Diversamente dall’oggetto della scienza, l’oggetto della letteratura non completa lo sguardo di chi lo contempla, ma ne mostra semmai l’irriducibile mancanza. In questo senso Barthes affermava nella lezione inaugurale al Collège de France che: “il sapere che la letteratura mobilita non è mai né assoluto né ultimo; la letteratura non dice che essa sa qualcosa, ma che sa di qualcosa; o meglio: che ne sa qualcosa – che la sa lunga sugli uomini.” Ciò che l’oggetto letterario mostra allo sguardo del lettore non è infatti qualcosa che egli potrà un giorno possedere come si possiede una pietra. Noi non possiamo prendere in mano i nostri sentimenti e sollevarli come si solleva una pietra. Possiamo però prenderli per mano, o meglio, lasciarci prendere la mano da quell’oggetto che dal testo ci chiama a sé. Questo meccanismo seduttivo è espresso molto bene in Teorema laddove Pasolini, invece di raccontarci le caratteristiche di quell’oggetto che tutti desiderano, ci racconta la mancanza entro cui questo si situa. In questo modo Pasolini ci conduce alla contemplazione di un oggetto che sparisce allo sguardo per riaffiorare al desiderio, per riaffiorare cioè in quello spazio vuoto che la scienza non può colmare e che, non a caso, Lacan definisce “reale”, distinguendolo dalla realtà. La realtà concreta e materiale di qualsiasi oggetto non potrà infatti mai assumere quel peso reale che ha l’oggetto quando questi diventa l’oggetto del nostro desiderio. Certo questo suo essere reale non può che affiorare come un inganno. Se infatti è vero che “sedurre significa incarnare, agli occhi dell’altro, la sua attesa” allora è vero che la seduzione si compie sempre – e solo – in quello spazio vuoto lasciato vacante, non tanto dall’oggetto, quanto dal nostro bisogno di averlo. Il “teorema” diventa allora il paradosso scelto da Pasolini proprio per descrivere la logica del desiderio, una logica inscritta nel bisogno di avere ciò che sempre e comunque si sottrae.

L'altro lato dell'amore. Alcune considerazioni etiche sul desiderio e sulla malinconia

andrea nicolini
2018-01-01

Abstract

Diversamente dall’oggetto della scienza, l’oggetto della letteratura non completa lo sguardo di chi lo contempla, ma ne mostra semmai l’irriducibile mancanza. In questo senso Barthes affermava nella lezione inaugurale al Collège de France che: “il sapere che la letteratura mobilita non è mai né assoluto né ultimo; la letteratura non dice che essa sa qualcosa, ma che sa di qualcosa; o meglio: che ne sa qualcosa – che la sa lunga sugli uomini.” Ciò che l’oggetto letterario mostra allo sguardo del lettore non è infatti qualcosa che egli potrà un giorno possedere come si possiede una pietra. Noi non possiamo prendere in mano i nostri sentimenti e sollevarli come si solleva una pietra. Possiamo però prenderli per mano, o meglio, lasciarci prendere la mano da quell’oggetto che dal testo ci chiama a sé. Questo meccanismo seduttivo è espresso molto bene in Teorema laddove Pasolini, invece di raccontarci le caratteristiche di quell’oggetto che tutti desiderano, ci racconta la mancanza entro cui questo si situa. In questo modo Pasolini ci conduce alla contemplazione di un oggetto che sparisce allo sguardo per riaffiorare al desiderio, per riaffiorare cioè in quello spazio vuoto che la scienza non può colmare e che, non a caso, Lacan definisce “reale”, distinguendolo dalla realtà. La realtà concreta e materiale di qualsiasi oggetto non potrà infatti mai assumere quel peso reale che ha l’oggetto quando questi diventa l’oggetto del nostro desiderio. Certo questo suo essere reale non può che affiorare come un inganno. Se infatti è vero che “sedurre significa incarnare, agli occhi dell’altro, la sua attesa” allora è vero che la seduzione si compie sempre – e solo – in quello spazio vuoto lasciato vacante, non tanto dall’oggetto, quanto dal nostro bisogno di averlo. Il “teorema” diventa allora il paradosso scelto da Pasolini proprio per descrivere la logica del desiderio, una logica inscritta nel bisogno di avere ciò che sempre e comunque si sottrae.
2018
desiderio, malinconia, Platone, Agamben, Freud
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