L’oggetto di studio di questa tesi sono i composti verbali [V V]V con testa a sinistra in cinese mandarino. Tali formazioni costituiscono un fenomeno di grande interesse, in quanto rappresentano un’eccezione alla tendenza generale del cinese a formare parole composte con testa a destra. Questa ricerca si focalizza, in particolare, su alcune tipologie di composti causativi con testa a sinistra; in questo lavoro, tali composti sono considerati come una strategia innovativa del cinese moderno, diffusasi in seguito alla perdita di altri mezzi per esprimere causatività in questa lingua, nel quadro del cambiamento tipologico del cinese da lingua maggiormente sintetica a lingua maggiormente analitica. I composti causativi oggetto di questa ricerca sono stati analizzati utilizzando il framework proposto da Ramchand (2008), che consiste in una scomposizione sintattica della struttura dell’evento. Il lavoro è supportato empiricamente da una varietà di dati provenienti da diverse fonti. Innanzitutto, i dati sono stati ricavati dalla bibliografia sull’argomento e da alcuni dizionari di cinese mandarino. Inoltre, sono stati utilizzati due corpora di cinese mandarino (il corpus del Centro di Linguistica Cinese dell’Università di Pechino e, marginalmente, il corpus di cinese mandarino dell’Academia Sinica), testi letterari e giornalistici (soprattutto testi disponibili on-line) e dati tratti da ricerche sul web. Infine, per i giudizi di grammaticalità ci si è avvalsi anche della consulenza di parlanti nativi, soprattutto studenti universitari. Il primo tipo di verbi complessi analizzato è costituito da composti in cui V1 è una radice verbale light, fonologicamente realizzata, come ad esempio 弄 nòng ‘fare’, 打 dǎ ‘colpire’, 搞 gǎo ‘fare’, 加 jiā ‘aggiungere, aumentare’. Questi verbi light sono stati considerati, all’interno del framework proposto da Ramchand (2008), come items lessicali causativi che formano la versione transitiva di verbi incoativi, attraverso un processo di costruzione della struttura. L’alternanza causativa in cinese, dunque, può essere ottenuta per mezzo di verbi light che marcano la variante transitiva. Tra le radici causative light, una particolare attenzione è stata rivolta a 打 dǎ, il cui sviluppo diacronico ci ha portato ad ipotizzare che la sua funzione come elemento lessicale causativo si sia sviluppata a partire dal suo significato di ‘fare, creare’. A sostegno di questa ipotesi, la radice 打 dǎ è stata messa a confronto con forme parallele di altre due lingue sinitiche, ossia 拍 phah4 nel dialetto Min meridionale parlato a Taiwan e 打 da2 in Hakka. Inoltre, in questo lavoro è stata analizzata come elemento causativo anche la radice 加 jiā ‘aggiungere, aumentare’. Questa radice rappresenterebbe un tipo particolare di verbo causativo light: forma la versione transitiva di verbi deaggettivali di scala aperta, in particolare di quei verbi che esprimono un “aumento” nella proprietà denotata dalla base aggettivale. I composti causativi formati con una radice verbale light sono stati messi a confronto con un altro tipo di verbi complessi, ossia verbi derivati con il suffisso 化 -huà ‘-izzare, -ificare, ecc.’ (ad es. 现代化 xiàndàihuà ‘modernizzare’, 美化 měihuà ‘bello + SUFF = abbellire), un modello di formazione di parola piuttosto produttivo in questa lingua, sottolineando le differenze in termini di caratteristiche e di funzioni tra il suffisso 化 -huà e i verbi causativi light. La discussione sui verbi causativi light, che tiene conto anche di elementi simili in altre lingue sinitiche (il dialetto Min meridionale parlato a Taiwan e l’Hakka), fornisce argomenti a sostegno dell’ipotesi che la direzione dell’alternanza causativa sia da incoativo a causativo (cfr. Hale & Keyser 1998, Hoekstra 1992, 2004, Ramchand 