Quale può essere oggi il rapporto tra fede rivelata e pensiero dell’uomo? Come si può conciliare la fede rivelata con la libertà di coscienza? E’ possibile credere e continuare a mantenersi liberi di pensare? Per tentare di individuare delle possibili risposte a questi interrogativi, nel presente lavoro si è fatto riferimento al contributo fornito da Bernhard Welte, pensatore che ha lavorato e insegnato a Freiburg i. Br. (Germania) fino all’inizio degli anni Ottanta del XX secolo. Ci si confronta in particolare con un ciclo di lezioni tenuto da costui nel 1949 e oggi conservato nell’Archivio dell’Università di Freiburg, dal titolo Cattolicità e ragione (B. WELTE, Nachlass, Bestand E 8, Nr. 15: Katholizität und Vernunft, Einstündige publice Vorlesung Sommersemester 1949). Il tema del presente lavoro è rappresentato dalla fede religiosa, intorno alla quale si vuole dipanare una riflessione che possa giustificarne la validità razionale e la coerenza con un’idea di uomo inteso come essere capace di mantenersi entro una dimensione di libertà spirituale. Ciò che la filosofia è chiamata a fare in questo campo consiste primariamente nel giungere alla definizione concettuale della dimensione originaria dell’essere-uomo, in modo da valutare perché, come e in che misura il fondamento raggiunto può ragionevolmente accordarsi con una decisione di tipo religioso. Mantenendosi reciprocamente indipendenti, fede e filosofia possono trovare dei punti di contatto di importanza decisiva. Ciò può avvenire in particolare quando il ragionamento rigoroso diventa autocritico e, riflettendo sui suoi limiti, contribuisce a fare luce sulla ragionevolezza di una scelta, quella di fede appunto, che va oltre l’ambito della sola razionalità. In questo lavoro, i termini della questione vengono considerati da un punto di vista fenomenologico. E’ infatti a partire dalla domanda intorno all’essenza dell’uomo (chi è l’uomo?) e intorno al significato della realtà (perché, in generale, esiste qualcosa e non nulla?) che, nel tentativo di liberarsi di tutti i presupposti e di tutte le anticipazioni ingiustificate, si prova ad osservare le cose stesse (l’uomo e il mondo, appunto) ed a mettere in luce la natura intenzionale e relazionale del primo e la sua struttura fondamentalmente storica, che determina il modo di essere nel mondo, inteso come luogo in cui l’essere si apre. In tal modo si intende mostrare che la fede può divenire una risposta coerente con lo stato delle cose, o anche un atteggiamento che non va contro le esigenze proprie dello spirito dell’uomo, ma piuttosto tenta di darvi una risposta. Se a monte di questa sensibilità descrittiva (degli elementi che costituiscono la struttura essenziale della fede intesa come fenomeno) e se alle spalle del ritorno alle cose (e al loro significato originario) c’è il contributo del pensiero di Husserl, l’analisi di Welte è però in grado di ampliarsi e comprendere l’ottica heideggeriana, grazie alla quale la relazione dell’uomo con il mondo è fortemente caratterizzata in senso storico. Il tempo ridimensiona pertanto i suoi caratteri di misurabilità e regolarità, per riacquistare la sua valenza connessa con l’esistenza, e quindi per rivelarsi come evento in grado di provocare la domanda di senso riguardo all’essere in generale, e in particolare riguardo all’essere dell’uomo. All’interno di questo orizzonte, che mira a portare il pensiero fino al suo fondamento, vengono individuati anche alcuni significativi punti di contatto tra il pensiero di Welte e quello di Levinas, grazie al comune ambito filosofico di riferimento, costituito in particolare dal pensiero di Husserl e da quello di Heidegger. Un confronto più approfondito e dettagliato è quello istituito con il pensiero di Jaspers, a partire dal fatto che Welte, nel ciclo di lezioni preso in esame, risulta essersi impegnato proprio in un “dialogo”, a tratti quasi serrato, con talune provocazioni messe in campo dal collega residente a Basilea, in particolare