equilibrata, peraltro in grado di evitare fenomeni elusivi (come l’intestazione di una quota di capitale, magari minima, ad un soggetto terzo, che secondo parte della dottrina pure escluderebbe l’applicazione dell’art. 230 bis, destinato ad operare solo quando il collaboratore sia parente o affine di tutti i soci).

Sull’applicabilità dell’art. 230 bis nel caso di esercizio in forma societaria dell’impresa

BUTTURINI, Paolo
2006-01-01

Abstract

La configurabilità del rapporto di impresa familiare nel caso in cui un soggetto presti la propria collaborazione a favore di una società cui appartenga un suo congiunto è oggetto di contrastanti opinioni. Ad un orientamento che esclude tale configurabilità, in base ad argomenti letterali e derivanti dalle difficoltà di coordinamento della disciplina dell’istituto con quella societaria, si contrappone un’opposta teoria che, sia pur talora con alcuni distinguo, la ammette. Esigenze sostanziali, volte a tutelare gli interessi dei familiari collaboratori e ad evitare ingiustificate disparità di trattamento, conducono a ritenere il rapporto di impresa familiare compatibile con l’esercizio in forma societaria dell’attività di impresa, sia pur solo relativamente alla quota del familiare socio. In questo modo si superano, almeno in parte, le difficoltà di coordinamento con la disciplina societaria, talora ritenute preclusive del riconoscimento dell’applicabilità dell’istituto, e si opta per una soluzione più equilibrata, peraltro in grado di evitare fenomeni elusivi (come l’intestazione di una quota di capitale, magari minima, ad un soggetto terzo, che secondo parte della dottrina pure escluderebbe l’applicazione dell’art. 230 bis, destinato ad operare solo quando il collaboratore sia parente o affine di tutti i soci).
2006
impresa familiare; collaborazione prestata a congiunto socio di società di persone
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/333147
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