Il percorso si è orientato con una localizzazione geografica precisa – la città di Mantova –, in relazione a un definito Ordine religioso – i Francescani – e, restringendo ancora maggiormente il focus, si è concentrato in particolare sul convento cittadino di San Francesco e sul cenobio della Beata Vergine delle Grazie in Curtatone (Mn). La presenza del francescanesimo a Mantova è sempre stata significativa, connotata da presenze radicate e capillarmente diffuse sul territorio (oltre ai Padri delle Grazie, basti pensare ai Cappuccini di Bozzolo, di Casalmoro, di Goito, di Ostiglia e di Sermide; ai Francescani di Rivarolo e di Volta Mantovana; ai Riformati di Revere). Solamente nella città di Mantova erano infatti attivi, oltre ai padri del convento di San Francesco e ai Riformati di Santo Spirito in San Carlo, anche gli Ordini femminili nelle loro diverse declinazioni: le Francescane di Santa Maria Maddalena, di Santa Paola e di Sant’Orsola; le Clarisse di San Giuseppe; le Cappuccine di Santa Maria del Paradiso; le Terziarie di Santa Elisabetta e quelle di Santa Lucia. E si può dedurre che il radicamento del Francescanesimo sia stato anche più forte delle ondate delle soppressioni, se è vero che, pure nelle difficoltà, la presenza di quest’Ordine non è mai venuta meno, soprattutto per le sue accezioni caritatevoli e di assistenza sanitaria, dimensioni che lo hanno da sempre messo in relazione profonda con la popolazione più bisognosa. Il convento di San Francesco e quello delle Grazie possono essere interpretati come le due facce della stessa medaglia: il primo, collocato entro le mura cittadine, è il convento della capitale dello Stato mantovano, con tutto ciò che ne deriva in termini di culto e di prestigio; il secondo, situato alle porte della città, in una posizione strategica e facilmente raggiungibile sia via terra (alla confluenza degli assi viari che collegano Mantova con Cremona e con Brescia; in prossimità della difesa del Serraglio) sia via acqua (ovvero sulla riva del fiume Mincio, a pochi chilometri dai laghi cittadini), è la meta del pellegrinaggio suburbano. L’asse francescano si sviluppa quindi dal cuore cittadino, passa per la via che collega Mantova a Cremona, sfiorando la Certosa degli Angeli, raggiunge, dopo circa sei chilometri, il santuario dedicato alla devozione mariana, dove, al pari di altri santuari come San Luca di Bologna o l’Impruneta di Firenze, si venera un’icona della Vergine dispensatrice di grazie e protettrice celeste della città e dei suoi abitanti. In entrambi i conventi, di fondazione medioevale, si osserva un legame privilegiato con l’élite cittadina. Per San Francesco il vincolo con la famiglia dominante è testimoniato dalla scelta dei Gonzaga di collocare qui le sepolture dei capitani del popolo prima e dei marchesi poi, dal Trecento e sino alla fine del Quattrocento. In particolare la cappella di San Ludovico, che sarà nel Quattrocento dedicata a San Bernardino, diventerà il sacrario del Gonzaga ma, in generale, tutta la chiesa di San Francesco godrà di importanti patronati garantiti dalle famiglie della nobiltà mantovana. Per quanto riguarda il convento di Grazie va ricordato che la fondazione, sulle fondamenta di quella che era la chiesa di Santa Maria di Reverso, si deve alla volontà di un Gonzaga, il capitano Francesco I, come ex voto per la fine della peste che affliggeva Mantova alla fine del Trecento. Sarà lo stesso Gonzaga che vorrà i Francescani a Grazie e saranno i suoi successori che permetteranno agli artisti di corte, da Giulio Romano ad Antonio Maria Viani, di portare a termine alcune significative committenze nel santuario (basti ricordare che il Pippi è l’autore del monumento funebre di Baldassarre Castiglioni mentre Viani dipinge la pala per la cappella degli Ippoliti). Questo legame privilegiato con i Gonzaga proseguirà almeno sino al Seicento, quando il santuario di Grazie sarà scelto come luogo della sepoltura di alcuni esponenti della famiglia. Come nel caso del convento di San Francesco anche qui è sempre stato garantito il sostegno