L’impatto di Ludwig Klages sul Novecento fu enorme, anche, sebbene non solo, per le posizioni dichiaratamente antidemocratiche e antisemite espresse più volte a partire dal 1910. Nell’opera che diede al razzismo dell’ideologia nazista una fondazione filosofica nella forma di una volgarizzazione di temi della filosofia della vita, nel Mythus des 20. Jahrhunderts, Alfred Rosenberg indicava nella confusione etnica il motivo principale della crisi sociale attraversata dalla Germania negli anni della Repubblica di Weimar e suggeriva che per uscirne occorresse istituire un nuovo ordine sociale. «L’ultimo sapere di una razza è già implicito nel suo proprio mito», diceva Rosenberg a proposito della «missione» del popolo tedesco di razza ariana, la vita (destino) del quale sarebbe stata elevata al rango di «guida» della storia mondiale. Riaffiorano in Rosenberg motivi espressi da Klages, in primo luogo le antitesi tra vita e morte, intuizione e ragione, sapere mitico e sapere scientifico . I nazisti operarono a fondo per trasformare la scuola e l’università. Vennero espulsi dall’insegnamento gli oppositori del regime (in tutto 1200 docenti universitari tra il 1933 e il 1939) e vennero formulate delle inderogabili linee di politica culturale. Negli studi scientifici e letterari si vollero vedere realizzate le prestazioni specifiche del popolo tedesco, di modo che la concretezza e l’esattezza dei ricercatori tedeschi si trovavano contrapposte alle elaborazioni astratte e universalizzanti dei ricercatori stranieri (di quelli ebrei in particolare). Ma cosa significava questo rimando al concreto? Nient’altro se non il riferimento al razzismo dell’ideologia ufficiale, la quale si fondava, in sostanza, sul riconoscimento della diversità tra le razze e sul rispetto per la vita, ossia per il principio che regge le razze in quanto organismi spirituali viventi. Ogni forma di cultura, arte e scienza era vista come determinata dal sangue (Blut) della razza e dalla terra (Boden) nella quale questa aveva diritto di vivere. La nozione di spirito tedesco (deutscher Geist) veniva elevata a criterio euristico generale per valutare i risultati dell’indagine scientifica: ricorrendo ad esso si spiegavano gli errori delle posizioni dei razionalisti, dei materialisti, dei relativisti e così via. Si trattava, dunque, di un irrazionalismo dei più caparbi, che le esigenze della propaganda presto convertivano in misticismo, in religione di stato. Sul piano della prassi della ricerca, queste premesse ideologiche spinsero fisici e psicologi (per limitarsi a due esempi) a scendere in donchisciottesche polemiche volte, rispettivamente, contro la teoria einsteiniana della relatività e contro la psicoanalisi, sebbene si guardasse con favore alla psicologia analitica di Carl Gustav Jung, la cui monografia sulla Wirklichkeit der Seele ebbe largo seguito nella Germania nazista . Quando, nel 1934, gran parte della comunità scientifica tedesca si risolse a seguire l’esempio dei due premi Nobel per la fisica del 1934, Philipp Lenard e Johannes Stark, schierandosi anch’essa a fianco di Hitler, questi si trovò a disporre di una parvenza di rispettabilità culturale. Ma non fu un caso se, oberata da tali e tante costrizioni ideologiche, la scienza tedesca non solo non produsse se non rari risultati significativi, ma perse persino quello che era più importante, ovvero la corsa alla realizzazione di armi di distruzione di massa. Sui medesimi binari veniva compiendosi la nazistificazione delle facoltà filosofiche. Da una parte si dichiarava guerra al razionalismo, costringendo i suoi sostenitori o a emigrare (come accadde a Ernst Cassirer) o a chiudersi nel silenzio (come fece Karl Jaspers), dall’altra si tentava di ottenere il consenso di quanti, vicini all’irrazionalismo, erano disposti a riconoscersi nelle teorizzazioni mistico-speculative dell’ideologia ufficiale. Nasceva così un nazismo colto, accettato da quasi tutti i filosofi di allora. Un ponte tra la propaganda di partito e la filosofia accademica lo si tentò di gettare con Alfred Baeumler, che ricevette da Hitler la delega per la «vigilanza dell’intera scolarizzazione ed educazione spirituale e di concezione della vita» (Überwachung der gesamten geistigen und weltanschauulichen Schulung und Erziehung). Il razzismo di Baeumler si richiamava al realismo filosofico e alla logica del concreto teorizzata da Hegel nella Wissenschaft der Logik, sulla base dei quali pretendeva di confutare sia il materialismo sia l’idealismo «astratto e privo di immagini». Non Hegel, ma Nietzsche era però il pensatore preso a modello da Baeumler, dal quale traeva