Nel 1913, con il saggio Zur Phänomenologie und Theorie der Sympathiegefühle von Liebe und Hass, Max Scheler determinò una svolta sul problema della percezione dell’altro all’interno del movimento fenomenologico. Nell’Appendice a tale saggio si sostiene che la percezione del vissuto altrui non è deducibile dalla percezione delle caratteristiche meramente fisiche del corpo altrui a cui successivamente verrebbero associati, per analogia, vissuti propri: nel sorriso dell’altro posso cogliere immediatamente la sua felicità, nell’arrossire il suo pudore e nel suo sguardo una certa intenzione benevola o malevola nei miei confronti, e questo molto prima di aver percepito la dimensione, il colore o la forma fisica dei suoi occhi. Nel 1917 tale tesi venne ripresa in modo sottaciuto da Edith Stein (e questo spiegherebbe la freddezza con cui Scheler accolse il lavoro di Stein) e posta al centro della sua tesi di dottorato sull’empatia (Zum Problem der Einfühlung). Stein non riprende invece la critica di Scheler all’idea che l’“Io sono” cartesiano possa costituire il punto di partenza per la comprensione dell’altro. Ambedue queste tesi vennero ulteriormente sviluppate da Scheler nel 1923 in Essenza e forme della simpatia, che rappresenta un ampliamento e una parziale rielaborazione del saggio del 1913.

Espressività, empatia, intersoggettività.

CUSINATO, Guido
2010-01-01

Abstract

Nel 1913, con il saggio Zur Phänomenologie und Theorie der Sympathiegefühle von Liebe und Hass, Max Scheler determinò una svolta sul problema della percezione dell’altro all’interno del movimento fenomenologico. Nell’Appendice a tale saggio si sostiene che la percezione del vissuto altrui non è deducibile dalla percezione delle caratteristiche meramente fisiche del corpo altrui a cui successivamente verrebbero associati, per analogia, vissuti propri: nel sorriso dell’altro posso cogliere immediatamente la sua felicità, nell’arrossire il suo pudore e nel suo sguardo una certa intenzione benevola o malevola nei miei confronti, e questo molto prima di aver percepito la dimensione, il colore o la forma fisica dei suoi occhi. Nel 1917 tale tesi venne ripresa in modo sottaciuto da Edith Stein (e questo spiegherebbe la freddezza con cui Scheler accolse il lavoro di Stein) e posta al centro della sua tesi di dottorato sull’empatia (Zum Problem der Einfühlung). Stein non riprende invece la critica di Scheler all’idea che l’“Io sono” cartesiano possa costituire il punto di partenza per la comprensione dell’altro. Ambedue queste tesi vennero ulteriormente sviluppate da Scheler nel 1923 in Essenza e forme della simpatia, che rappresenta un ampliamento e una parziale rielaborazione del saggio del 1913.
2010
Espressività; empatia; intersoggettività
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