Fin dall'antichità l’arte ha sempre cercato una relazione con la natura, l’ambiente, il paesaggio: come esplorazione del mondo e ricerca identitaria (le pitture rupestri di epoca paleolitica e neolitica), a scopo prevalentemente decorativo (affreschi e trompe l'oeil nella pittura parietale romana) o come modello da imitare e riprodurre (sia in epoca classica che rinascimentale); come elemento accessorio (per lo più come sfondo) e simbolico nell'ambito della pittura di storia e nella ritrattistica o come genere autonomo con la nascita della pittura di paesaggio. Nell’Ottocento, con il Romanticismo, natura e paesaggio vengono percepiti come manifestazione dell’infinito e principio del tutto, mentre con l’Impressionismo nasce la pittura en plan air: gli artisti lasciano i propri studi per dipingere nella natura, per sentirla. Ma se fino a questo momento il rapporto tra arte, natura, ambiente e paesaggio si riscontra per lo più in pittura, nel Novecento un progressivo allontanamento degli artisti da un approccio mimetico e imitativo nei confronti della realtà porta a una sostanziale smaterializzazione dell'immagine e dell'oggetto artistico e anche il rapporto tra arte, natura, ambiente e paesaggio muta rapidamente per farsi prima distaccato, poi immersivo ed esperienziale. Così, se l’Ultimo Naturalismo, negli anni Cinquanta, sembrava sancire la fine di questo sodalizio, l’Arte Povera nei Sessanta arriva a utilizzare gli elementi stessi della natura come oggetto e soggetto dell’opera d'arte, mentre nei Settanta la Land Art trasforma ambiente e paesaggio nel luogo prediletto di operazioni su larga scala, tanto spettacolari quanto condizionate dall’inevitabile scorrere del tempo. Proprio in questo contesto si sviluppano approcci di tipo trasversale, che recuperano un certo senso esistenziale nel rapporto con l’ambiente e il paesaggio, puntando tutta l’attenzione sull’esperienza, sullo stare nella natura e “attraversarla lasciandosi attraversare”. La mostra si propone di imbastire un dialogo tra un ristretto gruppo di artisti che a partire dagli anni Settanta hanno sperimentato nuovi approcci di stampo marcatamente esperienziale con il fare artistico in relazione alla natura, all’ambiente, al paesaggio:Hamish Fulton, Daniele Girardi, Ron Griffin e Richard Long. Long e Fulton, artisti storici e di riconosciuta fama internazionale, dalla fine degli anni Sessanta hanno fatto di un’azione elementare come il camminare nell’ambiente naturale, l’oggetto e il soggetto della propria ricerca artistica: il primo registrando l’azione stessa e le alterazioni possibili che il suo comportamento opera nell’ambiente con la creazione di forme geometriche semplici attraverso l’uso di pietre o di altri elementi trovati; il secondo riducendo al massimo il proprio intervento e riconducendo a questo gesto primario il senso ancestrale che sta alla base del nostro esistere per ritrovare un rapporto diretto con l’ambiente naturale quale tramite di un processo di meditazione e di autocoscienza. Griffin e Girardi ne raccolgono il testimone con approcci per certi versi simili e contrari: Griffin ritrova il senso del suo operare in lunghe esplorazioni dei deserti americani dove riscoprire il senso di una vita nomade a stretto contatto con un ambiente aspro e respingente di cui restituisce tracce materiali che ricordano la presenza, il passaggio dell’uomo in quegli spazi; Girardi fa coincidere, invece, l’esperienza artistica con il viaggio - fisico ed esistenziale, reale e metaforico – in un’accezione immersiva, permeabile, assoluta in cui abbandonare le vie tracciate per immergersi nella natura selvaggia. Per tutti questi artisti l’arte si trasforma da qualcosa che si crea a qualcosa che si vive, che si esplica e si fruisce con l’esperienza, fino a diventare totale identificazione tra arte e vita, in un binomio inscindibile e necessario. Tutto il resto, la componente oggettuale del loro lavoro, non è che un resto, una sindone, una testimonianza dell’esperienza stessa, un mezzo necessario a comunicarla, mostrarla, ricordarla. Il titolo scelto dai curatori per questo progetto deriva da una celebre opera di Richard Long del 1967, A Line Made by Walking, una linea disegnata calpestando l’erba di un campo. «Il risultato di questa azione è un segno che rimarrà impresso solo nella pellicola fotografica e che scomparirà al rialzarsi dell’erba. Per la sua assoluta radicalità e semplicità formale quest’opera è considerata un passaggio fondamentale dell’arte contemporanea: da questo momento il camminare si trasforma in forma d'arte autonoma. In particolare, si tratta di un’opera germinale per il tipo di lavoro e di ricerca che, non