Abstract - Indagare il tema della sofferenza nei testi assiro-babilonesi significa affrontare lo studio non solo della concezione mesopotamica del dolore, ma soprattutto delle parole e delle espressioni che la caratterizzano. Dall’analisi dei testi medici - sia diagnostici sia terapeutici - emerge che i termini utilizzati in particolare da asû e āšipu, i due professionisti della guarigione, fanno parte di un vocabolario che può essere definito a tutti gli effetti specialistico. Diverse sono, nei testi assiro-babilonesi di fine II e inizio I millennio a.C., le parole e le espressioni utilizzate per descrivere il dolore provato dal malato; tra le più frequenti il verbo akālu, che in italiano si può rendere “mangiare, far male/divorare”. Accanto a questo vocabolo ci sono altre parole che esprimono specifiche tipologie di dolore, quali il “dolore pungente” (zaqātu), il “dolore pulsante” (maḫāṣu), il “dolore tormentoso” (kasāsu) e il “dolore penetrante” (dikšu), le quali descrivono la sofferenza provata tramite la figura retorica della metafora. Un’indicazione generale della sofferenza si ha dal verbo marāṣu e dal sostantivo murṣu (“essere ammalati/ammalarsi”, “malattia”). Inoltre, tramite verbi caratteristici, quali “afferrare” (ṣabātu), “toccare” (lapātu), “raggiungere” (kašādu), si esprime il contatto di divinità, demoni o spiriti dei defunti che provocano la malattia. Un approccio antropologico, affiancato da uno linguistico, tenta di approfondire lo studio della concezione mesopotamica del dolore e delle sensazioni da esso provocate. I vocaboli presi in esame possono essere presenti non solo nei testi medici, ma anche nei testi letterari, nei cosiddetti omina e nelle lettere reali, anche se, fatta eccezione per queste ultime e per il poema noto come Ludlul bēl nēmeqi, con frequenza minore. Lo scopo del presente lavoro è quello di esaminare i diversi modi in cui si era soliti esprimere la sofferenza del malato, sia fisica che psichica; un’ulteriore analisi riguarda, infatti, le parole e le espressioni riguardanti i problemi mentali e i casi di depressione, come ad esempio nissatu (“sofferenza”), šipru (“afflizione”) e šinīt ṭēmi (“alterazione della mente”). Queste, a differenza dei vocaboli più sopra riportati, si trovano abitualmente sia nei testi letterari e nelle lettere sia nei testi medici, forse perché descrivono situazioni piuttosto generiche, al contrario degli altri che sono invece più specifici. Cercando di rendere più completo il quadro riguardante la concezione della sofferenza secondo il pensiero mesopotamico, oltre alle parole che descrivono la sofferenza e il dolore provocati da un contatto “esterno” al corpo dell’individuo, si sono analizzati diversi termini concernenti il libbu, ossia la parte centrale, “interna” al corpo, là dove nascono e si sentono sentimenti ed emozioni.

Suffering is an important theme in Mesopotamian sources. The purpose of the present study is to examine different words and expressions concerning the physical pain and the psychic suffering, written in various texts; medical and literary texts, omina and letters from the neo-Assyrian court. There are many verbs which describe specific kind of pain, like zaqātu ("piercing pain") and kasāsu ("gnawing pain"). If these verbs are common especially in medical texts (and in some cases in the literary text Ludlul bēl nēmeqi), other terms like nissatu ("suffering") and šipru ("affliction") are used in every kind of texts. Furthermore, I analyzed terms concerning the middle area of the body, libbu, the place where emotions and feelings come to life.

LE ESPRESSIONI DELLA SOFFERENZA INDIVIDUALE NEI TESTI ASSIRO-BABILONESI

Salin, Silvia
2014-01-01

Abstract

Suffering is an important theme in Mesopotamian sources. The purpose of the present study is to examine different words and expressions concerning the physical pain and the psychic suffering, written in various texts; medical and literary texts, omina and letters from the neo-Assyrian court. There are many verbs which describe specific kind of pain, like zaqātu ("piercing pain") and kasāsu ("gnawing pain"). If these verbs are common especially in medical texts (and in some cases in the literary text Ludlul bēl nēmeqi), other terms like nissatu ("suffering") and šipru ("affliction") are used in every kind of texts. Furthermore, I analyzed terms concerning the middle area of the body, libbu, the place where emotions and feelings come to life.
2014
sofferenza; dolore; Mesopotamia
Abstract - Indagare il tema della sofferenza nei testi assiro-babilonesi significa affrontare lo studio non solo della concezione mesopotamica del dolore, ma soprattutto delle parole e delle espressioni che la caratterizzano. Dall’analisi dei testi medici - sia diagnostici sia terapeutici - emerge che i termini utilizzati in particolare da asû e āšipu, i due professionisti della guarigione, fanno parte di un vocabolario che può essere definito a tutti gli effetti specialistico. Diverse sono, nei testi assiro-babilonesi di fine II e inizio I millennio a.C., le parole e le espressioni utilizzate per descrivere il dolore provato dal malato; tra le più frequenti il verbo akālu, che in italiano si può rendere “mangiare, far male/divorare”. Accanto a questo vocabolo ci sono altre parole che esprimono specifiche tipologie di dolore, quali il “dolore pungente” (zaqātu), il “dolore pulsante” (maḫāṣu), il “dolore tormentoso” (kasāsu) e il “dolore penetrante” (dikšu), le quali descrivono la sofferenza provata tramite la figura retorica della metafora. Un’indicazione generale della sofferenza si ha dal verbo marāṣu e dal sostantivo murṣu (“essere ammalati/ammalarsi”, “malattia”). Inoltre, tramite verbi caratteristici, quali “afferrare” (ṣabātu), “toccare” (lapātu), “raggiungere” (kašādu), si esprime il contatto di divinità, demoni o spiriti dei defunti che provocano la malattia. Un approccio antropologico, affiancato da uno linguistico, tenta di approfondire lo studio della concezione mesopotamica del dolore e delle sensazioni da esso provocate. I vocaboli presi in esame possono essere presenti non solo nei testi medici, ma anche nei testi letterari, nei cosiddetti omina e nelle lettere reali, anche se, fatta eccezione per queste ultime e per il poema noto come Ludlul bēl nēmeqi, con frequenza minore. Lo scopo del presente lavoro è quello di esaminare i diversi modi in cui si era soliti esprimere la sofferenza del malato, sia fisica che psichica; un’ulteriore analisi riguarda, infatti, le parole e le espressioni riguardanti i problemi mentali e i casi di depressione, come ad esempio nissatu (“sofferenza”), šipru (“afflizione”) e šinīt ṭēmi (“alterazione della mente”). Queste, a differenza dei vocaboli più sopra riportati, si trovano abitualmente sia nei testi letterari e nelle lettere sia nei testi medici, forse perché descrivono situazioni piuttosto generiche, al contrario degli altri che sono invece più specifici. Cercando di rendere più completo il quadro riguardante la concezione della sofferenza secondo il pensiero mesopotamico, oltre alle parole che descrivono la sofferenza e il dolore provocati da un contatto “esterno” al corpo dell’individuo, si sono analizzati diversi termini concernenti il libbu, ossia la parte centrale, “interna” al corpo, là dove nascono e si sentono sentimenti ed emozioni.
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