Che il fascismo scaligero si fosse contraddistinto, fin dal 1923, per una decisa propensione alla rissosità interna, è stato adeguatamente messo in luce dalla storiografia locale. Tali pionieristici lavori che, fin dalla seconda metà degli anni ottanta, hanno segnato la via delineando un quadro generale delle ‘burrascose’ vicende politiche del primo Fascio veronese, presentano però oggi limiti di non poco conto di ordine cronologico e geografico che in questo nuovo lavoro di ricerca si è cercato di superare. Il primo limite, quello cronologico, fu dovuto all’impossibilità di consultare la documentazione di Prefettura depositata all’Archivio di Stato di Verona successiva al 1924-1925: e questo sia perché molte buste non erano ancora state versate, sia perché i limiti di tempo imposti dalla normativa antecedente al 2004, non permettevano la consultazione di tutto ciò che di fatto era già disponibile. Mentre d’altro canto l’analisi dei documenti depositati a Roma, presso l’Archivio Centrale dello Stato, dove esistevano criteri meno rigidi, permise di approfondire alcuni passaggi storici (tra gli altri,un controverso episodio di spionaggio anticomunista dell’Ovra nel 1932). Dal punto di vista storiografico l’essersi fermati, quasi obbligatoriamente, alla fine del 1926 con l’analisi sistematica delle vicende politiche e sociali della Verona fascista, non ha permesso però di tracciare un quadro storico complessivo indispensabile, ad esempio, per compiere una corretta valutazione di quei contrasti politici che fin dal 1923 si delinearono in seno alla Federazione locale. In questo lavoro, l’analisi di altri documenti d’archivio, insomma, ha aiutato di ‘correggere’ la prospettiva interpretativa iniziale, soprattutto delineando un quadro più ampio, dal punto di vista sia cronologico che geografico, in cui l’irrequietezza politica si presentava come una caratteristica originaria e specifica del Pnf veronese nel suo complesso. La nuova ipotesi storiografica, sottoposta alla prova dei documenti, è che non si trattò soltanto di un problema relativo ad una diversa idea della politica o ad una diversa matrice culturale; non ci fu un reale scontro tra intransigenti e normalizzatori, o quanto meno le fazioni non erano così ben delineate, tanto è vero che le due categorie vennero usate, alternativamente e strumentalmente, per colpire l’una o l’altra fazione. A quanto pare il dibattito e lo scontro politico che il regime aveva preteso di annullare cancellando di fatto i partiti di opposizione, si ripresentò sotto forma di divisioni all’interno del Partito nazionale fascista. Queste considerazioni, ben lungi dall’essere secondarie, hanno consentito di penetrare all’interno delle dinamiche politiche e persino sociali di un regime a partito unico. Hanno permesso, ad esempio, di portare avanti la discussione storiografica su che tipo di lotta e di gestione politica della cosa pubblica si verificò durante il ventennio sia in relazione al processo di reductio ad unum del partito sia in relazione alle cosiddette ‘beghe’ scoppiate nel suo seno, seguendo il dibattito recentemente affrontato da Salvatore Lupo. La domanda dunque dovrebbe essere: ci fu ancora una dimensione di lotta o di contesa politica (pur ristretta entro i confini del partito unico) dopo il 3 gennaio 1925 oppure la rivoluzione fascista l’aveva del tutto eliminata? D’altro canto, se il teatro politico ci appare ridotto ad una banale e ripetitiva guerra tra fazioni, non bisognerebbe perdere di vista un’altra questione fondamentale: il rapporto del fascismo con le masse e dunque la ‘qualità’ del consenso al regime. Se infatti il duce era lontano dalla provincia italiana – una lontananza che permise alla propaganda di partito di far guadagnare alla sua figura un consenso senza precedenti nella storia d’Italia – i cittadini di ogni zona della penisola avevano quotidianamente a che fare con gli esponenti locali del Pnf, il quale si andò via via trasformando in un organismo – come ha sottolineato certa storiografia – elefantiaco ed invadente ma non privo di un proprio ruolo. Anche il caso veronese dimostra quanto il comportamento di questi gerarchi di provincia, spesso privi di una caratura culturale e politica di livello nazionale, influisse direttamente sulla ‘qualità’ del consenso di cui si faceva accenno prima. Addentrandosi dunque all’interno di una realtà di provincia come quella veronese, si assiste ad un contrasto stridente tra le folle oceaniche che acclamavano convinte il duce ad ogni occasione pubblica e i numerosi scontri, a volte anche violenti, tra fazioni. D’altra parte la sempre maggiore diffusione della delazione attraverso il perverso strumento delle denunce anonime che serviva ad eliminare l’avversario spesso diffamandolo ovvero portandone in piazza vizi poco fascisti, sembrerebbe aggiungere tinte ancora più fosche al quadro generale. Dal punto di vista storiografico, pare dunque opportuno spostare su questo piano l’attenzione che va riservata al dibattito sul problema del consenso, il quale, se certamente non divenne mai dissenso vero e proprio si presenta in ogni caso complesso, stratificato e diversificato. La presente ricerca, infine, cerca di superare anche un altro limite evidente degli studi sul fascismo veronese, ovvero quello di ordine geografico. L’essersi limitati all’ambiente urbano senza dedicare attenzione alla situazione in periferia impedisce di tenere nel giusto conto l’emergere di figure e di gruppi destinati a diventare di primo piano pur essendo di schietta provenienza provinciale. L’importanza spesso non secondaria di tali Fasci di provincia, dove avvenne concretamente l’alleanza con il mondo della possidenza agraria così importante per l’evoluzione e lo sviluppo del fascismo, suggerisce di ipotizzare un loro maggior coinvolgimento nella storia complessiva della Verona fascista.