nell’opera Von der Whrheit (Piper, München 19833), dove un paragrafo è dedicato proprio al rapporto tra cattolicità e ragione. Il tema della fede filosofica proposto da Jaspers, insieme al suo atteggiamento decisamente critico nei confronti delle religioni storiche, e in particolare di quella cattolica, fanno sì che Welte metta in discussione le sue personali convinzioni e ricerchi il modo in cui la fede rivelata possa garantire comunque all’uomo la libertà che gli è necessaria per potersi definire tale. Il fatto di non decidersi per una fede determinata anche in senso storico, ma di rimanere su un piano più ampio e indistinto quale quello della fede filosofica, non consente, secondo Welte, di mettere in gioco se stessi in modo incondizionato, e dunque di fare esperienza dell’Assoluto proprio in virtù della realtà concreta e limitata che caratterizza l’uomo in quanto tale. La fede filosofica di Jaspers, nella sua indeterminatezza, mantiene infatti l’uomo in uno stato di sospensione che non può costituire una forma di decisione, e piuttosto sancisce l’impossibilità di compiere una scelta precisa, se non quella di non scegliere. Alla base della riflessione di Welte intorno alla fede filosofica di Jaspers è possibile riconoscere lo stesso genere di obiezioni che Heidegger avanza nei confronti del modo con cui il collega di Basilea intende la realtà, modo che non si discosterebbe da una concezione statica e distaccata, tipica del pensiero scientifico di stampo cartesiano. Quello pensato da Jaspers nei termini di fede filosofica è pertanto (secondo Welte) un esito inevitabile, per quanto le sue dichiarazioni di intenti vadano in senso del tutto contrario; egli non riesce infatti a liberarsi da una concezione della realtà in linea con quella della metafisica tradizionale, da lui stesso accusata di mantenersi al di qua di una autentica comprensione del mondo, e di limitarsi eventualmente a una sua spiegazione. Jaspers tenta infatti di comprendere la realtà a partire dall’uomo inteso come entità auto-referenziale distinta e indipendente rispetto al suo contesto storico, in quanto quest’ultimo va superato nell’atto del trascendere; l’uomo non è pertanto pensato come realtà che trascende proprio grazie al suo essere storicamente determinato. L’esistenza concreta non consiste pertanto in una risorsa primaria nel cammino di comprensione della realtà. La concezione del mondo secondo cui esso è qualcosa di indipendente dall’uomo, a sua volta pensato come ente in grado di elevarsi al di sopra dell’orizzonte storico e di trascenderlo, non può permettere di fare della concretezza storica – e della limitatezza dell’esperienza di ognuno – se non un ostacolo da superare ai fini del cammino verso la comprensione del tutto. In tali termini sono dunque pensati da Jaspers (nell’ottica sicuramente “heideggeriana” di Welte) gli elementi che caratterizzano la scelta per la fede filosofica, ossia l’uomo e la realtà. Una volta che si rinuncia a riconoscere lo spessore storico dei due termini della questione (cioè uomo e mondo), spessore che ne costituisce la struttura essenziale, la fede filosofica jaspersiana risulta essere una risposta vaga, tale da non poter rendere conto, sempre secondo Welte, del carattere limitato e temporale delle scelte dell’uomo. E’ solo la decisione per una fede storicamente determinata che consente invece di non doversi creare un’immagine astratta e atemporale di uomo. Ciò che conta in questo contesto è mettere in luce da una parte la necessità che la fede venga intesa in ogni caso come una scelta di affidamento storicamente determinata, e dall’altra la natura relazionale, in quanto per essenza intenzionale, dei termini implicati nell’esperienza religiosa, cioè l’uomo nella sua realtà concreta da un lato, e l’Assoluto dall’altro. In questo modo si intende mostrare come la fede possa essere una scelta non solo coerente con le altre componenti della persona, ma anche la risposta a un’esigenza strutturale dell’uomo in quanto tale.