da parte di famiglie gentilizie come gli Aliprandi, i Capilupi, i Corradi, gli Ippoliti, gli Zibramonti e i Castiglioni ed è chiaro che questo legame si traduce in committenze significative e in lasciti testamentari che, in alcuni casi, sono stati fondamentali per ricostruire alcune committenze artistiche. Sia San Francesco, sia il convento di Grazie sono stati oggetto di profonde e radicali trasformazioni. Il primo impulso alla ricerca è infatti partito dall’assenza, ovvero si è andati alla ricerca di ciò che c’era e che non c’è più perché travolto dagli eventi, spesso drammatici, del passato. Entrambi i cenobi sono stati infatti soppressi tra Settecento e Ottocento e drammaticamente colpiti sia nella loro struttura sia nelle loro collezioni artistiche. Il convento di San Francesco, dalla fine del Settecento, è stato spogliato e trasformato in arsenale, mentre, alla metà degli anni Quaranta del Novecento, all’alba di un suo recupero, è stato distrutto dalle bombe della seconda guerra mondiale. Il convento delle Grazie nel Settecento ha invece accolto l’Ospedale mantovano mentre, negli anni Dieci dell’Ottocento, è stato alienato a un privato, dopodiché la maggior parte delle fabbriche sono state demolite. Con questa fase è coincisa la perdita di buona parte delle opere d’arte che ornavano il cenobio e la chiesa. Gli inventari e le mappe dei conventi, i documenti e le guide storico-artistiche del passato, sono stati i “luoghi” dove è stato possibile individuare le tracce di ciò che andato smarrito (e, fortunatamente, non sempre perduto), nel tentativo di ricostruire, anche se solamente sulla carta, ciò che i nostri avi poterono vedere con i loro occhi. Per San Francesco si sono consultati gli inventari in un arco temporale che va dal Seicento al Settecento, raccogliendo un’importante serie di dati sulla consistenza del patrimonio del convento, in una sorta di percorso virtuale che si snoda di stanza in stanza, dalle celle dei frati al refettorio, dalla sagrestia all’infermeria, dalle cucine alla biblioteca. Per Grazie si sono trascritti gli inventari della metà del Settecento e, soprattutto, è stato fondamentale un inventario stilato all’indomani della soppressione, una vera “fotografia” del convento prima delle demolizioni. I lunghi elenchi stilati dai frati sono stati letti in filigrana per potere ricomporre uno status perduto per sempre e, confrontati con le descrizioni settecentesche (in primis con la guida artistica di Giovanni Cadioli), hanno rappresentato i tasselli fondamentali per identificare le opere e per realizzare una schedatura delle stesse. Per quanto riguarda San Francesco la dispersione delle opere d’arte è iniziata in concomitanza con la ridestinazione d’uso della fine del Settecento: si sono perduti i monumenti sepolcrali i quali, quando non sono andati distrutti, sono stati trasportati in parte in Sant’Andrea, in parte nel Palazzo Ducale in Mantova. I dipinti riconosciuti grazie agli inventari si trovano attualmente nello stesso Palazzo Ducale (come, ad esempio, i Santi vescovi, parte di un polittico di Giovanni Salmista; la Madonna in gloria con i santi di Ippolito Costa; la Conversione di Saulo di Girolamo Mazzola Bedoli), nelle chiese cittadine (i Santi Antonio da Padova, Pietro e Paolo di Ippolito Costa, ora in Sant’Apollonia, e la Santa Margheria da Cortona di Giuseppe Bazzani, ora in San Maurizio); ma anche a Milano nella Pinacoteca di Brera (il controverso San Bernardino mantegnesco che ornava il sacrario dei Gonzaga; i Santi Ludovico e Francesco di Francesco Bonsignori dipinti per il pulpito e l’Annunciazione di Francesco Francia che ornava l’omonimo altare) e nel Museo di Castelvecchio a Verona (il San Ludovico di Francesco Borgani dipinto per un altare della sagrestia). Per Grazie, viceversa, si è osservato che – tranne che per le oreficerie, descritte a metà Settecento, testimonianza dei molti doni preziosi lasciati dai visitatori illustri, e completamente perdute – molte opere d’arte elencate agli inizi dell’Ottocento sono ancora presenti anche se ricollocate. Basti