L’intervento mette in evidenza l’esperienza resistenziale delle donne partigiane vicentine durante la guerra di liberazione nel periodo 1943-45. Vicenza è stata definita dal capo della provincia di allora, Edgardo Preti, la provincia “più agitata”, a sottolineare come i fermenti di ribellione all’occupazione nazista e al rinato regime fascista fossero estesi ovunque nel territorio vicentino e in ogni strato sociale. Si trattò di una resistenza diffusa che coinvolse parimente uomini e donne di ogni ceto sociale e di ogni età. Madri, sorelle, fidanzate, mogli, ma anche solo ragazze e donne che davanti a quello che stava accadendo decisero di “fare” qualcosa, di impegnarsi in prima persona per cambiare le cose. Aderire alla resistenza significò per molte donne non solo portare messaggi tra un distaccamento e l'altro, rifornimento di cibo, armi e vestiario, ospitare e nascondere uomini e ragazzi, ma anche scegliere o meno l'uso della violenza. Alcune partigiane, come Juna, Anita e altre, impararono l'uso delle armi, vivevano con gli uomini in montagna e li guidavano nelle azioni armate. Altre, come Luigina ad esempio, preferirono rischiare e anche rinunciare alla propria vita piuttosto che sopprimerne una altrui. Tutte, in ogni caso, erano consapevoli che se prese e arrestate andavano incontro a un destino violento di dolore, dalla prigione alla tortura, dallo stupro all'uccisione o alla deportazione in campo di concentramento. “Ma lo fai lo stesso perché gli ideali superano la paura” ha scritto Eleonora “E per qualunque ideale che si decide di inseguire arriva sempre il momento in cui bisogna pagare”. E le donne vicentine pagarono un prezzo molto alto come testimoniano i documenti giudiziari e le perizie mediche. Su di loro si riversò una violenta e crudele repressione di nazisti e fascisti che pur di piegarle usò sistemi barbari e violenti. Per decenni le vicende di queste donne sono state coperte dal silenzio di una società bigotta e bacchettona come se fosse stato normale subire tutta quella violenza perché donne, perché partigiane. ”Eppure …se dovessi tornare indietro la mia esperienza non la venderei a nessuno …” mi ha detto Wally in un'intervista “avevo un ideale che mi sosteneva … ho pagato a caro prezzo la fede in un ideale giovanile, ma alla fine mi sono sentita ricca dentro …la libertà che abbiamo conquistato per noi, per le generazioni che sarebbero venute ci ha ripagato di tutta la nostra sofferenza”.

Donne, violenza e passione civile nella Resistenza vicentina (1943-'45)

RESIDORI, Sonia
2016-01-01

Abstract

L’intervento mette in evidenza l’esperienza resistenziale delle donne partigiane vicentine durante la guerra di liberazione nel periodo 1943-45. Vicenza è stata definita dal capo della provincia di allora, Edgardo Preti, la provincia “più agitata”, a sottolineare come i fermenti di ribellione all’occupazione nazista e al rinato regime fascista fossero estesi ovunque nel territorio vicentino e in ogni strato sociale. Si trattò di una resistenza diffusa che coinvolse parimente uomini e donne di ogni ceto sociale e di ogni età. Madri, sorelle, fidanzate, mogli, ma anche solo ragazze e donne che davanti a quello che stava accadendo decisero di “fare” qualcosa, di impegnarsi in prima persona per cambiare le cose. Aderire alla resistenza significò per molte donne non solo portare messaggi tra un distaccamento e l'altro, rifornimento di cibo, armi e vestiario, ospitare e nascondere uomini e ragazzi, ma anche scegliere o meno l'uso della violenza. Alcune partigiane, come Juna, Anita e altre, impararono l'uso delle armi, vivevano con gli uomini in montagna e li guidavano nelle azioni armate. Altre, come Luigina ad esempio, preferirono rischiare e anche rinunciare alla propria vita piuttosto che sopprimerne una altrui. Tutte, in ogni caso, erano consapevoli che se prese e arrestate andavano incontro a un destino violento di dolore, dalla prigione alla tortura, dallo stupro all'uccisione o alla deportazione in campo di concentramento. “Ma lo fai lo stesso perché gli ideali superano la paura” ha scritto Eleonora “E per qualunque ideale che si decide di inseguire arriva sempre il momento in cui bisogna pagare”. E le donne vicentine pagarono un prezzo molto alto come testimoniano i documenti giudiziari e le perizie mediche. Su di loro si riversò una violenta e crudele repressione di nazisti e fascisti che pur di piegarle usò sistemi barbari e violenti. Per decenni le vicende di queste donne sono state coperte dal silenzio di una società bigotta e bacchettona come se fosse stato normale subire tutta quella violenza perché donne, perché partigiane. ”Eppure …se dovessi tornare indietro la mia esperienza non la venderei a nessuno …” mi ha detto Wally in un'intervista “avevo un ideale che mi sosteneva … ho pagato a caro prezzo la fede in un ideale giovanile, ma alla fine mi sono sentita ricca dentro …la libertà che abbiamo conquistato per noi, per le generazioni che sarebbero venute ci ha ripagato di tutta la nostra sofferenza”.
2016
9788883148736
storia delle donne, resistenza femminile, violenza sulle donne
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/957764
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