solo Richard Long, ma anche Hamish Fulton, Ron Griffin e Daniele Girardi hanno e stanno sviluppando, una ricerca che – al di là delle specificità di ognuno – segue e sviluppa una comune linea di pensiero alla cui base stanno il viaggio e l’esplorazione dello spazio, quest’ultimo inteso non più come sito in cui inserire l’oggetto-opera (scultura e arte pubblica) o come paesaggio in cui intervenire in modo macroscopico (Land Art) ma come luogo di un’esperienza estetica immersiva e totalizzante che nell’innovare il modo di fare arte rispetto ai mezzi tradizionali ci riporta indietro nel tempo per riconoscere una forma più pura, diretta e autentica di relazionarci con il mondo». (J. Bianchera, G. Lorenzoni). Proprio riprendendo il concetto chiave della produzione dei quattro artisti – l’andare, l’attraversare, il fare esperienza di un luogo – la mostra si sviluppa come un percorso diffuso in quattro sedi castellari della Val di Non: Castel Belasi, Castel Coredo, Castel Nanno e Castel Valer. Fulcro della mostra è lo spazio tardo duecentesco di Castel Belasi - legato alla famiglia Khuen e riccamente decorato con affreschi del Cinquecento che richiamano il modello decorativo del refettorio del castello del Buonconsiglio di Trento. Il castello è stato sottoposto a recente restauro, grazie al quale sono state portate alla luce importanti decorazioni intorno alle porte dei saloni ed è stata svelata una facciata affrescata di notevole fattura. In questa sede si troveranno una selezione di lavori per lo più inediti di Long, Fulton e Griffin appartenenti alla Panza Collection, che ha una fruttuosa e lunga storia espositiva con il territorio trentino tra cui la prima mostra della collezione, risalente al 1996 presso Palazzo delle Albere (Trento) e The Panza Collection / Conceptual Art realizzata nel 2010 al MART - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (il quale è anche titolare di un prestito quinquennale). Delle 21 opere in mostra a Castel Belasi solo 6 sono già state esposte, mentre 15 sono completamente inedite. Di queste 21, inoltre, 6 sono state parte della Collezione Guggenheim New York dal 1996 al 2003.

A line made by walking

Jessica Bianchera
Writing – Original Draft Preparation
;
2022-01-01

Abstract

Fin dall'antichità l’arte ha sempre cercato una relazione con la natura, l’ambiente, il paesaggio: come esplorazione del mondo e ricerca identitaria (le pitture rupestri di epoca paleolitica e neolitica), a scopo prevalentemente decorativo (affreschi e trompe l'oeil nella pittura parietale romana) o come modello da imitare e riprodurre (sia in epoca classica che rinascimentale); come elemento accessorio (per lo più come sfondo) e simbolico nell'ambito della pittura di storia e nella ritrattistica o come genere autonomo con la nascita della pittura di paesaggio. Nell’Ottocento, con il Romanticismo, natura e paesaggio vengono percepiti come manifestazione dell’infinito e principio del tutto, mentre con l’Impressionismo nasce la pittura en plan air: gli artisti lasciano i propri studi per dipingere nella natura, per sentirla. Ma se fino a questo momento il rapporto tra arte, natura, ambiente e paesaggio si riscontra per lo più in pittura, nel Novecento un progressivo allontanamento degli artisti da un approccio mimetico e imitativo nei confronti della realtà porta a una sostanziale smaterializzazione dell'immagine e dell'oggetto artistico e anche il rapporto tra arte, natura, ambiente e paesaggio muta rapidamente per farsi prima distaccato, poi immersivo ed esperienziale. Così, se l’Ultimo Naturalismo, negli anni Cinquanta, sembrava sancire la fine di questo sodalizio, l’Arte Povera nei Sessanta arriva a utilizzare gli elementi stessi della natura come oggetto e soggetto dell’opera d'arte, mentre nei Settanta la Land Art trasforma ambiente e paesaggio nel luogo prediletto di operazioni su larga scala, tanto spettacolari quanto condizionate dall’inevitabile scorrere del tempo. Proprio in questo contesto si sviluppano approcci di tipo trasversale, che recuperano un certo senso esistenziale nel rapporto con l’ambiente e il paesaggio, puntando tutta l’attenzione sull’esperienza, sullo stare nella natura e “attraversarla lasciandosi attraversare”. La mostra si propone di imbastire un dialogo tra un ristretto gruppo di artisti che a partire dagli anni Settanta hanno sperimentato nuovi approcci di stampo marcatamente esperienziale con il fare artistico in relazione alla natura, all’ambiente, al paesaggio:Hamish Fulton, Daniele Girardi, Ron Griffin e Richard Long. Long e Fulton, artisti storici e di riconosciuta fama internazionale, dalla fine degli anni Sessanta hanno fatto di un’azione