Uno studio di sintesi sui fonti battesimali di area italiana non è ancora stato affrontato, nonostante il territorio abbia suscitato notevole interesse per l’antichità delle attestazioni e perché la tradizione di costruire battisteri, altrove esauritasi relativamente presto, è continuata anche nei secoli bassomedievali. Le testimonianze di età paleocristiana sono nell’insieme abbastanza ben conosciute, sia sotto il profilo materiale sia dal punto di vista del contesto liturgico in cui erano inserite, avendo catalizzato l’attenzione degli studiosi anche per la ricchezza delle soluzioni materiali o dei significati simbolici di cui si facevano tramiti. Di contro, i manufatti bassomedievali sono stati indagati singolarmente e spesso collocati con difficoltà in un quadro rituale ancora poco noto, confuso e talvolta nemmeno distinto da quello dei secoli precedenti. Proprio per ciò, si è deciso di concentrare la ricerca su quest’ultimo periodo, compreso orientativamente tra i secoli XI e XIII, abbracciando in senso esteso quella che si considera l’età romanica, e di limitare l’indagine a un’area omogenea come l’Italia settentrionale. Il lavoro ha potuto appoggiarsi su un ricco, ma frammentario, quadro di studi monografici relativi a singoli manufatti, che le indagini archeologiche condotte negli ultimi decenni hanno contribuito ad arricchire in modo significativo. I risultati del censimento hanno reso manifesto che la situazione del territorio in esame si differenzia nettamente dal panorama dell’Europa settentrionale, la sola area in cui, a mia conoscenza, siano state svolte analoghe ricerche. Da una parte, infatti, il numero delle testimonianze raccolte appare relativamente esiguo (quarantatre, di cui solo trentadue attribuibili con sicurezza), di contro a una casistica quantitativamente ben più elevata, dall’altra, ben un quarto delle attestazioni è costituita da resti, individuati archeologicamente, di vasche in muratura, che nelle altre regioni europee non sono note o non sono state studiate insieme ai fonti scolpiti. Questa situazione non ha permesso di sviluppare studi iconografici o morfologici di vasto respiro, ma ha il vantaggio di fornire alcuni dati, relativi alla struttura degli impianti, alla loro posizione e al loro funzionamento, altrove non rilevabili o generalmente trascurati. Per poter comprendere le peculiarità relative ai fonti battesimali costruiti in questo periodo, si è deciso di affrontare diacronicamente, sia dal punto di vista delle testimonianze materiali, sia da quello del contesto liturgico, lo studio di un’area definita, la diocesi veronese, che presenta diversi motivi di interesse. In primo luogo, conserva un manufatto, quale la vasca della cattedrale cittadina, davvero eccezionale per monumentalità, qualità e articolazione del piano iconografico. L’opera è stata considerata in rapporto alla chiesa in cui si colloca e nel suo uso liturgico all’interno del complesso della cattedrale; è stato possibile definire meglio questo contesto d’origine grazie a delle significative testimonianze documentarie, inedite, riguardanti il battistero e la sua gestione, condivisa tra il vescovo, il capitolo dei canonici e il clero della chiesa di San Giovanni in Fonte. Tali testimonianze inducono, tra l’altro, a ritenere che la vasca rivestisse un ruolo altamente simbolico, ma che il suo uso fosse limitato alle celebrazioni solenni, venendo, relativamente presto, marginalizzata. Il fonte, che tra l’altro necessitava di una revisione critica, è stato inoltre considerato nella sua evidenza materiale e nelle scelte iconografiche e, infine, se n’è proposta una valutazione stilistica, nel quadro della fervida stagione artistica veronese sullo scorcio del XII secolo (Parte Prima, Cap. 2). Per delineare la congiuntura storica in cui fu realizzato, nonché per valutare le ricadute di questo prestigioso modello, che sono state puntualmente verificate, si è ampliato lo sguardo all’ambito cittadino, in cui sussiste un’altra vasca compresa nel censimento, quella di San Zeno Maggiore, e al territorio, che parimenti restituisce altri manufatti di XIII secolo: quelli di San Giorgio di Valpolicella e, verosimilmente, di San Pietro di Zevio (Parte Prima, Cap. 3). La diocesi veronese appare, dunque, relativamente ricca di attestazioni inerenti al periodo considerato e anche successivo; di queste si è cercato di dar conto dalle origini fino al XV secolo. Si è, dunque, ripercorsa la storia del rito battesimale nella diocesi, a partire dall’epoca di san Zeno, parallelamente all’indagine delle strutture materiali in cui si celebrava, cominciando dal caso, di controversa interpretazione, del cosiddetto ipogeo di Santa Maria in Stelle, per passare alla vasca battesimale