L'evoluzione del diritto internazionale, causata dalle 'forze antinomiche della conflittualità e della cooperazione' su scala globale, ha condotto nel corso del tempo a oscillazioni nella prevalenza della fonte pattizia su quella consuetudinaria. Tuttavia, dagli anni della decolonizzazione, fino alla caduta del muro di Berlino in poi, si è registrata una tendenza alla prevalenza del diritto internazionale pattizio, sia bilaterale che multilaterale, su quello consuetudinario. Alla luce dell'indiscussa importanza acquisita dal diritto convenzionale, diffusa e consistente si è dimostrata negli anni quella prassi degli Stati applicativa e al tempo stesso interpretativa delle norme pattizie, ai sensi dell'articolo 31(3)(b) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Essa merita pertanto un'attenta analisi con riferimento alla sua portata interpretativa, con riferimento alla sua caratterizzazione quale mezzo supportante un'interpretazione dinamica del trattato e infine con riferimento alla sua valenza modificativa della disposizione convenzionale cui è riferita. Se il valore della prassi successiva come mezzo di interpretazione dei trattati è consolidato e innegabile, lo stesso ampio riconoscimento non è rintracciabile con riguardo alla valenza modificativa di tale prassi, oggetto di intenso dibattito. Nonostante la ritrosia, comunque sempre meno radicata in dottrina e giurisprudenza, a riconoscere valore modificativo alla prassi successiva, che sia espressione dell'accordo di tutte le parti del trattato e caratterizzata da tutti i requisiti compatibili contemplati dall'articolo 31 (3) (b) della Convenzione di Vienna, l'analisi e la configurabilità di tale fenomeno appare inevitabile, data frequenza con cui esso si verifica e data la strutturale somiglianza della prassi successiva ad un'altra categoria di prassi degli Stati, ovvero quella rilevante, insieme all'opinio iuris, ai fini della formazione della consuetudine internazionale. Nel sistema internazionale la prassi degli Stati gioca un ruolo centrale in molti dei processi che sfociano nella creazione, modifica ed estinzione delle norme giuridiche. In altre parole, la prassi è 'an element of international law-making' e il suo rilievo quale strumento interpretativo è da ricercare nelle stesse ragioni che la rendono un elemento di law-making.
L'articolo 31 (3) (b) disciplina una prassi, sì priva dell'elemento dell'opinio iuris, ma relativa a una disposizione convenzionale, cui il consenso è già stato prestato, e fondata sull'accordo delle parti del trattato, pertanto le sue potenzialità non possono essere sminuite: essa è testimonianza della natura decentralizzata della funzione 'legislativa' del diritto internazionale. Chiedersi se la prassi successiva possa modificare la disposizione cui si riferisce significa chiedersi se sia possibile riconoscere un valore creativo di diritto a una prassi sì sprovvista di opinio iuris, ma dotata di una certa intentionality che le deriva dall'essere motivata e strettamente riferita a una disposizione convenzionale, oggetto di precedente consenso.
 Rispondere in senso affermativo a questa domanda richiede l'individuazione di una base giuridica che la legittimi, anche se, a un primo sguardo, questo sembra reso molto difficoltoso data l'espunzione dell'articolo 38 dei Draft Articles del 1966 dal testo definitivo della Convenzione di Vienna, disposizione che prevedeva esplicitamente tale possibilità.

La prassi successiva tra interpretazione, evoluzione e modifica del trattato

Vernizzi, Giulia
2018-01-01

Abstract

L'evoluzione del diritto internazionale, causata dalle 'forze antinomiche della conflittualità e della cooperazione' su scala globale, ha condotto nel corso del tempo a oscillazioni nella prevalenza della fonte pattizia su quella consuetudinaria. Tuttavia, dagli anni della decolonizzazione, fino alla caduta del muro di Berlino in poi, si è registrata una tendenza alla prevalenza del diritto internazionale pattizio, sia bilaterale che multilaterale, su quello consuetudinario. Alla luce dell'indiscussa importanza acquisita dal diritto convenzionale, diffusa e consistente si è dimostrata negli anni quella prassi degli Stati applicativa e al tempo stesso interpretativa delle norme pattizie, ai sensi dell'articolo 31(3)(b) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Essa merita pertanto un'attenta analisi con riferimento alla sua portata interpretativa, con riferimento alla sua caratterizzazione quale mezzo supportante un'interpretazione dinamica del trattato e infine con riferimento alla sua valenza modificativa della disposizione convenzionale cui è riferita. Se il valore della prassi successiva come mezzo di interpretazione dei trattati è consolidato e innegabile, lo stesso ampio riconoscimento non è rintracciabile con riguardo alla valenza modificativa di tale prassi, oggetto di intenso dibattito. Nonostante la ritrosia, comunque sempre meno radicata in dottrina e giurisprudenza, a riconoscere valore modificativo alla prassi successiva, che sia espressione dell'accordo di tutte le parti del trattato e caratterizzata da tutti i requisiti compatibili contemplati dall'articolo 31 (3) (b) della Convenzione di Vienna, l'analisi e la configurabilità di tale fenomeno appare inevitabile, data frequenza con cui esso si verifica e data la strutturale somiglianza della prassi successiva ad un'altra categoria di prassi degli Stati, ovvero quella rilevante, insieme all'opinio iuris, ai fini della formazione della consuetudine internazionale. Nel sistema internazionale la prassi degli Stati gioca un ruolo centrale in molti dei processi che sfociano nella creazione, modifica ed estinzione delle norme giuridiche. In altre parole, la prassi è 'an element of international law-making' e il suo rilievo quale strumento interpretativo è da ricercare nelle stesse ragioni che la rendono un elemento di law-making.
L'articolo 31 (3) (b) disciplina una prassi, sì priva dell'elemento dell'opinio iuris, ma relativa a una disposizione convenzionale, cui il consenso è già stato prestato, e fondata sull'accordo delle parti del trattato, pertanto le sue potenzialità non possono essere sminuite: essa è testimonianza della natura decentralizzata della funzione 'legislativa' del diritto internazionale. Chiedersi se la prassi successiva possa modificare la disposizione cui si riferisce significa chiedersi se sia possibile riconoscere un valore creativo di diritto a una prassi sì sprovvista di opinio iuris, ma dotata di una certa intentionality che le deriva dall'essere motivata e strettamente riferita a una disposizione convenzionale, oggetto di precedente consenso.
 Rispondere in senso affermativo a questa domanda richiede l'individuazione di una base giuridica che la legittimi, anche se, a un primo sguardo, questo sembra reso molto difficoltoso data l'espunzione dell'articolo 38 dei Draft Articles del 1966 dal testo definitivo della Convenzione di Vienna, disposizione che prevedeva esplicitamente tale possibilità.
2018
interpretazione dei trattati, prassi sucessiva, interpretazione autentica, interpretazione evolutiva, modifica del trattato, articolo 31, Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969
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