elementare come il camminare nell’ambiente naturale, l’oggetto e il soggetto della propria ricerca artistica: il primo registrando l’azione stessa e le alterazioni possibili che il suo comportamento opera nell’ambiente con la creazione di forme geometriche semplici attraverso l’uso di pietre o di altri elementi trovati; il secondo riducendo al massimo il proprio intervento e riconducendo a questo gesto primario il senso ancestrale che sta alla base del nostro esistere per ritrovare un rapporto diretto con l’ambiente naturale quale tramite di un processo di meditazione e di autocoscienza. Griffin e Girardi ne raccolgono il testimone con approcci per certi versi simili e contrari: Griffin ritrova il senso del suo operare in lunghe esplorazioni dei deserti americani dove riscoprire il senso di una vita nomade a stretto contatto con un ambiente aspro e respingente di cui restituisce tracce materiali che ricordano la presenza, il passaggio dell’uomo in quegli spazi; Girardi fa coincidere, invece, l’esperienza artistica con il viaggio - fisico ed esistenziale, reale e metaforico – in un’accezione immersiva, permeabile, assoluta in cui abbandonare le vie tracciate per immergersi nella natura selvaggia. Per tutti questi artisti l’arte si trasforma da qualcosa che si crea a qualcosa che si vive, che si esplica e si fruisce con l’esperienza, fino a diventare totale identificazione tra arte e vita, in un binomio inscindibile e necessario. Tutto il resto, la componente oggettuale del loro lavoro, non è che un resto, una sindone, una testimonianza dell’esperienza stessa, un mezzo necessario a comunicarla, mostrarla, ricordarla. Il titolo scelto dai curatori per questo progetto deriva da una celebre opera di Richard Long del 1967, A Line Made by Walking, una linea disegnata calpestando l’erba di un campo. «Il risultato di questa azione è un segno che rimarrà impresso solo nella pellicola fotografica e che scomparirà al rialzarsi dell’erba. Per la sua assoluta radicalità e semplicità formale quest’opera è considerata un passaggio fondamentale dell’arte contemporanea: da questo momento il camminare si trasforma in forma d'arte autonoma. In particolare, si tratta di un’opera germinale per il tipo di lavoro e di ricerca che, non solo Richard Long, ma anche Hamish Fulton, Ron Griffin e Daniele Girardi hanno e stanno sviluppando, una ricerca che – al di là delle specificità di ognuno – segue e sviluppa una comune linea di pensiero alla cui base stanno il viaggio e l’esplorazione dello spazio, quest’ultimo inteso non più come sito in cui inserire l’oggetto-opera (scultura e arte pubblica) o come paesaggio in cui intervenire in modo macroscopico (Land Art) ma come luogo di un’esperienza estetica immersiva e totalizzante che nell’innovare il modo di fare arte rispetto ai mezzi tradizionali ci riporta indietro nel tempo per riconoscere una forma più pura, diretta e autentica di relazionarci con il mondo». (J. Bianchera, G. Lorenzoni). Proprio riprendendo il concetto chiave della produzione dei quattro artisti – l’andare, l’attraversare, il fare esperienza di un luogo – la mostra si sviluppa come un percorso diffuso in quattro sedi castellari della Val di Non: Castel Belasi, Castel Coredo, Castel Nanno e Castel Valer. Fulcro della mostra è lo spazio tardo duecentesco di Castel Belasi - legato alla famiglia Khuen e riccamente decorato con affreschi del Cinquecento che richiamano il modello decorativo del refettorio del castello del Buonconsiglio di Trento. Il castello è stato sottoposto a recente restauro, grazie al quale sono state portate alla luce importanti decorazioni intorno alle porte dei saloni ed è stata svelata una facciata affrescata di notevole fattura. In questa sede si troveranno una selezione di lavori per lo più inediti di Long, Fulton e Griffin appartenenti alla Panza Collection, che ha una fruttuosa e lunga storia espositiva con il territorio trentino tra cui la prima mostra della collezione, risalente al 1996 presso Palazzo delle Albere (Trento) e The Panza Collection / Conceptual Art realizzata nel 2010 al MART - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto (il quale è anche titolare di un prestito quinquennale). Delle 21 opere in mostra a Castel Belasi solo 6 sono già state esposte, mentre 15 sono completamente inedite. Di queste 21, inoltre, 6 sono state parte della Collezione Guggenheim New York dal 1996 al 2003.
2022
9791280581471
richard long, hamish fulton, daniele girardi, ron griffin, arte contemporanea, natura, esperienza, camminare, pratiche artistiche
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/1120947
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