pensare all’icona della Vergine, un tempo esposta nella cappella della navata dedicata alla Madonna, e dagli anni Trenta del Novecento inserita in un tempietto nel presbiterio, oppure all’Assunta di Fermo Ghisoni (con il ritratto del committente Ferrante Gonzaga e della moglie Isabella di Capua) che un tempo decorava il presbiterio e che ora si trova nella sagrestia. Sono ancora in situ le curiose statue polimateriche che popolano l’impalcato ligneo addossato alle pareti della navata, così come le pale di Francesco Bonsignori raffiguranti, rispettivamente, San Sebastiano e San Girolamo, sono collocate nelle omonime cappelle. Nel procedere verso la ricomposizione ideale del convento si è rintracciato anche quello che resta della biblioteca francescana e che nell’Ottocento è confluito nella Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova, salvato dall’allora bibliotecario, il lungimirante Leopoldo Camillo Volta, dalle vendite all’incanto o, peggio, alle svendite a peso di carta. In occasione di questa ricerca si è ricomposto per la prima volta un corpus di manoscritti e di incunaboli che possono essere interpretati come una traccia utile per comprendere la composizione del sapere francescano divulgato nelle Scuole conventuali, certamente non limitato alla teologia ma aperto anche a questioni naturalistiche, filosofiche, astronomiche e giuridiche. Le vicende di San Francesco appaiono ancora più drammatiche se si pensa che nel 1941 la chiesa era stata finalmente ceduta al Comune di Mantova e nuovamente ai Francescani al fine di poterla recuperare nella sua dimensione devozionale ma che di lì a breve, tra il 1944 e il 1945, il complesso venne bombardato. L’aspetto attuale è quello conferito dai restauri degli anni Cinquanta, alle pareti della navata sono appesi i lacerti degli affreschi strappati, nelle cappelle laterali si trovano alcuni frammenti di monumenti sepolcrali e quei pochi dipinti sopravvissuti allo scempio. È particolarmente interessante leggere tra le carte d’archivio come, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, fosse cresciuta la coscienza della tutela e come si fosse tentato di affidare ad alcuni esperti lo strappo dell’affresco absidale raffigurante la Madonna con Bambino in trono e una schiera angelica di ambito mantegnesco. Una sorta di risposta morale allo scempio di San Francesco che, tuttavia, non si compì per le infinite polemiche tra le istituzioni del tempo. In questo modo non fu possibile mettere in salvo i dipinti, distrutti, a metà del secolo scorso, dagli effetti delle bombe. Anche per Grazie lo studio dei restauri è stato di grande ausilio: l’aspetto attuale è infatti l’esito di ciò che è stato risparmiato dalle demolizioni ottocentesche e, al tempo stesso, è il risultato di una lunga sequenza di interventi di restauro ripetuti nel tempo. L’apparato decorativo della navata, anche se costituito da materiali poveri e facilmente deperibili, è sopravvissuto grazie a una costante manutenzione garantita ogni dieci anni dai frati grazie alla generosa donazione di un privato e a un globale restauro degli anni Novanta del Novecento. L’aspetto del presbiterio è l’esito di una complessa campagna di debarocchizzazione degli anni Trenta del Novecento, e sempre agli anni Trenta risale l’eccezionale scoperta di un corpus di armature gotiche. Altre scoperte di elementi decorativi inediti si devono all’indagine di restauro dei primi anni Novanta, quando alcuni dipinti raffiguranti cardinali francescani e angeli mantegneschi sono emersi sotto alcune ridipinture dell’impalcato ligneo. Non a caso si è voluto inserire in questa ricerca una parentesi dedicata ai restauri poiché, per alcuni versi, possono essere letti, da una parte, come il desiderio di porre rimedio a ciò che si è perduto nel corso degli eventi e, dall’altra, come la volontà di salvaguardare il proprio patrimonio religioso, storico e artistico. Come a dire che, anche dopo il tempo delle dispersioni e delle distruzioni, la coscienza può dare vita a una rinnovata stagione di tutela e di restauro.

