Riprendendo il termine francese «milieu» Dilthey sviluppa una complessa teoria dell’interazione ambientale che rappresenta un significativo ripensamento del fenomeno della vita rispetto all’impostazione kantiana. Già il termine «finalismo» assume un senso ben differente: nelle Idee su una psicologia descrittiva e analitica il «finalismo soggettivo» della struttura psichica non è più un principio euristico del nostro intelletto, ma diventa un momento costitutivo immanente alla struttura stessa: rappresenta l’intenzionalità della vita psichica; a maggior ragione questo vale per il «finalismo obiettivo» alla base della considerazione biologica, quello capace di orientare efficacemente ai valori dell’utile e del dannoso e in tal modo di assicurare la conservazione dell’individuo e della specie attivando la sfera affettiva del piacere e dispiacere. Sarebbe un grave errore leggere tale svolta come una riconduzione del finalismo in una prospettiva riduzionistica: accanto all’intenzionalità biologica, tesa ad una proficua interazione con l’ambiente, Dilthey prevede infatti una intenzionalità eccedente la logica dell’adattamento e tipica dell’uomo. Scheler sviluppa questa prospettiva fino a negare esplicitamente il carattere intellettualistico e rappresentazionale della sensazione (la sensazione non si costituisce in base a Vorstellungen ma solo in base a Bilder): l’organismo nella sensazione coglie solo il valore di una marcatura ambientale e non il portatore concreto che sta dietro tale marcatura. In tal modo già l’organismo “fa uso” di «idee adeguate» e non di «idee vere» in quanto rimane del tutto disinteressato rispetto alla corrispondenza teoretica vero/falso fra rappresentazione e oggetto, focalizzando piuttosto la propria attenzione esclusivamente sulla rilevanza organica che arreca il valore di tale marcatura.

Intenzionalità e antropologia: una convergenza fra Dilthey e Scheler

CUSINATO, Guido
2007-01-01

Abstract

Riprendendo il termine francese «milieu» Dilthey sviluppa una complessa teoria dell’interazione ambientale che rappresenta un significativo ripensamento del fenomeno della vita rispetto all’impostazione kantiana. Già il termine «finalismo» assume un senso ben differente: nelle Idee su una psicologia descrittiva e analitica il «finalismo soggettivo» della struttura psichica non è più un principio euristico del nostro intelletto, ma diventa un momento costitutivo immanente alla struttura stessa: rappresenta l’intenzionalità della vita psichica; a maggior ragione questo vale per il «finalismo obiettivo» alla base della considerazione biologica, quello capace di orientare efficacemente ai valori dell’utile e del dannoso e in tal modo di assicurare la conservazione dell’individuo e della specie attivando la sfera affettiva del piacere e dispiacere. Sarebbe un grave errore leggere tale svolta come una riconduzione del finalismo in una prospettiva riduzionistica: accanto all’intenzionalità biologica, tesa ad una proficua interazione con l’ambiente, Dilthey prevede infatti una intenzionalità eccedente la logica dell’adattamento e tipica dell’uomo. Scheler sviluppa questa prospettiva fino a negare esplicitamente il carattere intellettualistico e rappresentazionale della sensazione (la sensazione non si costituisce in base a Vorstellungen ma solo in base a Bilder): l’organismo nella sensazione coglie solo il valore di una marcatura ambientale e non il portatore concreto che sta dietro tale marcatura. In tal modo già l’organismo “fa uso” di «idee adeguate» e non di «idee vere» in quanto rimane del tutto disinteressato rispetto alla corrispondenza teoretica vero/falso fra rappresentazione e oggetto, focalizzando piuttosto la propria attenzione esclusivamente sulla rilevanza organica che arreca il valore di tale marcatura.
2007
intenzionalità; antropologia; Scheler; Dilthey; organismo; ambiente
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/318876
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