2008) e non viceversa (cfr. Levin & Rappaport Hovav 1995, Reinhart 2002, Chierchia (2004 [1989]), dal momento che il verbo light esplicita la presenza di una componente causativa e la forma transitiva è strutturalmente marcata. Il secondo tipo di verbi complessi presi in esame sono i composti risultativi, oggetto di un vivace dibattito nella bibliografia sull’argomento. In questo lavoro si sostiene che i composti risultativi, così come i verbi formati con un verbo causativo light, esprimono causatività diretta. La differenza tra i due tipi di verbi complessi sta nel fatto che, mentre i composti formati con un verbo light esplicitano la presenza di una componente causativa, ma non specificano il tipo di azione che porta allo stato risultante, nei composti risultativi viene specificata l’azione particolare che porta al cambiamento di stato. L’analisi dei composti risultativi basata sul framework proposto da Ramchand (2008) permette di superare molte delle difficoltà derivanti da approcci che cercano di spiegare le proprietà di questi composti in base alla transitività dei costituenti (ad esempio, Li 1990) ed evidenzia i vantaggi di un approccio basato sulla struttura dell’evento (cfr. Cheng & Huang 1994). Inoltre, questo tipo di analisi permette di scomporre l’evento in una struttura funzionale che si presuppone essere universale: i blocchi fondamentali che costituiscono l’evento sono gli stessi a livello cross-linguistico (cfr. Ramchand 2008, Son & Svenonius 2008). La scomposizione sintattica della struttura eventiva dei composti risultativi del cinese fornisce anche sostegno all’ipotesi secondo la quale tali composti hanno testa a sinistra sulla base di motivazioni strutturali (cfr. Cheng & Huang 1994). L’ultimo tipo di composti causativi analizzati sono verbi complessi che, a nostro avviso, esprimono causatività indiretta. Diversamente dagli altri due tipi di verbi complessi analizzati in questo lavoro, questi composti permettono un certo grado di autonomia dell’evento causato, che varia a seconda del tipo di V1 utilizzato. Il gruppo di possibili V1 utilizzati nella formazione di questi composti è piuttosto ristretto: ad esempio, 请 qǐng ‘chiedere’, 邀 yāo ‘invitare’, 求 qiú ‘chiedere, richiedere’, 劝 quàn ‘dare un consiglio/persuadere’, 促 cù ‘promuovere’, 助 zhù ‘aiutare’, 逼 bì ‘forzare’, 迫 pò ‘forzare’, 禁 jìn ‘proibire’, 拒 jù ‘rifiutare’. L’analisi di queste forme verbali complesse in cinese mandarino, anche in prospettiva diacronica e, marginalmente, cross-linguistica, ci ha permesso di sostenere la proposta di Ramchand (2008), secondo cui i blocchi fondamentali che costruiscono il significato dell’evento sono gli stessi per tutte le lingue, e le lingue variano solo nel modo in cui esprimono la struttura dell’evento, a seconda dell’inventario di items lessicali disponibili e di altre caratteristiche idiolinguistiche. Dunque, la preferenza per l’espressione di eventi complessi in cinese attraverso la composizione sarebbe strettamente legata all’analiticità di questa lingua. L’indagine sui composti causativi in cinese mandarino ha anche dimostrato che i composti con testa a sinistra in questa lingua sono caratterizzati da una struttura funzionale gerarchica soggiacente, in cui i due costituenti rappresentano lo spell-out di teste differenti di questa struttura. Sarebbe proprio la presenza di struttura funzionale a guidare l’interpretazione di questi composti; infatti, mentre i composti con testa a destra in cinese sembrano essere caratterizzati da una grande libertà di interpretazione (le relazioni possibili tra i costituenti possono essere molteplici), caratteristica particolarmente evidente nei composti nominali, i composti con testa a sinistra sembrano avere un’interpretazione piuttosto ristretta.