The essay involves a peculiar city - Mantua- and a peculiar religious order - the Franciscans -, and focuses on a peculiar convent devoted to St. Francis and on the monastery of Beata Vergine delle Grazie in Curtatone (Mn). The first, situated within the city walls, is the prime cluster of the Mantuan State, highly connnotated with worship and honour. The former, outside the city, was built in a strategic location, easily to reach both by water and by land. It is the pilgrimage suburbian site. From the XIV to the XV centuries, the Gonzaga dynasty chose the St. Francis convent as the location of their burials. That choice is evidence of the political and religious importance of the convent. "Capitano" Francesco I Gonzaga, at the end of XIV century, ordered to build the convent as "ex-voto" for the end of the plague. He also summoned the Franciscans in the convent. During centuries both the monuments have undergone radical changes: in the XVIII and XIX the monasteries were closed and dramatically hit in their architectonic structure and artistic collections. At the end of the XVIII century the St. Francis convent had been used as an arsenal, and during the World War II it was bombed. In the XVIII century the monastery of Beata Vergine delle Grazie had been transformed into an hospital, while in the 1810s it was sold to a private and most buildings were destroyed. During these years many works of art had been lost. Nowadays the only hints of the past are the convent inventories and maps, the documents and the art history guides. Not always what is missing is also lost, so it is possible to rebuilt, although on paper, what our ancestors could have seen with their own eyes.

Alla ricerca dei frammenti perduti: per una ricostruzione virtuale delle collezioni dei conventi francescani di Mantova. San Francesco e la Beata Vergine delle Grazie in Curtatone.

ARTONI, Paola
2011-01-01

Abstract

The essay involves a peculiar city - Mantua- and a peculiar religious order - the Franciscans -, and focuses on a peculiar convent devoted to St. Francis and on the monastery of Beata Vergine delle Grazie in Curtatone (Mn). The first, situated within the city walls, is the prime cluster of the Mantuan State, highly connnotated with worship and honour. The former, outside the city, was built in a strategic location, easily to reach both by water and by land. It is the pilgrimage suburbian site. From the XIV to the XV centuries, the Gonzaga dynasty chose the St. Francis convent as the location of their burials. That choice is evidence of the political and religious importance of the convent. "Capitano" Francesco I Gonzaga, at the end of XIV century, ordered to build the convent as "ex-voto" for the end of the plague. He also summoned the Franciscans in the convent. During centuries both the monuments have undergone radical changes: in the XVIII and XIX the monasteries were closed and dramatically hit in their architectonic structure and artistic collections. At the end of the XVIII century the St. Francis convent had been used as an arsenal, and during the World War II it was bombed. In the XVIII century the monastery of Beata Vergine delle Grazie had been transformed into an hospital, while in the 1810s it was sold to a private and most buildings were destroyed. During these years many works of art had been lost. Nowadays the only hints of the past are the convent inventories and maps, the documents and the art history guides. Not always what is missing is also lost, so it is possible to rebuilt, although on paper, what our ancestors could have seen with their own eyes.
