Enrico Lebrecht costituisce un modello da additare oggi in Europa ai moderni immigranti, ai quali può ispirare l’approccio più corretto per il proprio inserimento nel paese ospitante. La scelta di abbandonare oggi la terra d’origine, dove evidentemente le condizioni di vita sono insopportabili, dovrebbe essere fatta con l’intelligenza con cui Enrico Lebrecht, un emigrante ebreo polacco, sceglie nella prima metà dell’Ottocento l’Italia per crearsi una nuova vita. L’unica cosa cui rimarrà fedele è la religione. Per il resto in brevissimo tempo diventa un italiano, che in nulla si distingue dai suoi nuovi concittadini. Avvia un’attività economica, sposa una veronese, ancorché da lui scelta tra le ragazze della comunità ebraica, ha figli tanto bene inseriti in città da giungere rapidamente a occupare posti non secondari anche nella vita pubblica. I figli dell’ebreo polacco, Enrico Lebrecht, venuto alla luce a Zloczow nel 1812, nascono in Italia, dove oltre che imprenditori saranno pubblici amministratori: Carlo, sindaco a Belfi ore, dove gestiva le industrie di laterizi, create dal papà Enrico; il fratello, Guglielmo, consigliere comunale e assessore a Verona, nonchè sindaco nel comune di San Michele Extra. Ritroveremo le qualità del nonno Enrico e dei papà, Carlo e Guglielmo, anche nei figli di questi ultimi. In particolare, l’imprenditore Danilo Lebrecht, figlio di Carlo, si metterà in evidenza come letterato, seppure mimetizzato dietro lo pseudonimo di Lorenzo Montano. L’apprezzamento per il suo talento di scrittore è giunto fino ai nostri giorni tanto da portare alla decisione di istituire in Verona un Premio di Poesia Lorenzo Montano, annualmente assegnato con grande risonanza locale e nazionale, giunto nel 2013 alla sua XXVII edizione. Doti artistiche troviamo anche nell’altro ramo dei Lebrecht. Guglielmo è infatti padre di un pittore, Ise Lebrecht, la cui fama si è andata consolidando nel tempo, tanto da essere apprezzato oggi come uno dei più felici cantori di Verona, città della quale era innamorato e nella quale è rientrato subito dopo il 25 aprile 1945. Un ruolo di primo piano nella famiglia Lebrecht svolgono pure le donne. Tra loro troviamo un’immigrata, Rosa Prister, moglie di Carlo Lebrecht, ebrea russa, originaria di Odessa sul Mar Nero, presto divenuta figura di spicco del bel mondo scaligero. Ma è soprattutto la cognata, Eugenia Vitali, moglie di Guglielmo Lebrecht, a brillare sul doppio versante delle battaglie progressiste, in particolare per i diritti delle donne e dei bambini, e in quello degli impegni culturali. La sua ultima battaglia sarà contro il fascismo nel 1925. Si segnala, infatti, come firmataria del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce e per un proprio Manifesto antifascista pubblicato su giornali locali. Il suo generoso impegno culminerà in un gesto che ci dà la misura del suo amore per la città di Verona. Sarà lei, Eugenia Vitali Lebrecht, a donare alla Provincia di Verona il residuo patrimonio di famiglia, tra cui il gioiello forse di maggiore valore, quella Villa Lebrecht di San Floriano di Valpolicella, che lei aveva trasformato in centro di iniziative culturali e teatrali dal forte richiamo locale e di ampia risonanza nazionale. Villa Lebrecht, dopo le vicissitudini di decenni, sarebbe stata finalmente ceduta dalla Provincia di Verona alla Fondazione Cariverona, che la salvava dal definitivo degrado per restituirla a una destinazione nuovamente di alta cultura, come era stata nell’impegno della sua proprietaria, Eugenia Vitali Lebrecht, ebrea, innamorata della cultura classica, in particolare del teatro greco, ma nel contempo attualissima e freschissima nella sua pronta e appassionata adesione alle istanze più innovative del movimento femminista e laicista europeo. In accordo con la Provincia, la Fondazione inseriva lo splendido intervento di restauro in un programma di sviluppo di un settore culturale, quello dell’enologia, creando i presupposti per lo sviluppo di attività universitarie nella culla tradizionale ed accreditata della cultura vinicola, la Valpolicella. Nel settembre 2006, nel corso di una solenne cerimonia, ricevendo Villa Lebrecht dalle mani di Paolo Biasi, presidente della Fondazione Cariverona, spiegavo che la nuova struttura avrebbe finalmente permesso di collocare l’attività