di San Giovanni in Campagna a Bovolone, databile tra il VI e l’VIII secolo, che è stata indagata archeologicamente in anni recenti, e ai frammenti del più tardo ciborio di San Giorgio di Valpolicella, risalenti all’età carolingia. Dopo un attento esame dei primi secoli bassomedievali, interessati dal massimo sviluppo del sistema plebano e dall’inizio della sua crisi, si è cercato di dar conto dei manufatti dei secoli XIV e XV ancora sussistenti, quasi sempre realizzati in rosso ammonitico veronese e caratterizzati da un profilo a sezione ottagonale (Parte Prima, Cap. 3). Il catalogo dei fonti battesimali dell’Italia settentrionale costituisce la seconda parte del lavoro; è preceduto da alcune considerazioni volte, innanzi tutto, a orientare sui criteri applicabili per distinguere questa classe di manufatti da altre apparentemente affini, come le acquasantiere o i contenitori per l’olio. Gli impianti sono stati raggruppati per tipologie in relazione all’aspetto, al funzionamento e ai materiali con cui furono realizzati. Si è, infine, verificata l’importanza di uno studio diacronico, che consideri i segni lasciati nel tempo sui monumenti e i loro spostamenti, indici di un’evoluzione nelle pratiche liturgiche e nella mentalità che oggi ne condizionano in modo significativo la percezione.

A summarizing study on Italian baptismal fonts hasn’t been produced yet, although the area has generated considerable interest because of the antiquity of the evidences and because the tradition of building baptisteries, that ceased relatively early somewhere else, continued here also in the Late Middle Ages. The remains of early Christian times attracted scholars attention for the richness of material solutions or symbolic meanings. As such, they, are fairly well known as a whole, both in material terms and in terms of the liturgical context in which they were included. In contrast, late middle ages artefacts were individually analyzed and often times placed, with difficulty, in a still unclear ritual framework, confusing and sometimes not distinguished from that of previous centuries. For this reason, the research focuses on this latter period, approximately from the eleventh to the thirteenth centuries, embracing in the broad sense what we consider the Romanesque period, and the study is limited to the homogeneous area of Northern Italy. The work could be based on a rich but fragmented framework of monographic studies on individual artefacts which have been significantly enhanced by archaeological investigations carried out in recent decades. Our research explains that the territory in question differs clearly from Northern Europe, the only area in which, to our knowledge, similar studies have been pursued. On one hand, in fact, the number of testimonies collected is relatively small (forty-four, of which only thirty-two attributed with certainty), in contrast to a far reaching series; on the other, a quarter of the items consists of masonry tank remains, well identified archaeologically, not known in other European regions or not studied together with the carved fonts. This situation has not allowed the development of wide-ranging iconographic or morphological studies, but has the advantage of providing some data about the structure of plants, their location and their functioning, elsewhere either undetectable or generally neglected. In order to understand the peculiarities related to the baptismal fonts built in this period, we decided to manage diachronically – both in terms of material evidence and liturgical context – the study of a defined area, the diocese of Verona, were we can find several interesting features. First of all, in Verona there is an artefact, the basin of the city's cathedral, really great for monumentality, quality and structure of the iconographic plan. This work has been considered in relation to the church where it is located and its liturgical use in the cathedral complex; it was therefore possible to better define the original context through relevant, unpublished documentary evidences on the baptistery and its management, that was shared between the bishop, the cathedral chapter and clergy of San Giovanni in Fonte. These evidences suggest, among other things, that the baptismal font had a highly symbolic role, but that its use was limited to the solemn celebrations and became, relatively soon, marginalized. The basin, which besides needed a critical revise, was also considered in its material respect and iconographic choices and, finally, we proposed a stylistic assessment in the context of the fervid artistic season in Verona at the turn of the twelfth century (Part I, Chapter 2). To outline the historical situation in which this