2011
Soppressioni napoleoniche; Mantova; Francescani; San Francesco; Beata Vergine delle Grazie; Curtatone
Il percorso si è orientato con una localizzazione geografica precisa – la città di Mantova –, in relazione a un definito Ordine religioso – i Francescani – e, restringendo ancora maggiormente il focus, si è concentrato in particolare sul convento cittadino di San Francesco e sul cenobio della Beata Vergine delle Grazie in Curtatone (Mn). La presenza del francescanesimo a Mantova è sempre stata significativa, connotata da presenze radicate e capillarmente diffuse sul territorio (oltre ai Padri delle Grazie, basti pensare ai Cappuccini di Bozzolo, di Casalmoro, di Goito, di Ostiglia e di Sermide; ai Francescani di Rivarolo e di Volta Mantovana; ai Riformati di Revere). Solamente nella città di Mantova erano infatti attivi, oltre ai padri del convento di San Francesco e ai Riformati di Santo Spirito in San Carlo, anche gli Ordini femminili nelle loro diverse declinazioni: le Francescane di Santa Maria Maddalena, di Santa Paola e di Sant’Orsola; le Clarisse di San Giuseppe; le Cappuccine di Santa Maria del Paradiso; le Terziarie di Santa Elisabetta e quelle di Santa Lucia. E si può dedurre che il radicamento del Francescanesimo sia stato anche più forte delle ondate delle soppressioni, se è vero che, pure nelle difficoltà, la presenza di quest’Ordine non è mai venuta meno, soprattutto per le sue accezioni caritatevoli e di assistenza sanitaria, dimensioni che lo hanno da sempre messo in relazione profonda con la popolazione più bisognosa. Il convento di San Francesco e quello delle Grazie possono essere interpretati come le due facce della stessa medaglia: il primo, collocato entro le mura cittadine, è il convento della capitale dello Stato mantovano, con tutto ciò che ne deriva in termini di culto e di prestigio; il secondo, situato alle porte della città, in una posizione strategica e facilmente raggiungibile sia via terra (alla confluenza degli assi viari che collegano Mantova con Cremona e con Brescia; in prossimità della difesa del Serraglio) sia via acqua (ovvero sulla riva del fiume Mincio, a pochi chilometri dai laghi cittadini), è la meta del pellegrinaggio suburbano. L’asse francescano si sviluppa quindi dal cuore cittadino, passa per la via che collega Mantova a Cremona, sfiorando la Certosa degli Angeli, raggiunge, dopo circa sei chilometri, il santuario dedicato alla devozione mariana, dove, al pari di altri santuari come San Luca di Bologna o l’Impruneta di Firenze, si venera un’icona della Vergine dispensatrice di grazie e protettrice celeste della città e dei suoi abitanti. In entrambi i conventi, di fondazione medioevale, si osserva un legame privilegiato con l’élite cittadina. Per San Francesco il vincolo con la famiglia dominante è testimoniato dalla scelta dei Gonzaga di collocare qui le sepolture dei capitani del popolo prima e dei marchesi poi, dal Trecento e sino alla fine del Quattrocento. In particolare la cappella di San Ludovico, che sarà nel Quattrocento dedicata a San Bernardino, diventerà il sacrario del Gonzaga ma, in generale, tutta la chiesa di San Francesco godrà di importanti patronati garantiti dalle famiglie della nobiltà mantovana. Per quanto riguarda il convento di Grazie va ricordato che la fondazione, sulle fondamenta di quella che era la chiesa di Santa Maria di Reverso, si deve alla volontà di un Gonzaga, il capitano Francesco I, come ex voto per la fine della peste che affliggeva Mantova alla fine del Trecento. Sarà lo stesso Gonzaga che vorrà i Francescani a Grazie e saranno i suoi successori che permetteranno agli artisti di corte, da Giulio Romano ad Antonio Maria Viani, di portare a termine alcune significative committenze nel santuario (basti ricordare che il Pippi è l’autore del monumento funebre di Baldassarre Castiglioni mentre Viani dipinge la pala per la cappella degli Ippoliti). Questo legame privilegiato con i Gonzaga proseguirà almeno sino al Seicento, quando il santuario di Grazie sarà scelto come luogo della sepoltura di alcuni esponenti della famiglia. Come nel caso del convento di