didattica e scientifica della viticoltura e dell’enologia in uno dei più prestigiosi territori italiani nel campo della produzione vitivinicola con uva autoctona. La cerimonia di inaugurazione della rinata Villa Lebrecht mi dava contestualmente l’occasione per evocare le enormi opportunità, qualora adeguatamente sfruttate, dischiuse dalla nascita del corso di laurea in scienze e tecnologie viticole ed enologiche, avviato nel 2001 dal professore Pietro Berni, purtroppo prematuramente scomparso nel 2006. All’appuntamento in San Floriano del 26 settembre 2006 intervenivano il presidente della provincia, Elio Mosele, e un’ampia rappresentanza di sindaci della Valpolicella. Nell’affidare all’università il restaurato gioiello di Villa Lebrecht, Paolo Biasi esprimeva la propria soddisfazione per avere portato a termine, in soli due anni, un lavoro complesso e impegnativo anche dal punto di vista economico, avendo comportato la spesa di 9 milioni di euro. Si dichiarava altresì fiducioso che il corso di laurea in scienze e tecnologie viticole ed enologiche, finalmente collocato in Villa Lebrecht, avrebbe presto raggiunto livelli di eccellenza in ambito universitario europeo, ponendosi inoltre come punto di riferimento per gli operatori del settore. Le aspettative degli imprenditori vitivinicoli erano state interpretate da Sandro Boscaini, presidente della Masi Agricola di Gargagnago, che così commentava il fausto evento dell’ingresso di un corso di laurea universitario in quella che fu la villa di Eugenia Lebrecht: «Inaugurare questa sede del corso di laurea a Villa Lebrecht è una grande festa per la Valpolicella e per il vino Valpolicella, perché il nome del Valpolicella, già noto in tutto il mondo grazie all’impegno straordinario dei produttori, potrà trovare nuove opportunità di farsi conoscere. Avere qui un centro di ricerca e di formazione vuol dire, inoltre, far respirare le facoltà italiane di enologia insieme al territorio». Oggi, pur nella comune percezione di una lenta progressione dei programmi, questa idea è andata affermandosi, grazie ai formidabili progressi che la cultura e la scienza del vino hanno realizzato con l’apporto di eccellenti produttori, l’adozione di contributi scientifici brevettabili, lungimiranti strategie di marketing, collaborazioni internazionali. È in corso di realizzazione un passaggio determinante per il definitivo consolidamento di questo inseparabile binomio Valpolicella-vino italiano, in un contesto territoriale che in questa splendida villa trova il proprio prestigioso cuore oltre che il contributo della ricerca, dell’innovazione e della formazione, garantite dall’Università di Verona. La riconoscenza dell’ateneo scaligero per la generosa disponibilità della Fondazione Cariverona non poteva non generare analoghi sentimenti nei confronti di chi decenni prima aveva donato un patrimonio inestimabile, Villa Lebrecht, collocato in un territorio straordinario come la Valpolicella. L’università sentì a quel punto l’esigenza di conoscere meglio e più da vicino la famiglia Lebrecht per metterne in luce la storia che presto si rivelò sfolgorante di luce sotto diverse angolazioni. La fatica del nostro valoroso professore Francesco Vecchiato si giustifica, quindi, anche come gesto di gratitudine dell’ateneo scaligero. Chi tanto si rese benemerito lasciando il proprio patrimonio immobiliare alle istituzioni veronesi merita una perenne gratitudine da alimentare attraverso la conoscenza di quanto i due rami dei Lebrecht hanno vissuto e operato a Verona e nella sua provincia. Ecco perché ciò che oggi godiamo a San Floriano non può non riportare il nostro pensiero all’ottocentesco ebreo polacco Enrico Lebrecht, che in Italia trovò quelle condizioni di vivibilità che mancavano nel suo paese d’origine. Enrico Lebrecht e i suoi figli nella libertà ritrovata che l’Italia garantiva seppero creare posti di lavoro che contribuirono a migliorare il livello complessivo della popolazione di vaste plaghe della provincia di Verona, non trascurando il recupero e la valorizzazione di immobili storici come Palazzo Maffei e Palazzo Della Torre, in città, e Villa Ottolini, poi Lebrecht, in San Floriano di Valpolicella. Alessandro Mazzucco Magnifico Rettore Università di Verona
I Lebrecht
VECCHIATO, Francesco
2013-01-01
Abstract