State, party and society in Verona during the Fascist period (1919-1938). The thesis traces the history of Fascism in Verona between 1919 and 1938. Recounts the political events that marked the birth of the Fascio of Verona and its evolution between the twenties and the thirties. In addition, reconstructs some of the major political and social aspects that characterized the society of Verona in that period.

Stato, partito e società a Verona durante il fascismo (1919-1938)

MELOTTO, Federico
2013-01-01

Abstract

State, party and society in Verona during the Fascist period (1919-1938). The thesis traces the history of Fascism in Verona between 1919 and 1938. Recounts the political events that marked the birth of the Fascio of Verona and its evolution between the twenties and the thirties. In addition, reconstructs some of the major political and social aspects that characterized the society of Verona in that period.
2013
Fascismo; Verona; Regime; Squadrismo; Gerarchi; Società fascista; Politica fascista
Che il fascismo scaligero si fosse contraddistinto, fin dal 1923, per una decisa propensione alla rissosità interna, è stato adeguatamente messo in luce dalla storiografia locale. Tali pionieristici lavori che, fin dalla seconda metà degli anni ottanta, hanno segnato la via delineando un quadro generale delle ‘burrascose’ vicende politiche del primo Fascio veronese, presentano però oggi limiti di non poco conto di ordine cronologico e geografico che in questo nuovo lavoro di ricerca si è cercato di superare. Il primo limite, quello cronologico, fu dovuto all’impossibilità di consultare la documentazione di Prefettura depositata all’Archivio di Stato di Verona successiva al 1924-1925: e questo sia perché molte buste non erano ancora state versate, sia perché i limiti di tempo imposti dalla normativa antecedente al 2004, non permettevano la consultazione di tutto ciò che di fatto era già disponibile. Mentre d’altro canto l’analisi dei documenti depositati a Roma, presso l’Archivio Centrale dello Stato, dove esistevano criteri meno rigidi, permise di approfondire alcuni passaggi storici (tra gli altri,un controverso episodio di spionaggio anticomunista dell’Ovra nel 1932). Dal punto di vista storiografico l’essersi fermati, quasi obbligatoriamente, alla fine del 1926 con l’analisi sistematica delle vicende politiche e sociali della Verona fascista, non ha permesso però di tracciare un quadro storico complessivo indispensabile, ad esempio, per compiere una corretta valutazione di quei contrasti politici che fin dal 1923 si delinearono in seno alla Federazione locale. In questo lavoro, l’analisi di altri documenti d’archivio, insomma, ha aiutato di ‘correggere’ la prospettiva interpretativa iniziale, soprattutto delineando un quadro più ampio, dal punto di vista sia cronologico che geografico, in cui l’irrequietezza politica si presentava come una caratteristica originaria e specifica del Pnf veronese nel suo complesso. La nuova ipotesi storiografica, sottoposta alla prova dei documenti, è che non si trattò soltanto di un problema relativo ad una diversa idea della politica o ad una diversa matrice culturale; non ci fu un reale scontro tra intransigenti e normalizzatori, o quanto meno le fazioni non erano così ben delineate, tanto è vero che le due categorie vennero usate, alternativamente e strumentalmente, per colpire l’una o l’altra fazione. A quanto pare il dibattito e lo scontro politico che il regime