San Francesco anche qui è sempre stato garantito il sostegno da parte di famiglie gentilizie come gli Aliprandi, i Capilupi, i Corradi, gli Ippoliti, gli Zibramonti e i Castiglioni ed è chiaro che questo legame si traduce in committenze significative e in lasciti testamentari che, in alcuni casi, sono stati fondamentali per ricostruire alcune committenze artistiche. Sia San Francesco, sia il convento di Grazie sono stati oggetto di profonde e radicali trasformazioni. Il primo impulso alla ricerca è infatti partito dall’assenza, ovvero si è andati alla ricerca di ciò che c’era e che non c’è più perché travolto dagli eventi, spesso drammatici, del passato. Entrambi i cenobi sono stati infatti soppressi tra Settecento e Ottocento e drammaticamente colpiti sia nella loro struttura sia nelle loro collezioni artistiche. Il convento di San Francesco, dalla fine del Settecento, è stato spogliato e trasformato in arsenale, mentre, alla metà degli anni Quaranta del Novecento, all’alba di un suo recupero, è stato distrutto dalle bombe della seconda guerra mondiale. Il convento delle Grazie nel Settecento ha invece accolto l’Ospedale mantovano mentre, negli anni Dieci dell’Ottocento, è stato alienato a un privato, dopodiché la maggior parte delle fabbriche sono state demolite. Con questa fase è coincisa la perdita di buona parte delle opere d’arte che ornavano il cenobio e la chiesa. Gli inventari e le mappe dei conventi, i documenti e le guide storico-artistiche del passato, sono stati i “luoghi” dove è stato possibile individuare le tracce di ciò che andato smarrito (e, fortunatamente, non sempre perduto), nel tentativo di ricostruire, anche se solamente sulla carta, ciò che i nostri avi poterono vedere con i loro occhi. Per San Francesco si sono consultati gli inventari in un arco temporale che va dal Seicento al Settecento, raccogliendo un’importante serie di dati sulla consistenza del patrimonio del convento, in una sorta di percorso virtuale che si snoda di stanza in stanza, dalle celle dei frati al refettorio, dalla sagrestia all’infermeria, dalle cucine alla biblioteca. Per Grazie si sono trascritti gli inventari della metà del Settecento e, soprattutto, è stato fondamentale un inventario stilato all’indomani della soppressione, una vera “fotografia” del convento prima delle demolizioni. I lunghi elenchi stilati dai frati sono stati letti in filigrana per potere ricomporre uno status perduto per sempre e, confrontati con le descrizioni settecentesche (in primis con la guida artistica di Giovanni Cadioli), hanno rappresentato i tasselli fondamentali per identificare le opere e per realizzare una schedatura delle stesse. Per quanto riguarda San Francesco la dispersione delle opere d’arte è iniziata in concomitanza con la ridestinazione d’uso della fine del Settecento: si sono perduti i monumenti sepolcrali i quali, quando non sono andati distrutti, sono stati trasportati in parte in Sant’Andrea, in parte nel Palazzo Ducale in Mantova. I dipinti riconosciuti grazie agli inventari si trovano attualmente nello stesso Palazzo Ducale (come, ad esempio, i Santi vescovi, parte di un polittico di Giovanni Salmista; la Madonna in gloria con i santi di Ippolito Costa; la Conversione di Saulo di Girolamo Mazzola Bedoli), nelle chiese cittadine (i Santi Antonio da Padova, Pietro e Paolo di Ippolito Costa, ora in Sant’Apollonia, e la Santa Margheria da Cortona di Giuseppe Bazzani, ora in San Maurizio); ma anche a Milano nella Pinacoteca di Brera (il controverso San Bernardino mantegnesco che ornava il sacrario dei Gonzaga; i Santi Ludovico e Francesco di Francesco Bonsignori dipinti per il pulpito e l’Annunciazione di Francesco Francia che ornava l’omonimo altare) e nel Museo di Castelvecchio a Verona (il San Ludovico di Francesco Borgani dipinto per un altare della sagrestia). Per Grazie, viceversa, si è osservato che – tranne che per le oreficerie, descritte a metà Settecento, testimonianza dei molti doni preziosi lasciati dai visitatori illustri, e completamente perdute – molte opere d’arte elencate agli inizi dell’Ottocento sono ancora presenti anche se