Enrico Lebrecht costituisce un modello da additare oggi in Europa ai moderni immigranti, ai quali può ispirare l’approccio più corretto per il proprio inserimento nel paese ospitante. La scelta di abbandonare oggi la terra d’origine, dove evidentemente le condizioni di vita sono insopportabili, dovrebbe essere fatta con l’intelligenza con cui Enrico Lebrecht, un emigrante ebreo polacco, sceglie nella prima metà dell’Ottocento l’Italia per crearsi una nuova vita. L’unica cosa cui rimarrà fedele è la religione. Per il resto in brevissimo tempo diventa un italiano, che in nulla si distingue dai suoi nuovi concittadini. Avvia un’attività economica, sposa una veronese, ancorché da lui scelta tra le ragazze della comunità ebraica, ha figli tanto bene inseriti in città da giungere rapidamente a occupare posti non secondari anche nella vita pubblica. I figli dell’ebreo polacco, Enrico Lebrecht, venuto alla luce a Zloczow nel 1812, nascono in Italia, dove oltre che imprenditori saranno pubblici amministratori: Carlo, sindaco a Belfi ore, dove gestiva le industrie di laterizi, create dal papà Enrico; il fratello, Guglielmo, consigliere comunale e assessore a Verona, nonchè sindaco nel comune di San Michele Extra. Ritroveremo le qualità del nonno Enrico e dei papà, Carlo e Guglielmo, anche nei figli di questi ultimi. In particolare, l’imprenditore Danilo Lebrecht, figlio di Carlo, si metterà in evidenza come letterato, seppure mimetizzato dietro lo pseudonimo di Lorenzo Montano. L’apprezzamento per il suo talento di scrittore è giunto fino ai nostri giorni tanto da portare alla decisione di istituire in Verona un Premio di Poesia Lorenzo Montano, annualmente assegnato con grande risonanza locale e nazionale, giunto nel 2013 alla sua XXVII edizione. Doti artistiche troviamo anche nell’altro ramo dei Lebrecht. Guglielmo è infatti padre di un pittore, Ise Lebrecht, la cui fama si è andata consolidando nel tempo, tanto da essere apprezzato oggi come uno dei più felici cantori di Verona, città della quale era innamorato e nella quale è rientrato subito dopo il 25 aprile 1945. Un ruolo di primo piano nella famiglia Lebrecht svolgono pure le donne. Tra loro troviamo un’immigrata, Rosa Prister, moglie di Carlo Lebrecht, ebrea russa, originaria di Odessa sul Mar Nero, presto divenuta figura di spicco del bel mondo scaligero. Ma è soprattutto la cognata, Eugenia Vitali, moglie di Guglielmo Lebrecht, a brillare sul doppio versante delle battaglie progressiste, in particolare per i diritti delle donne e dei bambini, e in quello degli impegni culturali. La sua ultima battaglia sarà contro il fascismo nel 1925. Si segnala, infatti, come firmataria del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce e per un proprio Manifesto antifascista pubblicato su giornali locali. Il suo generoso impegno culminerà in un gesto che ci dà la misura del suo amore per la città di Verona. Sarà lei, Eugenia Vitali Lebrecht, a donare alla Provincia di Verona il residuo patrimonio di famiglia, tra cui il gioiello forse di maggiore valore, quella Villa Lebrecht di San Floriano di Valpolicella, che lei aveva trasformato in centro di iniziative culturali e teatrali dal forte richiamo locale e di ampia risonanza nazionale. Villa Lebrecht, dopo le vicissitudini di decenni, sarebbe stata finalmente ceduta dalla Provincia di Verona alla Fondazione Cariverona, che la salvava dal definitivo degrado per restituirla a una destinazione nuovamente di alta cultura, come era stata nell’impegno della sua proprietaria, Eugenia Vitali Lebrecht, ebrea, innamorata della cultura classica, in particolare del teatro greco, ma nel contempo attualissima e freschissima nella sua pronta e appassionata adesione alle istanze più innovative del movimento femminista e laicista europeo. In accordo con la Provincia, la Fondazione inseriva lo splendido intervento di restauro in un programma di sviluppo di un settore culturale, quello dell’enologia, creando i presupposti per lo sviluppo di attività universitarie nella culla tradizionale ed accreditata della cultura vinicola, la Valpolicella. Nel settembre 2006, nel corso di una solenne cerimonia, ricevendo Villa Lebrecht dalle mani di Paolo Biasi, presidente della Fondazione Cariverona, spiegavo che la nuova struttura avrebbe finalmente permesso di collocare l’attività didattica e