font was made, and to assess the impact of this prestigious model, which we duly verified, we considered the whole city, where there is another basin included in the census, that of San Zeno in Verona. We also considered the surrounding territory, where there are other items of the thirteenth century: those of San Giorgio di Valpolicella, and, probably, of San Pietro at Zevio (Part I, Chapter 3). The diocese of Verona appears, therefore, relatively rich in claims relating to this period and even later; of these we have tried to give an account, ranging from the beginnings to the fifteenth century. The history of the baptismal rite in the diocese was traced, therefore, from the time of st. Zeno, simultaneously with that of the material structures in which it was celebrated, beginning with the case of controversial interpretation of the so-called Santa Maria in Stelle hypogeum, to the baptismal font of San Giovanni in Campagna at Bovolone, dated between the sixth and eighth centuries, that has been archaeologically investigated in recent years, and to the fragments of the later ciborium of San Giorgio di Valpolicella, dating back to Carolingian age. After a careful examination of the XI-XIII centuries, involved in the maximum development of the parish (plebs) and the beginning of its crisis, we tried to review the artefacts of the fourteenth and fifteenth centuries still in existence, almost always crafted in the same material (‘rosso ammonitico veronese’) and characterized by an octagonal section (Part I, Chapter 3). The second part of the work is a review of the baptismal fonts of Northern Italy: it is preceded by some considerations, chiefly concerning the applicable criteria to distinguish this group of artefacts from another apparently similar, such as holy-water stoup or oil containers. These structures were grouped according to general likeness, functioning and materials in which they were made. Finally, we verified the importance of diachronic studies, which consider the transfers and the marks left on monuments throughout time, thereby shading a light on the development of both liturgical practices and ways of thinking, two factors significantly affecting toady's perception of the artworks themselves.

Fonti battesimali (XI-XIII secolo). Verona e l'Italia settentrionale

MUSETTI, Silvia
2012-01-01

Abstract

A summarizing study on Italian baptismal fonts hasn’t been produced yet, although the area has generated considerable interest because of the antiquity of the evidences and because the tradition of building baptisteries, that ceased relatively early somewhere else, continued here also in the Late Middle Ages. The remains of early Christian times attracted scholars attention for the richness of material solutions or symbolic meanings. As such, they, are fairly well known as a whole, both in material terms and in terms of the liturgical context in which they were included. In contrast, late middle ages artefacts were individually analyzed and often times placed, with difficulty, in a still unclear ritual framework, confusing and sometimes not distinguished from that of previous centuries. For this reason, the research focuses on this latter period, approximately from the eleventh to the thirteenth centuries, embracing in the broad sense what we consider the Romanesque period, and the study is limited to the homogeneous area of Northern Italy. The work could be based on a rich but fragmented framework of monographic studies on individual artefacts which have been significantly enhanced by archaeological investigations carried out in recent decades. Our research explains that the territory in question differs clearly from Northern Europe, the only area in which, to our knowledge, similar studies have been pursued. On one hand, in fact, the number of testimonies collected is relatively small (forty-four, of which only thirty-two attributed with certainty), in contrast to a far reaching series; on the other, a quarter of the items consists of masonry tank remains, well identified archaeologically, not known in other European regions or not studied together with the carved fonts. This situation has not allowed the development of wide-ranging iconographic or morphological studies, but has the advantage of providing some data about the structure of plants, their location and their functioning, elsewhere either undetectable or generally neglected. In order to understand the peculiarities related to the baptismal fonts built in this period, we decided to manage diachronically – both in terms of material evidence and liturgical context – the study of a defined area, the diocese of Verona, were we can find several interesting features. First of all, in