Se i luoghi della politica delle donne sono stati in un primo momento le piazze o le case private, il consolidamento delle pratiche ha rivelato l’esigenza di fondare dei luoghi pubblici e “stanziali”, come librerie o Case delle donne, centri interculturali, redazioni. La necessità di diffondere cultura femminista nel campo della salute – si pensi alla maternità e alla sessualità consapevole o alla lotta per la depenalizzazione dell’aborto – ha portato, per esempio, al bisogno di partecipare alla gestione dei consultori (Fattorini, 2014) o alla fondazione dei servizi territoriali per la Salute mentale Donna, mentre l’affermazione di una visione femminista dei rapporti conflittuali tra i sessi, e la loro giurisdizione, sosteneva la nascita dei centri antiviolenza (Creazzo, 2010). Queste fondazioni iniziate alla metà degli anni ’70, e ancora in corso, testimoniano le trasformazioni di cui è capace la politica delle donne; se si è trattato da una parte di una disseminazione all’interno di istituzioni già esistenti, dall’altra di apertura dell’inedito nello spazio sociale: in entrambi i casi ciò ha permesso l’inaugurazione di un nuovo posizionamento politico delle donne perché, grazie e attraverso le relazioni instaurate in questi luoghi con altre, è diventato possibile negoziare diversamente i propri bisogni e la propria esistenza simbolica non più da sole, non più soltanto oppresse. In questo senso li definiamo “spazi terzi”, in quanto luoghi relazionali che, valorizzando il vissuto soggettivo e l’esperienza corporea di ognuna, permettono la mediazione con le istituzioni e la realtà sociale da una posizione di forza o, per meglio dire, empoderada. Si tratta di luoghi in cui donne in relazione sono “capaci di trovare una misura per il proprio stare orientate da uno sguardo che attraversa e oltrepassa le mete e le misure sociali per sporgersi oltre e fare accadere qualcosa, farla ad-venire qui” (Muraro, 2001, p. 236). Questi spazi sono scuole di confronto, spesso laceranti, espressione della vitalità della ricerca che fa pulsare il possibile del femminile quando la parola circola libera da un dover essere e un dover fare.
Diventare donne d'azione
Maria Livia Alga
2020-01-01
Abstract
Se i luoghi della politica delle donne sono stati in un primo momento le piazze o le case private, il consolidamento delle pratiche ha rivelato l’esigenza di fondare dei luoghi pubblici e “stanziali”, come librerie o Case delle donne, centri interculturali, redazioni. La necessità di diffondere cultura femminista nel campo della salute – si pensi alla maternità e alla sessualità consapevole o alla lotta per la depenalizzazione dell’aborto – ha portato, per esempio, al bisogno di partecipare alla gestione dei consultori (Fattorini, 2014) o alla fondazione dei servizi territoriali per la Salute mentale Donna, mentre l’affermazione di una visione femminista dei rapporti conflittuali tra i sessi, e la loro giurisdizione, sosteneva la nascita dei centri antiviolenza (Creazzo, 2010). Queste fondazioni iniziate alla metà degli anni ’70, e ancora in corso, testimoniano le trasformazioni di cui è capace la politica delle donne; se si è trattato da una parte di una disseminazione all’interno di istituzioni già esistenti, dall’altra di apertura dell’inedito nello spazio sociale: in entrambi i casi ciò ha permesso l’inaugurazione di un nuovo posizionamento politico delle donne perché, grazie e attraverso le relazioni instaurate in questi luoghi con altre, è diventato possibile negoziare diversamente i propri bisogni e la propria esistenza simbolica non più da sole, non più soltanto oppresse. In questo senso li definiamo “spazi terzi”, in quanto luoghi relazionali che, valorizzando il vissuto soggettivo e l’esperienza corporea di ognuna, permettono la mediazione con le istituzioni e la realtà sociale da una posizione di forza o, per meglio dire, empoderada. Si tratta di luoghi in cui donne in relazione sono “capaci di trovare una misura per il proprio stare orientate da uno sguardo che attraversa e oltrepassa le mete e le misure sociali per sporgersi oltre e fare accadere qualcosa, farla ad-venire qui” (Muraro, 2001, p. 236). Questi spazi sono scuole di confronto, spesso laceranti, espressione della vitalità della ricerca che fa pulsare il possibile del femminile quando la parola circola libera da un dover essere e un dover fare.File | Dimensione | Formato | |
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Alga, Cima, a cura di, Allargare il cerchio 31 07 2020 (1) (9) (1) (2)-5-12.pdf
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