scientifica della viticoltura e dell’enologia in uno dei più prestigiosi territori italiani nel campo della produzione vitivinicola con uva autoctona. La cerimonia di inaugurazione della rinata Villa Lebrecht mi dava contestualmente l’occasione per evocare le enormi opportunità, qualora adeguatamente sfruttate, dischiuse dalla nascita del corso di laurea in scienze e tecnologie viticole ed enologiche, avviato nel 2001 dal professore Pietro Berni, purtroppo prematuramente scomparso nel 2006. All’appuntamento in San Floriano del 26 settembre 2006 intervenivano il presidente della provincia, Elio Mosele, e un’ampia rappresentanza di sindaci della Valpolicella. Nell’affidare all’università il restaurato gioiello di Villa Lebrecht, Paolo Biasi esprimeva la propria soddisfazione per avere portato a termine, in soli due anni, un lavoro complesso e impegnativo anche dal punto di vista economico, avendo comportato la spesa di 9 milioni di euro. Si dichiarava altresì fiducioso che il corso di laurea in scienze e tecnologie viticole ed enologiche, finalmente collocato in Villa Lebrecht, avrebbe presto raggiunto livelli di eccellenza in ambito universitario europeo, ponendosi inoltre come punto di riferimento per gli operatori del settore. Le aspettative degli imprenditori vitivinicoli erano state interpretate da Sandro Boscaini, presidente della Masi Agricola di Gargagnago, che così commentava il fausto evento dell’ingresso di un corso di laurea universitario in quella che fu la villa di Eugenia Lebrecht: «Inaugurare questa sede del corso di laurea a Villa Lebrecht è una grande festa per la Valpolicella e per il vino Valpolicella, perché il nome del Valpolicella, già noto in tutto il mondo grazie all’impegno straordinario dei produttori, potrà trovare nuove opportunità di farsi conoscere. Avere qui un centro di ricerca e di formazione vuol dire, inoltre, far respirare le facoltà italiane di enologia insieme al territorio». Oggi, pur nella comune percezione di una lenta progressione dei programmi, questa idea è andata affermandosi, grazie ai formidabili progressi che la cultura e la scienza del vino hanno realizzato con l’apporto di eccellenti produttori, l’adozione di contributi scientifici brevettabili, lungimiranti strategie di marketing, collaborazioni internazionali. È in corso di realizzazione un passaggio determinante per il definitivo consolidamento di questo inseparabile binomio Valpolicella-vino italiano, in un contesto territoriale che in questa splendida villa trova il proprio prestigioso cuore oltre che il contributo della ricerca, dell’innovazione e della formazione, garantite dall’Università di Verona. La riconoscenza dell’ateneo scaligero per la generosa disponibilità della Fondazione Cariverona non poteva non generare analoghi sentimenti nei confronti di chi decenni prima aveva donato un patrimonio inestimabile, Villa Lebrecht, collocato in un territorio straordinario come la Valpolicella. L’università sentì a quel punto l’esigenza di conoscere meglio e più da vicino la famiglia Lebrecht per metterne in luce la storia che presto si rivelò sfolgorante di luce sotto diverse angolazioni. La fatica del nostro valoroso professore Francesco Vecchiato si giustifica, quindi, anche come gesto di gratitudine dell’ateneo scaligero. Chi tanto si rese benemerito lasciando il proprio patrimonio immobiliare alle istituzioni veronesi merita una perenne gratitudine da alimentare attraverso la conoscenza di quanto i due rami dei Lebrecht hanno vissuto e operato a Verona e nella sua provincia. Ecco perché ciò che oggi godiamo a San Floriano non può non riportare il nostro pensiero all’ottocentesco ebreo polacco Enrico Lebrecht, che in Italia trovò quelle condizioni di vivibilità che mancavano nel suo paese d’origine. Enrico Lebrecht e i suoi figli nella libertà ritrovata che l’Italia garantiva seppero creare posti di lavoro che contribuirono a migliorare il livello complessivo della popolazione di vaste plaghe della provincia di Verona, non trascurando il recupero e la valorizzazione di immobili storici come Palazzo Maffei e Palazzo Della Torre, in città, e Villa Ottolini, poi Lebrecht, in San Floriano di Valpolicella. Alessandro Mazzucco Magnifico Rettore Università di VeronaFile | Dimensione | Formato | |
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