LE SOGLIE CHE PROVOCANO. CORPI, SPAZIO E CULTURE NELLA DIMORA DELLA CONTEMPORANEITÀ Oggi che le scienze sociali ci hanno reso consapevoli della natura multivocale e plurale del lavoro di cura, e del carattere problematico delle costruzioni identitarie dovuto alla contemporanea coesistenza, nello stesso spazio, di una vasta gamma di differenze difficilmente definibili, diventa urgente che al livello del noi - nei nostri gruppi, nelle nostre istituzioni - i processi e i prodotti culturali si possano svincolare dalla loro aderenza a determinati modelli, contribuendo a restituire il concetto di cultura ai luoghi in cui esso viene ridefinito e riattualizzato, senza soste. Per questo, la ricerca condotta è nata, e maturata, all'interno di due istituzioni, sul territorio veronese, che si occupano di cura ed educazione di minori, italiani e migranti, a partire da ciò che, quotidianamente, avviene al loro interno, ossia un incontro, o meglio, un reticolo di incontri, tra saperi e persone, tra intenzionalità ed alterità. Il metodo di indagine è frutto di un meticciamento di strumenti, ed un posizionamento sulla soglia, all'incrocio tra varie discipline: osservazione partecipante, raccolta delle life-stories di operatori/trici impegnati/e nel lavoro di cura e dei genitori migranti incontrati sul campo di ricerca, analisi istituzionale storico-longitudinale (sul modello tracciato dagli studi foucaultiani) condotta presso le due istituzioni, studio ed esplorazione delle dimensioni del viaggio, e dell'impossibilità - a volte - del ritorno, nel fenomeno migratorio. Al mio lavoro di ricerca, ho imposto l'obbligo di gettare una luce critica sulle nostre costruzioni culturali, e sui concetti stessi di cura, identità, educazione, convinto che il lavoro con i/le migranti sia, innanzitutto, una costrizione a ripensare la nostra idea di universale, che troppo spesso occulta le differenze - di genere e generazioni, oltre che culturali - e finisce per occupare tutto lo spazio della riflessione e delle pratiche, privandoci della possibilità di vere innovazioni, le quali maturano solo quando possiamo pensarci, noi assieme agli/lle altri/e, differenti. La mia proposta è diretta a considerare le istituzioni di cura come veri e propri sistemi culturali, che possono produrre cambiamento ed innovazioni, solo nella misura in cui sanno, e sapranno, evocare parole e spazi insurrezionali e perturbanti, quei fattori, insomma, che hanno il potenziale per innescare trasformazioni, anche profonde. Parlare, e far vedere, l'alterità all'interno delle istituzioni sono le azioni che costituiscono la politica della testimonianza, per la quale nessuno è detentore di un sapere unico, e comunque superiore a quello di altri/e, ma che posiziona le persone in un perenne senso di provvisorietà epistemologica, da cui proviene la conflittualità della scena contemporanea; essa obbliga a vivere e ad imparare sotto il vincolo, reciproco, di prendere sul serio le nostre ed altrui parole, le nostre ed altrui storie, i nostri ed altrui saperi, sperimentando, sul campo, i paradossi e le contraddizioni dell'incontro con l'altro, della rivendicazione di sé, delle costruzioni identitarie.

Nowadays the social sciences have made us aware of the manifold nature of care work, and the problematic feature of identity constructions due to the simultaneous coexistence, at the same level, of a wide range of differences hardly definable. It becomes urgent that at the level of us - in our groups, in our institutions - the cultural processes can be released from their adherence to certain models, helping to return the concept of culture to the places where it is redefined and reactivated. For this reason, the research was born and raised within two institutions, in the Verona area, that deal with child care and education, starting from what, every day, takes place within them, namely a meeting, or rather, a network of meetings, among knowledge and people, identity and otherness. The method of investigation is the result of a crossbreeding of tools, and the intersection of various disciplines: participant observation, collection of life-stories of practitioners committed in the field of care and education, and migrant parents I met on field, historical and institutional analysis (along the lines traced by the Foucauldian studies), study and exploration of the dimensions of the trip, and the impossibility - sometimes - of the return within the migration phenomenon. I imposed to my research the obligation to cast a critical light on our cultural constructions, and on the concepts of care, identity, education, in the belief that working with migrants is primarily a compulsion to re-think our idea of universal, which too often hides all the differences and ends up seizing all the space for thought and practice, depriving us of the possibility of true innovation, which accrues only when we think we are, along with the others, different. My proposal is to consider the care institutions as real cultural systems, which can produce change and innovation, only insofar as they will be able to open their space to insurrectional and challenging words, factors, in brief, which have the potential to trigger changes, even radical. Talk about, and show, the otherness within the institutions are the actions that constitute the will to bear witness that none holds a unique knowledge, but rather that we are experiencing the conflict of the contemporary scene, which forces us to live and learn under the mutual bond to take seriously our own and others' words, our and others' stories, our and others' knowledge, experimenting in the field the paradoxes and contradictions of the encounter with the other, of the claim of Self, of the identity constructions.