gli spunti per le sue visioni pedagogiche. La gioventù tedesca doveva portare a compimento il programma di Nietzsche. La scienza doveva insomma porsi al servizio dell’«educazione della nazione» e la morale eroica doveva propugnare il culto dell’associazione virile (Männerbund), del sangue, dell’onore e degli altri miti di quella «comunità originaria» alla quale stava ritornando il popolo tedesco. Nel mito del «soldato politico», Baeumler ribadiva infine la necessità del connubio tra pensiero e forza o, per usare un paragone storico, tra Nietzsche e Otto von Bismark . Estremamente più alto era il livello della discussione presentata nel volume collettaneo Systematische Philosophie, curato da Nicolai Hartmann, con contributi di Erich Rothacker, Otto Friedrich Bollnow, Arnold Gehlen, Hermann Wein e Heinz Heimsoeth, nel quale venivano presentati i principali orientamenti della filosofia accademica tedesca durante il Drittes Reich. In apertura, Hartmann constatava che: «La filosofia di oggi non costruisce più nessun sistema speculativo. Essa è sistematica in un altro senso, cioè nel senso del suo indagare sui nessi che legano tra loro la vita, il mondo e la comunità umana» . Infatti i temi trattati nel volume avevano riferimento solo a quattro ambiti di ricerca (i soli ritenuti ambiti propri per la filosofia nazista): l’antropologia, l’ontologia, la filosofia dell’esistenza e la filosofia della storia. Era il momento delle questioni sul senso della vita dell’uomo nel mondo e della sua collocazione nella storia. Né si può negare che gli autori sopra citati fossero immersi in ricerche profonde, frutti maturi di una grande tradizione speculativa. Ma si trattava pur sempre di elaborazioni sorte in accordo, per quanto distaccato, con l’ideologia del regime. Ad esempio, nel saggio di Rothacker la nozione di cultura è definita in termini di stili di vita, modi di condotta di vita da parte di comunità umane o gruppi. Questi gruppi, «che non devono mai essere semplici unioni, ma sempre totalità di vita, possono essere chiamati ‘popoli» . E va da sé che queste totalità di vita, in quanto organismi biologici, debbano potersi imporre anche aggredendo altre consimili totalità di vita.

Lo spirito contro l'anima: L'antisemitismo tra Klages e Heidegger

POZZO, Riccardo
2016-01-01

Abstract

L’impatto di Ludwig Klages sul Novecento fu enorme, anche, sebbene non solo, per le posizioni dichiaratamente antidemocratiche e antisemite espresse più volte a partire dal 1910. Nell’opera che diede al razzismo dell’ideologia nazista una fondazione filosofica nella forma di una volgarizzazione di temi della filosofia della vita, nel Mythus des 20. Jahrhunderts, Alfred Rosenberg indicava nella confusione etnica il motivo principale della crisi sociale attraversata dalla Germania negli anni della Repubblica di Weimar e suggeriva che per uscirne occorresse istituire un nuovo ordine sociale. «L’ultimo sapere di una razza è già implicito nel suo proprio mito», diceva Rosenberg a proposito della «missione» del popolo tedesco di razza ariana, la vita (destino) del quale sarebbe stata elevata al rango di «guida» della storia mondiale. Riaffiorano in Rosenberg motivi espressi da Klages, in primo luogo le antitesi tra vita e morte, intuizione e ragione, sapere mitico e sapere scientifico . I nazisti operarono a fondo per trasformare la scuola e l’università. Vennero espulsi dall’insegnamento gli oppositori del regime (in tutto 1200 docenti universitari tra il 1933 e il 1939) e vennero formulate delle inderogabili linee di politica culturale. Negli studi scientifici e letterari si vollero vedere realizzate le prestazioni specifiche del popolo tedesco, di modo che la concretezza e l’esattezza dei ricercatori tedeschi si trovavano contrapposte alle elaborazioni astratte e universalizzanti dei ricercatori stranieri (di quelli ebrei in particolare). Ma cosa significava questo rimando al concreto? Nient’altro se non il riferimento al razzismo dell’ideologia ufficiale, la quale si fondava, in sostanza, sul riconoscimento della diversità tra le razze e sul rispetto per la vita, ossia per il principio che regge le razze in quanto organismi spirituali viventi. Ogni forma di cultura, arte e scienza era vista come determinata dal sangue (Blut) della razza e dalla terra (Boden) nella quale questa aveva diritto di vivere. La nozione di spirito tedesco (deutscher Geist) veniva elevata a criterio euristico generale per valutare i risultati dell’indagine scientifica: ricorrendo ad esso si spiegavano gli errori delle posizioni dei razionalisti, dei materialisti, dei relativisti e così via. Si trattava, dunque, di