ricollocate. Basti pensare all’icona della Vergine, un tempo esposta nella cappella della navata dedicata alla Madonna, e dagli anni Trenta del Novecento inserita in un tempietto nel presbiterio, oppure all’Assunta di Fermo Ghisoni (con il ritratto del committente Ferrante Gonzaga e della moglie Isabella di Capua) che un tempo decorava il presbiterio e che ora si trova nella sagrestia. Sono ancora in situ le curiose statue polimateriche che popolano l’impalcato ligneo addossato alle pareti della navata, così come le pale di Francesco Bonsignori raffiguranti, rispettivamente, San Sebastiano e San Girolamo, sono collocate nelle omonime cappelle. Nel procedere verso la ricomposizione ideale del convento si è rintracciato anche quello che resta della biblioteca francescana e che nell’Ottocento è confluito nella Biblioteca Comunale Teresiana di Mantova, salvato dall’allora bibliotecario, il lungimirante Leopoldo Camillo Volta, dalle vendite all’incanto o, peggio, alle svendite a peso di carta. In occasione di questa ricerca si è ricomposto per la prima volta un corpus di manoscritti e di incunaboli che possono essere interpretati come una traccia utile per comprendere la composizione del sapere francescano divulgato nelle Scuole conventuali, certamente non limitato alla teologia ma aperto anche a questioni naturalistiche, filosofiche, astronomiche e giuridiche. Le vicende di San Francesco appaiono ancora più drammatiche se si pensa che nel 1941 la chiesa era stata finalmente ceduta al Comune di Mantova e nuovamente ai Francescani al fine di poterla recuperare nella sua dimensione devozionale ma che di lì a breve, tra il 1944 e il 1945, il complesso venne bombardato. L’aspetto attuale è quello conferito dai restauri degli anni Cinquanta, alle pareti della navata sono appesi i lacerti degli affreschi strappati, nelle cappelle laterali si trovano alcuni frammenti di monumenti sepolcrali e quei pochi dipinti sopravvissuti allo scempio. È particolarmente interessante leggere tra le carte d’archivio come, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, fosse cresciuta la coscienza della tutela e come si fosse tentato di affidare ad alcuni esperti lo strappo dell’affresco absidale raffigurante la Madonna con Bambino in trono e una schiera angelica di ambito mantegnesco. Una sorta di risposta morale allo scempio di San Francesco che, tuttavia, non si compì per le infinite polemiche tra le istituzioni del tempo. In questo modo non fu possibile mettere in salvo i dipinti, distrutti, a metà del secolo scorso, dagli effetti delle bombe. Anche per Grazie lo studio dei restauri è stato di grande ausilio: l’aspetto attuale è infatti l’esito di ciò che è stato risparmiato dalle demolizioni ottocentesche e, al tempo stesso, è il risultato di una lunga sequenza di interventi di restauro ripetuti nel tempo. L’apparato decorativo della navata, anche se costituito da materiali poveri e facilmente deperibili, è sopravvissuto grazie a una costante manutenzione garantita ogni dieci anni dai frati grazie alla generosa donazione di un privato e a un globale restauro degli anni Novanta del Novecento. L’aspetto del presbiterio è l’esito di una complessa campagna di debarocchizzazione degli anni Trenta del Novecento, e sempre agli anni Trenta risale l’eccezionale scoperta di un corpus di armature gotiche. Altre scoperte di elementi decorativi inediti si devono all’indagine di restauro dei primi anni Novanta, quando alcuni dipinti raffiguranti cardinali francescani e angeli mantegneschi sono emersi sotto alcune ridipinture dell’impalcato ligneo. Non a caso si è voluto inserire in questa ricerca una parentesi dedicata ai restauri poiché, per alcuni versi, possono essere letti, da una parte, come il desiderio di porre rimedio a ciò che si è perduto nel corso degli eventi e, dall’altra, come la volontà di salvaguardare il proprio patrimonio religioso, storico e artistico. Come a dire che, anche dopo il tempo delle dispersioni e delle distruzioni, la coscienza può dare vita a una rinnovata stagione di tutela e di restauro.
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