Il recesso del Regno Unito dall’Unione europea ha determinato la cessazione del mandato di due giudici e di un avvocato generale, nonché il trasferimento di sedi di due agenzie europee, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e l’Autorità europea per il lavoro (Ela). La Corte di giustizia, attraverso due sentenze emesse il 14 luglio 2022, ha dichiarato l’inoppugnabilità, per difetto di giurisdizione, delle decisioni adottate formalmente dai rappresentanti dei governi degli Stati membri che hanno determinato tali cambiamenti istituzionali. Secondo l’art. 263 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sono impugnabili solo gli atti delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione europea, senza alcun riferimento esplicito agli atti dei rappresentanti dei governi degli Stati membri. Si tratterebbe di limiti giurisdizionali esplicitamente previsti per preservare l’autonomia delle decisioni degli Stati membri da interferenze delle istituzioni dell’Unione. Tuttavia, l’identificazione dell’autore effettivo di tali atti presenta difficoltà oggettive, poiché non è sempre chiaro se i rappresentanti dei governi degli Stati membri abbiano agito come membri del Consiglio, del Consiglio europeo o come soggetti sovrani. Per affrontare tali problemi, la Corte sembra aver sviluppato nel corso degli anni un criterio basato sulla valorizzazione dell’autore dell’atto impugnato secondo quanto stabilito dai trattati (componente normativa) e sull’analisi delle circostanze di adozione dell’atto e del suo contenuto (componente fattuale). Questo approccio presenta però notevoli incertezze, poiché l’interazione tra le due componenti può portare a risultati diversi a seconda della loro prevalenza, senza una previsione sempre chiara del fattore determinante. In alcuni casi, ciò può condurre alla negazione della giurisdizione da parte della Corte, anche quando i presupposti sembrano esserci, o all’affermazione della giurisdizione quando sembra non esserci. In questo contesto, il presente articolo si propone di analizzare come la Corte di giustizia abbia attribuito gli atti impugnati al loro autore nelle recenti sentenze Ema ed Ela, al fine di indagare i limiti di tale approccio e, più in generale, gli effetti che ne derivano. L’analisi conclude per l’inidoneità del paradigma a identificare l’autore effettivo dell’atto.

La qualificazione delle decisioni adottate dai rappresentanti dei governi degli Stati membri ai fini della loro sindacabilità: alcune osservazioni a margine delle sentenze gemelle della Corte di giustizia nei casi Ema ed Ela.

Valeria Amenta
Investigation
2023-01-01

Abstract

Il recesso del Regno Unito dall’Unione europea ha determinato la cessazione del mandato di due giudici e di un avvocato generale, nonché il trasferimento di sedi di due agenzie europee, l’Agenzia europea per i medicinali (Ema) e l’Autorità europea per il lavoro (Ela). La Corte di giustizia, attraverso due sentenze emesse il 14 luglio 2022, ha dichiarato l’inoppugnabilità, per difetto di giurisdizione, delle decisioni adottate formalmente dai rappresentanti dei governi degli Stati membri che hanno determinato tali cambiamenti istituzionali. Secondo l’art. 263 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sono impugnabili solo gli atti delle istituzioni, degli organi e degli organismi dell’Unione europea, senza alcun riferimento esplicito agli atti dei rappresentanti dei governi degli Stati membri. Si tratterebbe di limiti giurisdizionali esplicitamente previsti per preservare l’autonomia delle decisioni degli Stati membri da interferenze delle istituzioni dell’Unione. Tuttavia, l’identificazione dell’autore effettivo di tali atti presenta difficoltà oggettive, poiché non è sempre chiaro se i rappresentanti dei governi degli Stati membri abbiano agito come membri del Consiglio, del Consiglio europeo o come soggetti sovrani. Per affrontare tali problemi, la Corte sembra aver sviluppato nel corso degli anni un criterio basato sulla valorizzazione dell’autore dell’atto impugnato secondo quanto stabilito dai trattati (componente normativa) e sull’analisi delle circostanze di adozione dell’atto e del suo contenuto (componente fattuale). Questo approccio presenta però notevoli incertezze, poiché l’interazione tra le due componenti può portare a risultati diversi a seconda della loro prevalenza, senza una previsione sempre chiara del fattore determinante. In alcuni casi, ciò può condurre alla negazione della giurisdizione da parte della Corte, anche quando i presupposti sembrano esserci, o all’affermazione della giurisdizione quando sembra non esserci. In questo contesto, il presente articolo si propone di analizzare come la Corte di giustizia abbia attribuito gli atti impugnati al loro autore nelle recenti sentenze Ema ed Ela, al fine di indagare i limiti di tale approccio e, più in generale, gli effetti che ne derivano. L’analisi conclude per l’inidoneità del paradigma a identificare l’autore effettivo dell’atto.
2023
giurisdizione, Corte di giustizia, criterio di imputazione dell’atto
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/1106807
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