What kind of relationship could there be between revealed faith and the man's thought today? How can it be combined with the freedom of consciousness? Is it possible to believe, remaining free to think? In order to try to find possible answers to these questions, I referred to the contributions of Bernhard Welte, who has worked and taught in Freiburg (Germany) since the 80s of the 20th century. I especially referred to a cycle of lessons he held in 1949, Catholicism and Reason, (B. WELTE, Nachlass, Bestand E 8, Nr. 15: Katholizität und Vernunft, Einstündige publice Vorlesung Sommersemester 1949). Today, these lessons are kept at the archive of the University of Freiburg. The topic of this work is represented by religious faith. This is the starting point for a reflection that could justify its rational validity and its coherence with the idea of a spiritually free human being. In such a context, philosophy is called to reach the conceptual definition of the original dimension of being a man, in order to evaluate why, how and how much the result could reasonably match a religious decision. Maintaining themselves mutually independent, faith and philosophy could reach extremely important meeting points. This can especially happen when rigorous reasoning becomes self-critical and, while considering its limits, contributes to the understanding of a choice -faith- that goes beyond the sphere of sole rationality. In this work, the matter is considered from a phenomenologic point of view. The starting points are the question about the essence of the man (who is “the man”?) and the question about the meaning of reality (why do things exist?); in order to get rid of all unjustified assumptions and anticipations, we try to observe things (the man and the world) and to highlight the intentional and relational nature of man. His historical structure determines the way the world (intended as the place where the being opens) is. This is intended to show that faith can become either a coherent answer to the state of things, or an attitude that aims to answer the needs of the spirit of the man, without contrasting them. Husserl's thought contributed to this descriptive sensitivity (about the elements that build up the essential structure of faith, intended as a phenomenon) and to a return to the original meaning of things. Anyway, Welte's analysis is wider and it includes Heidegger's perspective. Heidegger defines the relationship between the man and the world with historical poignancy. Time resizes its main features -being measurable and regular- in order to regain its connection to existence and reveal itself as an event that can provoke the question related to the being in general and in particular to the being of man. Important matching points between the thoughts of Welte and Levinas have been found thanks to their common philosophical field, that was especially built by the thoughts of Husserl and Heidegger. The aim is to lead the thought to its foundation. Welte made a deeper and more detailed comparison with Jaspers. In his cycle of lessons, he committed himself to an -at times strict- “dialogue” with some provocations made by his colleague, who lived in Basil, in particular in his work Von der Whrheit (Piper, München 19833), where a paragraph deals with the relationship between catholicism and reason. Jasper's theme of philosophical faith and his critical attitude towards historical religions, Catholicism in particular, made Welte doubt his personal beliefs and made him research how revealed faith can guarantee the man the freedom he needs to define himself such. According to Welte, not choosing a determined faith in order to stick to philosophical faith doesn't give the possibility to unconditionally question oneself. It prevents form experiencing the Absolute, because of the concrete and limited reality that typifies the man. Jasper's philosophical faith holds the man down to a state of suspension that cannot constitute any kind of decision. It determines the impossibility to make a precise choice; the only possible choice would be not choosing. The objections underlying Welte's considerations about philosophical faith are similar to the ones Heiddegger had about the way his colleague from Basel intends the reality. This way of describing the reality is not so different from the static and detached conception, that is typical of Cartesio's scientific thought. According to Welte, what Jaspers thought about philosophical faith is an unavoidable result, even if the declarations of his purposes are very different; he can't get rid of a conception of reality that is similar to traditional metaphysics, even if he had accused traditional metaphysics not to be able to authentically understand the world, only giving an explanation. Jaspers tries to understand the reality starting from the concept of man as an self-referential entity that is independent from his historical context. The historical context has to be outpaced while trascending; because the man is historically determined, it cannot be seen as a trascending entity. Concrete existence is not a primary resource of the process where we try to understand reality. Historical concreteness is an obstacle that has to be overcome in order to be able to understand everything. In such a way and from Welte's heideggerian point of view, Jaspers considers the elements that characterize the choice for philosophical faith, man and reality. Once we surrender and stop trying to recognize the historical aspect of the man and the world, Jaspers' philosophical faith appears to be a vague answer that, according to Welte, cannot explain the limited and temporal choices of the man. Only the decision to follow an historically determined faith allows us not to create an image of an abstract and atemporal man. In such a context, it is important to highlight two main aspects: the first is that faith has to be intended as an historically determined choice; the second is the relational nature of the two entities involved in the religious experience: the man in his concrete reality and the Absolute. Faith can be a choice that is coherent with all the other aspects of a person and it can be the answer to a structural need of the man.

Compimento e rischio nell'accadimento della fede.Il contributo critico di Bernhard Welte all'approfondimento della comprensione della fede a partire da Karl Jaspers e alla luce dell'ermeneutica della fatticità di Martin Heidegger, in riferimento soprattutto al ciclo di lezioni su "cattolicità e ragione" tenute presso l'Università di Freiburg.

