Come ha osservato efficacemente Giorgio Doria, l’espansione genovese nel viceregno è stata ‘tentacolare’, irradiandosi in quasi tutte le provincie e investendo nei settori vitali dell’economia, grano, olio, vino, ferriere, penentrando anche nella sua vita feudale come dimostrano, nella situazione specifica della Calabria, i casi dei Grimaldi di Gerace, dei Serra di Cassano, dei Cybo-Malaspina di Aiello e degli Adorno di Rende. Fin dai primi decenni del XVI secolo, in un quadro di privilegio nei rapporti con il sistema imperiale spagnolo, i più importanti mercanti genovesi residenti nel Mezzogiorno assumono una quota significativa anche del ‘negotio’ serico. Se ancora alla metà del Quattrocento è garantito un certo equilibrio con i concorrenti fiorentini nel rifornimento del prezioso filato alle industrie tessili sivigliane, agli albori del Cinquecento il ruolo degli hombres de negocios genovesi diventa preponderante. Interessati alla seta calabrese – che aveva il suo centro manifatturiero a Catanzaro - sono i Ravaschieri, i Pinelli, i Calvo, i Lomellini, i De Mari, gli Spinola, i Cattaneo e i Sauli. In particolare, la ricchezza e il ruolo dei Sauli, originari di Lucca ma a Genova sin dal Trecento, prendono le mosse da alcune attività di mercatura gestite con perizia e fortuna. Dal 1423, si ha testimonianza del loro commercio di tessuti, ‘panni’ come vengono riportati nei documenti, proseguito almeno sino alla metà del Cinquecento, quando si trovano ancora attestazioni dei rapporti commerciali con la Turchia, l’Inghilterra e varie parti d’Italia, gestiti, insieme ai Giustiniani, dall’isola di Chio dove le due famiglie avevano creato la Maona (1486), una società offshore dedita al mercato delle stoffe. Tra i ‘panni’ c’erano le sete e i velluti importati dalla Calabria, traffico per il quale l’alta prelatura di Bendinelli II Sauli, vescovo di Gerace dal 1509 al 1517, aveva certamente fatto da battistrada. Il rapporto dei Sauli con la Calabria si identifica non solo attraverso il dato economico, ma anche con la devozione per la miracolosa ‘calata’ dell’effige di San Domenico in Soriano (15 settembre 1530): il capostipite Bendinelli I Sauli è sepolto alla sua morte, avvenuta nel 1481, nella cappella di famiglia, ubicata nella demolita chiesa gotica di San Domenico a Genova. L’originaria intitolazione del grandioso sacello alla “Annunciazione della beata Maria Vergine” risulta modificata con quella a San Domenico in Soriano già nel 1582, al tempo della visita apostolica di monsignor Francesco Bossio. Degno di nota e all’insegna di una sentita continuità culturale nel rapporto dei Sauli con la Calabria è l’aggiornamento artistico dell’apparato tardo-quattrocentesco del sepolcro che avviene, tra il 1661 e il 1674, con un radicale intervento ben documentato nel fondo Sauli dell’archivio Giustiniani-Durazzo, probabilmente indotto dalla proclamazione di San Domenico in Soriano a speciale patrono del Regno di Napoli ratificata da papa Urbano VIII nel 1640. Le fonti coeve ricordano come della pala d’altare si ignorasse “il pittore, poiché essa era stata mandata da Napoli: essa era stata fatta portare in Calabria dove, in Soriano, toccò la vera effigie del santo patriarca Domenico”, evocando così l’antica pratica devozionale delle “sacre misure” che prevedeva di prendere contatto diretto con l’immagine miracolosa attraverso nastri o fettucce di seta, commisurate alla lunghezza perimetrale del quadro. Sempre nel Seicento, i Sauli avrebbero poi affidato il loro culto privato anche a un altro quadro molto più grande, una Vergine che reca in terra l’immagine di San Domenico Soriano, dipinto da Domenico Fiasella, l’artista che aveva portato la ‘Madonna regina di Genova’ sugli altari delle chiese della ‘Nazione’ genovese di Napoli e Palermo; la tela con San Domenico Soriano è tuttora “sopra la porta che è in faccia della casa abbatiale” nella cinquecentesca chiesa di Santa Maria Assunta in Carignano a Genova, cioè nella basilica eretta da Galeazzo Alessi con i denari messi a disposizione da Bendinelli I Sauli e moltiplicati dalle fibre della seta calabrese.