aveva preteso di annullare cancellando di fatto i partiti di opposizione, si ripresentò sotto forma di divisioni all’interno del Partito nazionale fascista. Queste considerazioni, ben lungi dall’essere secondarie, hanno consentito di penetrare all’interno delle dinamiche politiche e persino sociali di un regime a partito unico. Hanno permesso, ad esempio, di portare avanti la discussione storiografica su che tipo di lotta e di gestione politica della cosa pubblica si verificò durante il ventennio sia in relazione al processo di reductio ad unum del partito sia in relazione alle cosiddette ‘beghe’ scoppiate nel suo seno, seguendo il dibattito recentemente affrontato da Salvatore Lupo. La domanda dunque dovrebbe essere: ci fu ancora una dimensione di lotta o di contesa politica (pur ristretta entro i confini del partito unico) dopo il 3 gennaio 1925 oppure la rivoluzione fascista l’aveva del tutto eliminata? D’altro canto, se il teatro politico ci appare ridotto ad una banale e ripetitiva guerra tra fazioni, non bisognerebbe perdere di vista un’altra questione fondamentale: il rapporto del fascismo con le masse e dunque la ‘qualità’ del consenso al regime. Se infatti il duce era lontano dalla provincia italiana – una lontananza che permise alla propaganda di partito di far guadagnare alla sua figura un consenso senza precedenti nella storia d’Italia – i cittadini di ogni zona della penisola avevano quotidianamente a che fare con gli esponenti locali del Pnf, il quale si andò via via trasformando in un organismo – come ha sottolineato certa storiografia – elefantiaco ed invadente ma non privo di un proprio ruolo. Anche il caso veronese dimostra quanto il comportamento di questi gerarchi di provincia, spesso privi di una caratura culturale e politica di livello nazionale, influisse direttamente sulla ‘qualità’ del consenso di cui si faceva accenno prima. Addentrandosi dunque all’interno di una realtà di provincia come quella veronese, si assiste ad un contrasto stridente tra le folle oceaniche che acclamavano convinte il duce ad ogni occasione pubblica e i numerosi scontri, a volte anche violenti, tra fazioni. D’altra parte la sempre maggiore diffusione della delazione attraverso il perverso strumento delle denunce anonime che serviva ad eliminare l’avversario spesso diffamandolo ovvero portandone in piazza vizi poco fascisti, sembrerebbe aggiungere tinte ancora più fosche al quadro generale. Dal punto di vista storiografico, pare dunque opportuno spostare su questo piano l’attenzione che va riservata al dibattito sul problema del consenso, il quale, se certamente non divenne mai dissenso vero e proprio si presenta in ogni caso complesso, stratificato e diversificato. La presente ricerca, infine, cerca di superare anche un altro limite evidente degli studi sul fascismo veronese, ovvero quello di ordine geografico. L’essersi limitati all’ambiente urbano senza dedicare attenzione alla situazione in periferia impedisce di tenere nel giusto conto l’emergere di figure e di gruppi destinati a diventare di primo piano pur essendo di schietta provenienza provinciale. L’importanza spesso non secondaria di tali Fasci di provincia, dove avvenne concretamente l’alleanza con il mondo della possidenza agraria così importante per l’evoluzione e lo sviluppo del fascismo, suggerisce di ipotizzare un loro maggior coinvolgimento nella storia complessiva della Verona fascista.
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