Verona there is an artefact, the basin of the city's cathedral, really great for monumentality, quality and structure of the iconographic plan. This work has been considered in relation to the church where it is located and its liturgical use in the cathedral complex; it was therefore possible to better define the original context through relevant, unpublished documentary evidences on the baptistery and its management, that was shared between the bishop, the cathedral chapter and clergy of San Giovanni in Fonte. These evidences suggest, among other things, that the baptismal font had a highly symbolic role, but that its use was limited to the solemn celebrations and became, relatively soon, marginalized. The basin, which besides needed a critical revise, was also considered in its material respect and iconographic choices and, finally, we proposed a stylistic assessment in the context of the fervid artistic season in Verona at the turn of the twelfth century (Part I, Chapter 2). To outline the historical situation in which this font was made, and to assess the impact of this prestigious model, which we duly verified, we considered the whole city, where there is another basin included in the census, that of San Zeno in Verona. We also considered the surrounding territory, where there are other items of the thirteenth century: those of San Giorgio di Valpolicella, and, probably, of San Pietro at Zevio (Part I, Chapter 3). The diocese of Verona appears, therefore, relatively rich in claims relating to this period and even later; of these we have tried to give an account, ranging from the beginnings to the fifteenth century. The history of the baptismal rite in the diocese was traced, therefore, from the time of st. Zeno, simultaneously with that of the material structures in which it was celebrated, beginning with the case of controversial interpretation of the so-called Santa Maria in Stelle hypogeum, to the baptismal font of San Giovanni in Campagna at Bovolone, dated between the sixth and eighth centuries, that has been archaeologically investigated in recent years, and to the fragments of the later ciborium of San Giorgio di Valpolicella, dating back to Carolingian age. After a careful examination of the XI-XIII centuries, involved in the maximum development of the parish (plebs) and the beginning of its crisis, we tried to review the artefacts of the fourteenth and fifteenth centuries still in existence, almost always crafted in the same material (‘rosso ammonitico veronese’) and characterized by an octagonal section (Part I, Chapter 3). The second part of the work is a review of the baptismal fonts of Northern Italy: it is preceded by some considerations, chiefly concerning the applicable criteria to distinguish this group of artefacts from another apparently similar, such as holy-water stoup or oil containers. These structures were grouped according to general likeness, functioning and materials in which they were made. Finally, we verified the importance of diachronic studies, which consider the transfers and the marks left on monuments throughout time, thereby shading a light on the development of both liturgical practices and ways of thinking, two factors significantly affecting toady's perception of the artworks themselves.
2012
fonti battesimali; età romanica; Verona; scultura nell'Italia settentironale
Uno studio di sintesi sui fonti battesimali di area italiana non è ancora stato affrontato, nonostante il territorio abbia suscitato notevole interesse per l’antichità delle attestazioni e perché la tradizione di costruire battisteri, altrove esauritasi relativamente presto, è continuata anche nei secoli bassomedievali. Le testimonianze di età paleocristiana sono nell’insieme abbastanza ben conosciute, sia sotto il profilo materiale sia dal punto di vista del contesto liturgico in cui erano inserite, avendo catalizzato l’attenzione degli studiosi anche per la ricchezza delle soluzioni materiali o dei significati simbolici di cui si facevano tramiti. Di contro, i manufatti bassomedievali sono stati indagati singolarmente e spesso collocati con difficoltà in un quadro rituale ancora poco noto, confuso e talvolta nemmeno distinto da quello dei secoli precedenti. Proprio per ciò, si è deciso di concentrare la ricerca su quest’ultimo periodo, compreso orientativamente tra i secoli XI e XIII, abbracciando in senso esteso quella che si considera l’età romanica, e di limitare l’indagine a un’area omogenea come l’Italia settentrionale. Il lavoro ha potuto appoggiarsi su un ricco, ma frammentario, quadro di studi monografici relativi a singoli manufatti, che le indagini archeologiche condotte negli ultimi decenni hanno contribuito ad arricchire in