«A questo mondo non v’è nulla di certo eccetto la morte e le tasse». Così scriveva Benjamin Franklin al fisico francese Jean-Baptiste Le Roy il 13 novembre 1789, ma forse in poche altre realtà come nell’Italia odierna queste parole, che accostano morte ed imposizione fiscale, suonano angosciose. Le cifre parlano infatti chiaro per quel che riguarda le ricadute della nostra fiscalità sulle attività produttive, e dunque su quanto costituisce condizione di ogni sostentamento e progettualità. Alla base di questa abnormità del prelievo fiscale nel nostro paese rinveniamo peraltro l’esasperazione di presupposti tipici dell’età moderna, studiati con accuratezza soprattutto nella tradizione liberale propriamente detta, la quale non ha mai mancato di evidenziare nello stato, e nell’ideologia che lo sorregge, la radice ultima del problema del progressivo incremento dei poteri coercitivi fiscali. È allora con l’accettazione di una mentalità – latamente – ‘impositiva’, inculcataci fin dalla nascita, che bisogna confrontarsi (anche) quando si parla di fisco (termine che in origine designa il patrimonio pubblico, e non uno specifico settore amministrativo destinato alla riscossione dei tributi); una mentalità per la quale lo stato, ammantato da un’aura sacrale, di tutto sarebbe chiamato ad incaricarsi e, dunque, tutto potrebbe pretendere.
Imposizione fiscale e libertà. Sottrarre e ridistribuire risorse nella società contemporanea
Daniele Velo Dalbrenta
2018-01-01
Abstract
«A questo mondo non v’è nulla di certo eccetto la morte e le tasse». Così scriveva Benjamin Franklin al fisico francese Jean-Baptiste Le Roy il 13 novembre 1789, ma forse in poche altre realtà come nell’Italia odierna queste parole, che accostano morte ed imposizione fiscale, suonano angosciose. Le cifre parlano infatti chiaro per quel che riguarda le ricadute della nostra fiscalità sulle attività produttive, e dunque su quanto costituisce condizione di ogni sostentamento e progettualità. Alla base di questa abnormità del prelievo fiscale nel nostro paese rinveniamo peraltro l’esasperazione di presupposti tipici dell’età moderna, studiati con accuratezza soprattutto nella tradizione liberale propriamente detta, la quale non ha mai mancato di evidenziare nello stato, e nell’ideologia che lo sorregge, la radice ultima del problema del progressivo incremento dei poteri coercitivi fiscali. È allora con l’accettazione di una mentalità – latamente – ‘impositiva’, inculcataci fin dalla nascita, che bisogna confrontarsi (anche) quando si parla di fisco (termine che in origine designa il patrimonio pubblico, e non uno specifico settore amministrativo destinato alla riscossione dei tributi); una mentalità per la quale lo stato, ammantato da un’aura sacrale, di tutto sarebbe chiamato ad incaricarsi e, dunque, tutto potrebbe pretendere.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.