BONVICINI, Laura
2010-01-01

Abstract

What kind of relationship could there be between revealed faith and the man's thought today? How can it be combined with the freedom of consciousness? Is it possible to believe, remaining free to think? In order to try to find possible answers to these questions, I referred to the contributions of Bernhard Welte, who has worked and taught in Freiburg (Germany) since the 80s of the 20th century. I especially referred to a cycle of lessons he held in 1949, Catholicism and Reason, (B. WELTE, Nachlass, Bestand E 8, Nr. 15: Katholizität und Vernunft, Einstündige publice Vorlesung Sommersemester 1949). Today, these lessons are kept at the archive of the University of Freiburg. The topic of this work is represented by religious faith. This is the starting point for a reflection that could justify its rational validity and its coherence with the idea of a spiritually free human being. In such a context, philosophy is called to reach the conceptual definition of the original dimension of being a man, in order to evaluate why, how and how much the result could reasonably match a religious decision. Maintaining themselves mutually independent, faith and philosophy could reach extremely important meeting points. This can especially happen when rigorous reasoning becomes self-critical and, while considering its limits, contributes to the understanding of a choice -faith- that goes beyond the sphere of sole rationality. In this work, the matter is considered from a phenomenologic point of view. The starting points are the question about the essence of the man (who is “the man”?) and the question about the meaning of reality (why do things exist?); in order to get rid of all unjustified assumptions and anticipations, we try to observe things (the man and the world) and to highlight the intentional and relational nature of man. His historical structure determines the way the world (intended as the place where the being opens) is. This is intended to show that faith can become either a coherent answer to the state of things, or an attitude that aims to answer the needs of the spirit of the man, without contrasting them. Husserl's thought contributed to this descriptive sensitivity (about the elements that build up the essential structure of faith, intended as a phenomenon) and to a return to the original meaning of things. Anyway, Welte's analysis is wider and it includes Heidegger's perspective. Heidegger defines the relationship between the man and the world with historical poignancy. Time resizes its main features -being measurable and regular- in order to regain its connection to existence and reveal itself as an event that can provoke the question related to the being in general and in particular to the being of man. Important matching points between the thoughts of Welte and Levinas have been found thanks to their common philosophical field, that was especially built by the thoughts of Husserl and Heidegger. The aim is to lead the thought to its foundation. Welte made a deeper and more detailed comparison with Jaspers. In his cycle of lessons, he committed himself to an -at times strict- “dialogue” with some provocations made by his colleague, who lived in Basil, in particular in his work Von der Whrheit (Piper, München 19833), where a paragraph deals with the relationship between catholicism and reason. Jasper's theme of philosophical faith and his critical attitude towards historical religions, Catholicism in particular, made Welte doubt his personal beliefs and made him research how revealed faith can guarantee the man the freedom he needs to define himself such. According to Welte, not choosing a determined faith in order to stick to philosophical faith doesn't give the possibility to unconditionally question oneself. It prevents form experiencing the Absolute, because of the concrete and limited reality that typifies the man. Jasper's philosophical faith holds the man down to a state of suspension that cannot constitute any kind of decision. It determines the impossibility to make a precise choice; the only possible choice would be not choosing. The objections underlying Welte's considerations about philosophical faith are similar to the ones Heiddegger had about the way his colleague from Basel intends the reality. This way of describing the reality is not so different from the static and detached conception, that is typical of Cartesio's scientific thought. According to Welte, what Jaspers thought about philosophical faith is an unavoidable result, even if the declarations of his purposes are very different; he can't get rid of a conception of reality that is similar to traditional metaphysics, even if he had accused traditional metaphysics not to be able to authentically understand the world, only giving an explanation. Jaspers tries to understand the reality starting from the concept of man as an self-referential entity that is independent from his historical context. The historical context has to be outpaced while trascending; because the man is historically determined, it cannot be seen as a trascending entity. Concrete existence is not a primary resource of the process where we try to understand reality. Historical concreteness is an obstacle that has to be overcome in order to be able to understand everything. In such a way and from Welte's heideggerian point of view, Jaspers considers the elements that characterize the choice for philosophical faith, man and reality. Once we surrender and stop trying to recognize the historical aspect of the man and the world, Jaspers' philosophical faith appears to be a vague answer that, according to Welte, cannot explain the limited and temporal choices of the man. Only the decision to follow an historically determined faith allows us not to create an image of an abstract and atemporal man. In such a context, it is important to highlight two main aspects: the first is that faith has to be intended as an historically determined choice; the second is the relational nature of the two entities involved in the religious experience: the man in his concrete reality and the Absolute. Faith can be a choice that is coherent with all the other aspects of a person and it can be the answer to a structural need of the man.