modo significativo. I risultati del censimento hanno reso manifesto che la situazione del territorio in esame si differenzia nettamente dal panorama dell’Europa settentrionale, la sola area in cui, a mia conoscenza, siano state svolte analoghe ricerche. Da una parte, infatti, il numero delle testimonianze raccolte appare relativamente esiguo (quarantatre, di cui solo trentadue attribuibili con sicurezza), di contro a una casistica quantitativamente ben più elevata, dall’altra, ben un quarto delle attestazioni è costituita da resti, individuati archeologicamente, di vasche in muratura, che nelle altre regioni europee non sono note o non sono state studiate insieme ai fonti scolpiti. Questa situazione non ha permesso di sviluppare studi iconografici o morfologici di vasto respiro, ma ha il vantaggio di fornire alcuni dati, relativi alla struttura degli impianti, alla loro posizione e al loro funzionamento, altrove non rilevabili o generalmente trascurati. Per poter comprendere le peculiarità relative ai fonti battesimali costruiti in questo periodo, si è deciso di affrontare diacronicamente, sia dal punto di vista delle testimonianze materiali, sia da quello del contesto liturgico, lo studio di un’area definita, la diocesi veronese, che presenta diversi motivi di interesse. In primo luogo, conserva un manufatto, quale la vasca della cattedrale cittadina, davvero eccezionale per monumentalità, qualità e articolazione del piano iconografico. L’opera è stata considerata in rapporto alla chiesa in cui si colloca e nel suo uso liturgico all’interno del complesso della cattedrale; è stato possibile definire meglio questo contesto d’origine grazie a delle significative testimonianze documentarie, inedite, riguardanti il battistero e la sua gestione, condivisa tra il vescovo, il capitolo dei canonici e il clero della chiesa di San Giovanni in Fonte. Tali testimonianze inducono, tra l’altro, a ritenere che la vasca rivestisse un ruolo altamente simbolico, ma che il suo uso fosse limitato alle celebrazioni solenni, venendo, relativamente presto, marginalizzata. Il fonte, che tra l’altro necessitava di una revisione critica, è stato inoltre considerato nella sua evidenza materiale e nelle scelte iconografiche e, infine, se n’è proposta una valutazione stilistica, nel quadro della fervida stagione artistica veronese sullo scorcio del XII secolo (Parte Prima, Cap. 2). Per delineare la congiuntura storica in cui fu realizzato, nonché per valutare le ricadute di questo prestigioso modello, che sono state puntualmente verificate, si è ampliato lo sguardo all’ambito cittadino, in cui sussiste un’altra vasca compresa nel censimento, quella di San Zeno Maggiore, e al territorio, che parimenti restituisce altri manufatti di XIII secolo: quelli di San Giorgio di Valpolicella e, verosimilmente, di San Pietro di Zevio (Parte Prima, Cap. 3). La diocesi veronese appare, dunque, relativamente ricca di attestazioni inerenti al periodo considerato e anche successivo; di queste si è cercato di dar conto dalle origini fino al XV secolo. Si è, dunque, ripercorsa la storia del rito battesimale nella diocesi, a partire dall’epoca di san Zeno, parallelamente all’indagine delle strutture materiali in cui si celebrava, cominciando dal caso, di controversa interpretazione, del cosiddetto ipogeo di Santa Maria in Stelle, per passare alla vasca battesimale di San Giovanni in Campagna a Bovolone, databile tra il VI e l’VIII secolo, che è stata indagata archeologicamente in anni recenti, e ai frammenti del più tardo ciborio di San Giorgio di Valpolicella, risalenti all’età carolingia. Dopo un attento esame dei primi secoli bassomedievali, interessati dal massimo sviluppo del sistema plebano e dall’inizio della sua crisi, si è cercato di dar conto dei manufatti dei secoli XIV e XV ancora sussistenti, quasi sempre realizzati in rosso ammonitico veronese e caratterizzati da un profilo a sezione ottagonale (Parte Prima, Cap. 3). Il catalogo dei fonti battesimali dell’Italia settentrionale costituisce la seconda parte del lavoro; è preceduto da alcune considerazioni volte, innanzi tutto, a orientare sui criteri applicabili per distinguere questa classe di manufatti da altre apparentemente affini, come le acquasantiere o i contenitori per l’olio. Gli impianti sono stati raggruppati per tipologie in relazione all’aspetto, al funzionamento e ai materiali con cui furono realizzati. Si è, infine, verificata l’importanza di uno studio diacronico, che consideri i segni lasciati nel tempo sui monumenti e i loro spostamenti, indici di un’evoluzione nelle pratiche liturgiche e nella mentalità che oggi ne condizionano in modo significativo la percezione.
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