A pochi giorni dalla chiusura della mostra Bruce Nauman: Disappear-ing Acts al Museum of Modern Art (18 febbraio 2019) e al MoMA PS1 (25 febbraio 2019) di New York, si apriva alla Yale University Art Gallery di New Haven (Connecticut) Matthew Barney: Redoubt (dal 1° marzo 2019). La prima (Bruce Nauman,itinerante dallo Schau-lager di Basel) è una retrospettiva che approfondisce e omaggia i termini della scomposizione e decostruzione del corpo, del linguag-gio e dello spazio, sviluppati dall’artista nell’arco della sua carriera; la seconda (destinata poi a migrare al Center for Contemporary Art di Beijing e alla Hayward Gallery di Londra) esibisce l’ultima e più recente produzione cinematografica e scultorea di Barney. Questo saggio intende riflettere in particolare su due delle opere esposte in quelle occasioni: Hanging Carousel (George Skins a Fox) (1988), di Nauman, e Redoubt (2018), di Barney. Al di là del tema cardine della caccia, comune a entrambi i lavori, le reciproche affinità e convergenze rimandano ad altri aspetti so-ciali e antropologici legati alla storia e alla cultura nordamericane (o meglio, come vedremo, a ben determinate culture e identità), in cui il confronto con l’animale selvatico assume un ruolo fondamen-tale e fondativo. All’interno delle due opere in esame, la presenza dei predatori che popolano le praterie e le foreste nordamerica-ne (lupo, coyote, volpe) può essere letta secondo molteplici livelli di significati e significanti; gli animali infatti 1) si collocano come presenze focali nell’impianto grammaticale dell’opera, 2) transitano nello spazio fisico e metafisico dell’opera da uno stadio vitale a uno di morte, 3) rivestono il ruolo di polo di resistenza e opposizione alle azioni umane, riassumibili nell’atto della caccia e scansionabili in processi, tecniche e riti che portano, all’apice del confronto, a una risoluzione di morte per il predatore divenuto preda, 4) assumono valore simbolico per l’artista in relazione all’ambiente in cui vive, ha vissuto o ha ambientato l’opera, 5) entrano in scena filtrati da scher-mi, monitor che ne restituiscono una nuova immagine elettronica e stabiliscono un nuovo tipo di contatto e rapporto con l’osservatore (inteso come doppio: artista e spettatore).Il metodo che guida questa breve ricerca si muove tra una storio-grafia critica dell’arte – che tiene conto delle prospettive storico-ar-tistiche e socio-antropologiche – e i visual studies, basati sullo studio dell’ontologia delle immagini e sull’archeologia dei media.Il tema centrale, che rappresenta anche la tesi di questo saggio, può essere individuato nella scelta dei due artisti di portare al centro della loro opera una ben precisa tipologia di animali selvatici, co-munemente considerati predatori, per assegnarvi un ruolo di prede dell’essere umano cacciatore
Ristabilire l’ordine animale: riti e confini, tra mito e reale in Bruce Nauman e Matthew Barney
Bochicchio Luca
2022-01-01
Abstract
A pochi giorni dalla chiusura della mostra Bruce Nauman: Disappear-ing Acts al Museum of Modern Art (18 febbraio 2019) e al MoMA PS1 (25 febbraio 2019) di New York, si apriva alla Yale University Art Gallery di New Haven (Connecticut) Matthew Barney: Redoubt (dal 1° marzo 2019). La prima (Bruce Nauman,itinerante dallo Schau-lager di Basel) è una retrospettiva che approfondisce e omaggia i termini della scomposizione e decostruzione del corpo, del linguag-gio e dello spazio, sviluppati dall’artista nell’arco della sua carriera; la seconda (destinata poi a migrare al Center for Contemporary Art di Beijing e alla Hayward Gallery di Londra) esibisce l’ultima e più recente produzione cinematografica e scultorea di Barney. Questo saggio intende riflettere in particolare su due delle opere esposte in quelle occasioni: Hanging Carousel (George Skins a Fox) (1988), di Nauman, e Redoubt (2018), di Barney. Al di là del tema cardine della caccia, comune a entrambi i lavori, le reciproche affinità e convergenze rimandano ad altri aspetti so-ciali e antropologici legati alla storia e alla cultura nordamericane (o meglio, come vedremo, a ben determinate culture e identità), in cui il confronto con l’animale selvatico assume un ruolo fondamen-tale e fondativo. All’interno delle due opere in esame, la presenza dei predatori che popolano le praterie e le foreste nordamerica-ne (lupo, coyote, volpe) può essere letta secondo molteplici livelli di significati e significanti; gli animali infatti 1) si collocano come presenze focali nell’impianto grammaticale dell’opera, 2) transitano nello spazio fisico e metafisico dell’opera da uno stadio vitale a uno di morte, 3) rivestono il ruolo di polo di resistenza e opposizione alle azioni umane, riassumibili nell’atto della caccia e scansionabili in processi, tecniche e riti che portano, all’apice del confronto, a una risoluzione di morte per il predatore divenuto preda, 4) assumono valore simbolico per l’artista in relazione all’ambiente in cui vive, ha vissuto o ha ambientato l’opera, 5) entrano in scena filtrati da scher-mi, monitor che ne restituiscono una nuova immagine elettronica e stabiliscono un nuovo tipo di contatto e rapporto con l’osservatore (inteso come doppio: artista e spettatore).Il metodo che guida questa breve ricerca si muove tra una storio-grafia critica dell’arte – che tiene conto delle prospettive storico-ar-tistiche e socio-antropologiche – e i visual studies, basati sullo studio dell’ontologia delle immagini e sull’archeologia dei media.Il tema centrale, che rappresenta anche la tesi di questo saggio, può essere individuato nella scelta dei due artisti di portare al centro della loro opera una ben precisa tipologia di animali selvatici, co-munemente considerati predatori, per assegnarvi un ruolo di prede dell’essere umano cacciatoreFile | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
Bochicchio.pdf
accesso aperto
Tipologia:
Versione dell'editore
Licenza:
Creative commons
Dimensione
1.24 MB
Formato
Adobe PDF
|
1.24 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.