2010
Welte Bernhard; cattolicità e ragione; fede; filosofia della religione
Quale può essere oggi il rapporto tra fede rivelata e pensiero dell’uomo? Come si può conciliare la fede rivelata con la libertà di coscienza? E’ possibile credere e continuare a mantenersi liberi di pensare? Per tentare di individuare delle possibili risposte a questi interrogativi, nel presente lavoro si è fatto riferimento al contributo fornito da Bernhard Welte, pensatore che ha lavorato e insegnato a Freiburg i. Br. (Germania) fino all’inizio degli anni Ottanta del XX secolo. Ci si confronta in particolare con un ciclo di lezioni tenuto da costui nel 1949 e oggi conservato nell’Archivio dell’Università di Freiburg, dal titolo Cattolicità e ragione (B. WELTE, Nachlass, Bestand E 8, Nr. 15: Katholizität und Vernunft, Einstündige publice Vorlesung Sommersemester 1949). Il tema del presente lavoro è rappresentato dalla fede religiosa, intorno alla quale si vuole dipanare una riflessione che possa giustificarne la validità razionale e la coerenza con un’idea di uomo inteso come essere capace di mantenersi entro una dimensione di libertà spirituale. Ciò che la filosofia è chiamata a fare in questo campo consiste primariamente nel giungere alla definizione concettuale della dimensione originaria dell’essere-uomo, in modo da valutare perché, come e in che misura il fondamento raggiunto può ragionevolmente accordarsi con una decisione di tipo religioso. Mantenendosi reciprocamente indipendenti, fede e filosofia possono trovare dei punti di contatto di importanza decisiva. Ciò può avvenire in particolare quando il ragionamento rigoroso diventa autocritico e, riflettendo sui suoi limiti, contribuisce a fare luce sulla ragionevolezza di una scelta, quella di fede appunto, che va oltre l’ambito della sola razionalità. In questo lavoro, i termini della questione vengono considerati da un punto di vista fenomenologico. E’ infatti a partire dalla domanda intorno all’essenza dell’uomo (chi è l’uomo?) e intorno al significato della realtà (perché, in generale, esiste qualcosa e non nulla?) che, nel tentativo di liberarsi di tutti i presupposti e di tutte le anticipazioni ingiustificate, si prova ad osservare le cose stesse (l’uomo e il mondo, appunto) ed a mettere in luce la natura intenzionale e relazionale del primo e la sua struttura fondamentalmente storica, che determina il modo di essere nel mondo, inteso come luogo in cui l’essere si apre. In tal modo si intende mostrare che la fede può divenire una risposta coerente con lo stato delle cose, o anche un atteggiamento che non va contro le esigenze proprie dello spirito dell’uomo, ma piuttosto tenta di darvi una risposta. Se a monte di questa sensibilità descrittiva (degli elementi che costituiscono la struttura essenziale della fede intesa come fenomeno) e se alle spalle del ritorno alle cose (e al loro significato originario) c’è il contributo del pensiero di Husserl, l’analisi di Welte è però in grado di ampliarsi e comprendere l’ottica heideggeriana, grazie alla quale la relazione dell’uomo con il mondo è fortemente caratterizzata in senso storico. Il tempo ridimensiona pertanto i suoi caratteri di misurabilità e regolarità, per riacquistare la sua valenza connessa con l’esistenza, e quindi per rivelarsi come evento in grado di provocare la domanda di senso riguardo all’essere in generale, e in particolare riguardo all’essere dell’uomo. All’interno di questo orizzonte, che mira a portare il pensiero fino al suo fondamento, vengono individuati anche alcuni significativi punti di contatto tra il pensiero di Welte e quello di Levinas, grazie al comune ambito filosofico di riferimento, costituito in particolare dal pensiero di Husserl e da quello di Heidegger. Un confronto più approfondito e dettagliato è quello istituito con il pensiero di Jaspers, a partire dal fatto che Welte, nel ciclo di lezioni preso in esame, risulta essersi impegnato proprio in un “dialogo”, a tratti quasi serrato, con talune provocazioni messe in campo dal collega residente a Basilea, in