Il britannico Alex Garland sta consolidando un percorso autoriale interessato a rappresentare non tanto la guerra in sé, quanto la sua messa in scena adottando modalità di racconto radicali prive di ornamenti retorici di sorta. Con Civil War (2024) e Warfare – Tempo di guerra (2025) Garland firma due opere complementari che, pur diversissime, condividono un obiettivo comune: sottrarre la narrazione del conflitto armato all’epica tradizionale per restituirlo quale esperienza percettiva e traumatica. Passato e distopia che sono legati agli Stati Uniti: da un lato il racconto di uno ieri storicizzato, quasi forense, relativo a una missione in Iraq, dall’altro un domani ipotetico, nel frattempo tornato a essere probabile con la rielezione di Trump nel novembre scorso. Le due trame si possono riconoscere in un dittico che interroga i media, lo sguardo e la memoria. Al centro resta il ruolo dell’immagine – fotografica e cinematografica – come testimonianza instabile, sospesa tra vero e falso. È in questa tensione aporetica che Garland rilegge e riscrive il tessuto del war movie contemporaneo, trasformandolo in una diagnosi spietata del nostro orizzonte doppio, ossia quello che pertiene al passato e quello che traguarda a un futuro sempre più minaccioso e prossimo alla guerra.

La guerra di Alex Garland

Lotti, denis
2025-01-01

Abstract

Il britannico Alex Garland sta consolidando un percorso autoriale interessato a rappresentare non tanto la guerra in sé, quanto la sua messa in scena adottando modalità di racconto radicali prive di ornamenti retorici di sorta. Con Civil War (2024) e Warfare – Tempo di guerra (2025) Garland firma due opere complementari che, pur diversissime, condividono un obiettivo comune: sottrarre la narrazione del conflitto armato all’epica tradizionale per restituirlo quale esperienza percettiva e traumatica. Passato e distopia che sono legati agli Stati Uniti: da un lato il racconto di uno ieri storicizzato, quasi forense, relativo a una missione in Iraq, dall’altro un domani ipotetico, nel frattempo tornato a essere probabile con la rielezione di Trump nel novembre scorso. Le due trame si possono riconoscere in un dittico che interroga i media, lo sguardo e la memoria. Al centro resta il ruolo dell’immagine – fotografica e cinematografica – come testimonianza instabile, sospesa tra vero e falso. È in questa tensione aporetica che Garland rilegge e riscrive il tessuto del war movie contemporaneo, trasformandolo in una diagnosi spietata del nostro orizzonte doppio, ossia quello che pertiene al passato e quello che traguarda a un futuro sempre più minaccioso e prossimo alla guerra.
2025
guerra
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