un irrazionalismo dei più caparbi, che le esigenze della propaganda presto convertivano in misticismo, in religione di stato. Sul piano della prassi della ricerca, queste premesse ideologiche spinsero fisici e psicologi (per limitarsi a due esempi) a scendere in donchisciottesche polemiche volte, rispettivamente, contro la teoria einsteiniana della relatività e contro la psicoanalisi, sebbene si guardasse con favore alla psicologia analitica di Carl Gustav Jung, la cui monografia sulla Wirklichkeit der Seele ebbe largo seguito nella Germania nazista . Quando, nel 1934, gran parte della comunità scientifica tedesca si risolse a seguire l’esempio dei due premi Nobel per la fisica del 1934, Philipp Lenard e Johannes Stark, schierandosi anch’essa a fianco di Hitler, questi si trovò a disporre di una parvenza di rispettabilità culturale. Ma non fu un caso se, oberata da tali e tante costrizioni ideologiche, la scienza tedesca non solo non produsse se non rari risultati significativi, ma perse persino quello che era più importante, ovvero la corsa alla realizzazione di armi di distruzione di massa. Sui medesimi binari veniva compiendosi la nazistificazione delle facoltà filosofiche. Da una parte si dichiarava guerra al razionalismo, costringendo i suoi sostenitori o a emigrare (come accadde a Ernst Cassirer) o a chiudersi nel silenzio (come fece Karl Jaspers), dall’altra si tentava di ottenere il consenso di quanti, vicini all’irrazionalismo, erano disposti a riconoscersi nelle teorizzazioni mistico-speculative dell’ideologia ufficiale. Nasceva così un nazismo colto, accettato da quasi tutti i filosofi di allora. Un ponte tra la propaganda di partito e la filosofia accademica lo si tentò di gettare con Alfred Baeumler, che ricevette da Hitler la delega per la «vigilanza dell’intera scolarizzazione ed educazione spirituale e di concezione della vita» (Überwachung der gesamten geistigen und weltanschauulichen Schulung und Erziehung). Il razzismo di Baeumler si richiamava al realismo filosofico e alla logica del concreto teorizzata da Hegel nella Wissenschaft der Logik, sulla base dei quali pretendeva di confutare sia il materialismo sia l’idealismo «astratto e privo di immagini». Non Hegel, ma Nietzsche era però il pensatore preso a modello da Baeumler, dal quale traeva gli spunti per le sue visioni pedagogiche. La gioventù tedesca doveva portare a compimento il programma di Nietzsche. La scienza doveva insomma porsi al servizio dell’«educazione della nazione» e la morale eroica doveva propugnare il culto dell’associazione virile (Männerbund), del sangue, dell’onore e degli altri miti di quella «comunità originaria» alla quale stava ritornando il popolo tedesco. Nel mito del «soldato politico», Baeumler ribadiva infine la necessità del connubio tra pensiero e forza o, per usare un paragone storico, tra Nietzsche e Otto von Bismark . Estremamente più alto era il livello della discussione presentata nel volume collettaneo Systematische Philosophie, curato da Nicolai Hartmann, con contributi di Erich Rothacker, Otto Friedrich Bollnow, Arnold Gehlen, Hermann Wein e Heinz Heimsoeth, nel quale venivano presentati i principali orientamenti della filosofia accademica tedesca durante il Drittes Reich. In apertura, Hartmann constatava che: «La filosofia di oggi non costruisce più nessun sistema speculativo. Essa è sistematica in un altro senso, cioè nel senso del suo indagare sui nessi che legano tra loro la vita, il mondo e la comunità umana» . Infatti i temi trattati nel volume avevano riferimento solo a quattro ambiti di ricerca (i soli ritenuti ambiti propri per la filosofia nazista): l’antropologia, l’ontologia, la filosofia dell’esistenza e la filosofia della storia. Era il momento delle questioni sul senso della vita dell’uomo nel mondo e della sua collocazione nella storia. Né si può negare che gli autori sopra citati fossero immersi in ricerche profonde, frutti maturi di una grande tradizione speculativa. Ma si trattava pur sempre di elaborazioni sorte in accordo, per quanto distaccato, con l’ideologia del regime. Ad esempio, nel saggio di Rothacker la nozione di cultura è definita in termini di stili di vita, modi di condotta di vita da parte di comunità umane o gruppi. Questi gruppi, «che non devono mai essere semplici unioni, ma sempre totalità di vita, possono essere chiamati ‘popoli» . E va da sé che queste totalità di vita, in quanto organismi biologici, debbano potersi imporre anche aggredendo altre consimili totalità di vita.
2016
97888857535791
Ludwig Klages
Martin Heidegger
antisemitismo
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