particolare nell’opera Von der Whrheit (Piper, München 19833), dove un paragrafo è dedicato proprio al rapporto tra cattolicità e ragione. Il tema della fede filosofica proposto da Jaspers, insieme al suo atteggiamento decisamente critico nei confronti delle religioni storiche, e in particolare di quella cattolica, fanno sì che Welte metta in discussione le sue personali convinzioni e ricerchi il modo in cui la fede rivelata possa garantire comunque all’uomo la libertà che gli è necessaria per potersi definire tale. Il fatto di non decidersi per una fede determinata anche in senso storico, ma di rimanere su un piano più ampio e indistinto quale quello della fede filosofica, non consente, secondo Welte, di mettere in gioco se stessi in modo incondizionato, e dunque di fare esperienza dell’Assoluto proprio in virtù della realtà concreta e limitata che caratterizza l’uomo in quanto tale. La fede filosofica di Jaspers, nella sua indeterminatezza, mantiene infatti l’uomo in uno stato di sospensione che non può costituire una forma di decisione, e piuttosto sancisce l’impossibilità di compiere una scelta precisa, se non quella di non scegliere. Alla base della riflessione di Welte intorno alla fede filosofica di Jaspers è possibile riconoscere lo stesso genere di obiezioni che Heidegger avanza nei confronti del modo con cui il collega di Basilea intende la realtà, modo che non si discosterebbe da una concezione statica e distaccata, tipica del pensiero scientifico di stampo cartesiano. Quello pensato da Jaspers nei termini di fede filosofica è pertanto (secondo Welte) un esito inevitabile, per quanto le sue dichiarazioni di intenti vadano in senso del tutto contrario; egli non riesce infatti a liberarsi da una concezione della realtà in linea con quella della metafisica tradizionale, da lui stesso accusata di mantenersi al di qua di una autentica comprensione del mondo, e di limitarsi eventualmente a una sua spiegazione. Jaspers tenta infatti di comprendere la realtà a partire dall’uomo inteso come entità auto-referenziale distinta e indipendente rispetto al suo contesto storico, in quanto quest’ultimo va superato nell’atto del trascendere; l’uomo non è pertanto pensato come realtà che trascende proprio grazie al suo essere storicamente determinato. L’esistenza concreta non consiste pertanto in una risorsa primaria nel cammino di comprensione della realtà. La concezione del mondo secondo cui esso è qualcosa di indipendente dall’uomo, a sua volta pensato come ente in grado di elevarsi al di sopra dell’orizzonte storico e di trascenderlo, non può permettere di fare della concretezza storica – e della limitatezza dell’esperienza di ognuno – se non un ostacolo da superare ai fini del cammino verso la comprensione del tutto. In tali termini sono dunque pensati da Jaspers (nell’ottica sicuramente “heideggeriana” di Welte) gli elementi che caratterizzano la scelta per la fede filosofica, ossia l’uomo e la realtà. Una volta che si rinuncia a riconoscere lo spessore storico dei due termini della questione (cioè uomo e mondo), spessore che ne costituisce la struttura essenziale, la fede filosofica jaspersiana risulta essere una risposta vaga, tale da non poter rendere conto, sempre secondo Welte, del carattere limitato e temporale delle scelte dell’uomo. E’ solo la decisione per una fede storicamente determinata che consente invece di non doversi creare un’immagine astratta e atemporale di uomo. Ciò che conta in questo contesto è mettere in luce da una parte la necessità che la fede venga intesa in ogni caso come una scelta di affidamento storicamente determinata, e dall’altra la natura relazionale, in quanto per essenza intenzionale, dei termini implicati nell’esperienza religiosa, cioè l’uomo nella sua realtà concreta da un lato, e l’Assoluto dall’altro. In questo modo si intende mostrare come la fede possa essere una scelta non solo coerente con le altre componenti della persona, ma anche la risposta a un’esigenza strutturale dell’uomo in quanto tale.
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