Le soglie che provocano. Corpi, spazio e culture nella dimora della contemporaneità

PERIN, Simone
2012-01-01

Abstract

Nowadays the social sciences have made us aware of the manifold nature of care work, and the problematic feature of identity constructions due to the simultaneous coexistence, at the same level, of a wide range of differences hardly definable. It becomes urgent that at the level of us - in our groups, in our institutions - the cultural processes can be released from their adherence to certain models, helping to return the concept of culture to the places where it is redefined and reactivated. For this reason, the research was born and raised within two institutions, in the Verona area, that deal with child care and education, starting from what, every day, takes place within them, namely a meeting, or rather, a network of meetings, among knowledge and people, identity and otherness. The method of investigation is the result of a crossbreeding of tools, and the intersection of various disciplines: participant observation, collection of life-stories of practitioners committed in the field of care and education, and migrant parents I met on field, historical and institutional analysis (along the lines traced by the Foucauldian studies), study and exploration of the dimensions of the trip, and the impossibility - sometimes - of the return within the migration phenomenon. I imposed to my research the obligation to cast a critical light on our cultural constructions, and on the concepts of care, identity, education, in the belief that working with migrants is primarily a compulsion to re-think our idea of universal, which too often hides all the differences and ends up seizing all the space for thought and practice, depriving us of the possibility of true innovation, which accrues only when we think we are, along with the others, different. My proposal is to consider the care institutions as real cultural systems, which can produce change and innovation, only insofar as they will be able to open their space to insurrectional and challenging words, factors, in brief, which have the potential to trigger changes, even radical. Talk about, and show, the otherness within the institutions are the actions that constitute the will to bear witness that none holds a unique knowledge, but rather that we are experiencing the conflict of the contemporary scene, which forces us to live and learn under the mutual bond to take seriously our own and others' words, our and others' stories, our and others' knowledge, experimenting in the field the paradoxes and contradictions of the encounter with the other, of the claim of Self, of the identity constructions.
2012
Etnopsichiatria; antropologia culturale; analisi istituzionale
LE SOGLIE CHE PROVOCANO. CORPI, SPAZIO E CULTURE NELLA DIMORA DELLA CONTEMPORANEITÀ Oggi che le scienze sociali ci hanno reso consapevoli della natura multivocale e plurale del lavoro di cura, e del carattere problematico delle costruzioni identitarie dovuto alla contemporanea coesistenza, nello stesso spazio, di una vasta gamma di differenze difficilmente definibili, diventa urgente che al livello del noi - nei nostri gruppi, nelle nostre istituzioni - i processi e i prodotti culturali si possano svincolare dalla loro aderenza a determinati modelli, contribuendo a restituire il concetto di cultura ai luoghi in cui esso viene ridefinito e riattualizzato, senza soste. Per questo, la ricerca condotta è nata, e maturata, all'interno di due istituzioni, sul territorio veronese, che si occupano di cura ed educazione di minori, italiani e migranti, a partire da ciò che, quotidianamente, avviene al loro interno, ossia un incontro, o meglio, un reticolo di incontri, tra saperi e persone, tra intenzionalità ed alterità. Il metodo di indagine è frutto di un meticciamento di strumenti, ed un posizionamento sulla soglia, all'incrocio tra varie discipline: osservazione partecipante, raccolta delle life-stories di operatori/trici impegnati/e nel lavoro di cura e dei genitori migranti incontrati sul campo di ricerca, analisi istituzionale storico-longitudinale (sul modello tracciato dagli studi foucaultiani) condotta presso le due istituzioni, studio ed esplorazione delle dimensioni del viaggio, e dell'impossibilità - a volte - del ritorno, nel fenomeno migratorio. Al mio lavoro di ricerca, ho imposto l'obbligo di gettare una luce critica sulle nostre costruzioni culturali, e sui concetti stessi di cura, identità, educazione, convinto che il lavoro con i/le migranti sia, innanzitutto, una costrizione a ripensare la nostra idea di universale, che troppo spesso occulta le differenze - di genere e generazioni, oltre che culturali - e finisce per occupare tutto lo spazio della riflessione e delle pratiche, privandoci della possibilità di vere innovazioni, le quali maturano solo quando possiamo pensarci, noi assieme agli/lle altri/e, differenti. La mia proposta è diretta a considerare le istituzioni di cura come veri e propri sistemi culturali, che possono produrre cambiamento ed innovazioni, solo nella misura in cui sanno, e sapranno, evocare parole e spazi insurrezionali e perturbanti, quei fattori, insomma, che hanno il potenziale per innescare trasformazioni, anche profonde. Parlare, e far vedere, l'alterità all'interno delle istituzioni sono le azioni che costituiscono la politica della testimonianza, per la quale nessuno è detentore di un sapere unico, e comunque superiore a quello di altri/e, ma che posiziona le persone in un perenne senso di provvisorietà epistemologica, da cui proviene la conflittualità della scena contemporanea; essa obbliga a vivere e ad imparare sotto il vincolo, reciproco, di prendere sul serio le nostre ed altrui parole, le nostre ed altrui storie, i nostri ed altrui saperi, sperimentando, sul campo, i paradossi e le contraddizioni dell'incontro con l'altro, della rivendicazione di sé, delle costruzioni identitarie.
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