Nel panorama artistico del primo Novecento, tra le seriche sperimentazioni di Loië Fuller, la purezza espressiva di Isadora Duncan e il sensuale e provocatorio Fauno-Niinskij, la poesia di William Butler Yeats accoglie, e lungamente conserva al suo interno, l’esperienza della danza. Già da The Wanderings of Oisin (1889) fino a «Sweet Dancer» (1938), passando, tra le altre, dalla famosa «Among School Children» (1926), la danza si affaccia costantemente nella produzione yeatsiana. Essa è tema, nella sua institita presenza, simbolo, perché unica via praticabile di espressione di una essenza invisibile, e, perfino, strumento di riflessione metalinguistica sullo scacco dell’arte verbale di fronte al danzatore. Qui esso è infatti, figura umana, quindi corporea, e allo stesso tempo, movimento puro, e dunque incorporeità. Dalla natura estatica e a tratti primitivistica che ritroviamo nella prima produzione, la danza assume, via via, tratti di complessità concettuale che fanno sì che essa diventi unico strumento in grado di rintracciare ed esprimere il ciclo della vita e della morte, risolvendo la contraddizione tra corporeità e trascendenza. Ed ecco che, oltre a farsi percorso di indagine privilegiato nel rinvenire la progressiva complicazione concettuale dell’opera poetica di Yeats, l’ossimorica presenza della danza si intreccia, dando spazio a mutue illuminazioni, a quel sistema “psico-antropologico-esoterico” che il poeta andava elaborando nei primi anni Venti, e che troverà compiutezza di espressione in A Vision (1925 e 1937). La danza si fa, invero, paradigma appropriato del ‘simbolismo geometrico’ — come lo definì lo stesso Yeats — della Grande Ruota, il cui moto è cadenzato dai mutamenti lunari che conchiudono uno schema al quale è soggetta sia la vita individuale, sia la globalità civile stessa. Non priva di tortuosità esoteriche che ne complicano la decifrazione, la Ruota pare tuttavia trovare la sua genesi proprio nel movimento danzato, nella sua trascendenza e, insieme, nella sua capacità di dire l’indicibile.

Outdancing thoughts. La danza in alcune poesie di W.B. Yeats

CALVI, Lisanna
2010-01-01

Abstract

Nel panorama artistico del primo Novecento, tra le seriche sperimentazioni di Loië Fuller, la purezza espressiva di Isadora Duncan e il sensuale e provocatorio Fauno-Niinskij, la poesia di William Butler Yeats accoglie, e lungamente conserva al suo interno, l’esperienza della danza. Già da The Wanderings of Oisin (1889) fino a «Sweet Dancer» (1938), passando, tra le altre, dalla famosa «Among School Children» (1926), la danza si affaccia costantemente nella produzione yeatsiana. Essa è tema, nella sua institita presenza, simbolo, perché unica via praticabile di espressione di una essenza invisibile, e, perfino, strumento di riflessione metalinguistica sullo scacco dell’arte verbale di fronte al danzatore. Qui esso è infatti, figura umana, quindi corporea, e allo stesso tempo, movimento puro, e dunque incorporeità. Dalla natura estatica e a tratti primitivistica che ritroviamo nella prima produzione, la danza assume, via via, tratti di complessità concettuale che fanno sì che essa diventi unico strumento in grado di rintracciare ed esprimere il ciclo della vita e della morte, risolvendo la contraddizione tra corporeità e trascendenza. Ed ecco che, oltre a farsi percorso di indagine privilegiato nel rinvenire la progressiva complicazione concettuale dell’opera poetica di Yeats, l’ossimorica presenza della danza si intreccia, dando spazio a mutue illuminazioni, a quel sistema “psico-antropologico-esoterico” che il poeta andava elaborando nei primi anni Venti, e che troverà compiutezza di espressione in A Vision (1925 e 1937). La danza si fa, invero, paradigma appropriato del ‘simbolismo geometrico’ — come lo definì lo stesso Yeats — della Grande Ruota, il cui moto è cadenzato dai mutamenti lunari che conchiudono uno schema al quale è soggetta sia la vita individuale, sia la globalità civile stessa. Non priva di tortuosità esoteriche che ne complicano la decifrazione, la Ruota pare tuttavia trovare la sua genesi proprio nel movimento danzato, nella sua trascendenza e, insieme, nella sua capacità di dire l’indicibile.
2010
9788896419120
Yeats; danza; poesia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/346714
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