Affari e preghiere di seta: i Sauli devoti 'hombres de negocios' tra la Repubblica di Genova e la Calabria del Viceregno

LEONARDI, Andrea
2009-01-01

Abstract

Come ha osservato efficacemente Giorgio Doria, l’espansione genovese nel viceregno è stata ‘tentacolare’, irradiandosi in quasi tutte le provincie e investendo nei settori vitali dell’economia, grano, olio, vino, ferriere, penentrando anche nella sua vita feudale come dimostrano, nella situazione specifica della Calabria, i casi dei Grimaldi di Gerace, dei Serra di Cassano, dei Cybo-Malaspina di Aiello e degli Adorno di Rende. Fin dai primi decenni del XVI secolo, in un quadro di privilegio nei rapporti con il sistema imperiale spagnolo, i più importanti mercanti genovesi residenti nel Mezzogiorno assumono una quota significativa anche del ‘negotio’ serico. Se ancora alla metà del Quattrocento è garantito un certo equilibrio con i concorrenti fiorentini nel rifornimento del prezioso filato alle industrie tessili sivigliane, agli albori del Cinquecento il ruolo degli hombres de negocios genovesi diventa preponderante. Interessati alla seta calabrese – che aveva il suo centro manifatturiero a Catanzaro - sono i Ravaschieri, i Pinelli, i Calvo, i Lomellini, i De Mari, gli Spinola, i Cattaneo e i Sauli. In particolare, la ricchezza e il ruolo dei Sauli, originari di Lucca ma a Genova sin dal Trecento, prendono le mosse da alcune attività di mercatura gestite con perizia e fortuna. Dal 1423, si ha testimonianza del loro commercio di tessuti, ‘panni’ come vengono riportati nei documenti, proseguito almeno sino alla metà del Cinquecento, quando si trovano ancora attestazioni dei rapporti commerciali con la Turchia, l’Inghilterra e varie parti d’Italia, gestiti, insieme ai Giustiniani, dall’isola di Chio dove le due famiglie avevano creato la Maona (1486), una società offshore dedita al mercato delle stoffe. Tra i ‘panni’ c’erano le sete e i velluti importati dalla Calabria, traffico per il quale l’alta prelatura di Bendinelli II Sauli, vescovo di Gerace dal 1509 al 1517, aveva certamente fatto da battistrada. Il rapporto dei Sauli con la Calabria si identifica non solo attraverso il dato economico, ma anche con la devozione per la miracolosa ‘calata’ dell’effige di San Domenico in Soriano (15 settembre 1530): il capostipite Bendinelli I Sauli è sepolto alla sua morte, avvenuta nel 1481, nella cappella di famiglia, ubicata nella demolita chiesa gotica di San Domenico a Genova. L’originaria intitolazione del grandioso sacello alla “Annunciazione della beata Maria Vergine” risulta modificata con quella a San Domenico in Soriano già nel 1582, al tempo della visita apostolica di monsignor Francesco Bossio. Degno di nota e all’insegna di una sentita continuità culturale nel rapporto dei Sauli con la Calabria è l’aggiornamento artistico dell’apparato tardo-quattrocentesco del sepolcro che avviene, tra il 1661 e il 1674, con un radicale intervento ben documentato nel fondo Sauli dell’archivio Giustiniani-Durazzo, probabilmente indotto dalla proclamazione di San Domenico in Soriano a speciale patrono del Regno di Napoli ratificata da papa Urbano VIII nel 1640. Le fonti coeve ricordano come della pala d’altare si ignorasse “il pittore, poiché essa era stata mandata da Napoli: essa era stata fatta portare in Calabria dove, in Soriano, toccò la vera effigie del santo patriarca Domenico”, evocando così l’antica pratica devozionale delle “sacre misure” che prevedeva di prendere contatto diretto con l’immagine miracolosa attraverso nastri o fettucce di seta, commisurate alla lunghezza perimetrale del quadro. Sempre nel Seicento, i Sauli avrebbero poi affidato il loro culto privato anche a un altro quadro molto più grande, una Vergine che reca in terra l’immagine di San Domenico Soriano, dipinto da Domenico Fiasella, l’artista che aveva portato la ‘Madonna regina di Genova’ sugli altari delle chiese della ‘Nazione’ genovese di Napoli e Palermo; la tela con San Domenico Soriano è tuttora “sopra la porta che è in faccia della casa abbatiale” nella cinquecentesca chiesa di Santa Maria Assunta in Carignano a Genova, cioè nella basilica eretta da Galeazzo Alessi con i denari messi a disposizione da Bendinelli I Sauli e moltiplicati dalle fibre della seta calabrese.
2009
Rapporti Genova-Calabria; Collezionismo; Cinque-Seicento; Mecenatismo
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/344395
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