This thesis deals with the issue of left-headed verbal V-V compounds in Mandarin Chinese, which represent an interesting phenomenon, since they are an exception to the general tendency of Chinese to form right-headed compounds. In particular, this research takes into account some types of left-headed causative compounds, which are considered as an alternative (analytic) strategy to express causativity in Mandarin Chinese, after the loss of other morphological and phonological strategies, as a consequence of the typological shift of Chinese from a synthetic to an analytic language. This thesis provides an analysis of such causative compounds adopting the framework put forth by Ramchand (2008), which consists in a syntactic decomposition of the event structure. First, we consider the issue of the causative alternation by means of phonetically realized light V1s, e.g. 弄 nòng ‘make’, 打 dǎ ‘hit’, 搞 gǎo ‘do’, 加 jiā ‘add; increase’. The phonetically realized light verbs are considered to be init heads with semantics of general causation, which build an extra-layer on top of verbs lacking an [init] feature in their lexical entry, through a process of structure building. We focus mainly on 打 dǎ ‘hit’ (and, also, comparing it with analogous roots in Taiwanese Southern Min and Hakka) and 加 jiā ‘add; increase’, which is found only in the formation of transitive deadjectival verbs based on open-range adjectives, in particular those involving an increase in the property denoted by the adjective. We claim that 加 jiā ‘add; increase’, besides contributing an extra (causative) layer, seems also to be the overt realization of one of the parts involved in the logical representation of degree achievement verbs, i.e. the increasing event (cf. Hay, Kennedy & Levin 1999). The second type of causative V-V compounds discussed in this thesis are resultative compounds, e.g. 摇醒 yáoxǐng ‘shake-awake’, 哭湿 kūshī ‘cry-wet’, a very debated issue in the literature on the topic, which apparently arose as an alternative causative strategy after the loss of other means to express causativity in Chinese, following the typological shift undergone by this language. In resultative compounds the nature of the causing event is fully expressed by the left-hand verbal root, specifying the kind of action which brings about the change of state, while in transitive verbs formed with a light V1 the causing event is spelled out by the left-hand verbal root, which just provides an [init] feature to the event. In the latter case, many different actions can bring about the resultant state expressed by V2, much as in the case of English labile causatives, e.g. break. The decomposition of the event structure based on a hierarchical functional structure also enables us to defend the position that resultative compounds are left-headed due to structural reasons (cf. Cheng & Huang 1994). In fact, assuming a structural notion of headedness, it is clear that V1 acts as the head of the compound: the two constituents of a resultative compound spell out different heads in a functional hierarchical structure characterized by causal embedding; nevertheless, it is V1 which identifies the hierarchically superior head in the structure. Lastly, this thesis takes into account another kind of left-headed causative compounds, which, to the best of our knowledge, have not received much attention in the literature. We propose a tentative analysis of this kind of compounds, which, according to us, express indirect causation. Differently from resultative compounds and causative verbs with a light V1, these compounds allow a certain degree of autonomy of the caused event, which varies according to the kind of V1 involved. The set of possible roots occurring in this kind of compounds is quite restricted, e.g. 请 qǐng ‘ask’, 邀 yāo ‘invite, request’, 求 qiú ‘ask, request’, 劝 quàn ‘advice/persuade’, 促 cù ‘promote’, 助 zhù ‘help’, 逼 bì ‘force’, 迫 pò ‘force’, 禁 jìn ‘prohibit’, 拒 jù ‘refuse’. Some of these items are apparently very similar to curative affixes in some languages . The analysis of such verbal formations, also in a diachronic and, marginally, cross-linguistic perspective, enables us to support Ramchand’s (2008) claim, namely that the fundamental building blocks of the eventive meaning are the same for all languages, and languages vary only in the “size” of their lexical items, plus other idiolinguistic characteristics: thus, the very same syntactic structures can be expressed lexically, synthetically or analytically, depending on the language and on the particular lexical items in its inventory. Therefore, it does not come as a surprise that an analytic language like Modern Chinese prefers to express complex event structures through compounding, which is also its most productive means of word formation.
Verbal compounding and causativity in Mandarin Chinese
BASCIANO, Bianca
2010-01-01
Abstract
This thesis deals with the issue of left-headed verbal V-V compounds in Mandarin Chinese, which represent an interesting phenomenon, since they are an exception to the general tendency of Chinese to form right-headed compounds. In particular, this research takes into account some types of left-headed causative compounds, which are considered as an alternative (analytic) strategy to express causativity in Mandarin Chinese, after the loss of other morphological and phonological strategies, as a consequence of the typological shift of Chinese from a synthetic to an analytic language. This thesis provides an analysis of such causative compounds adopting the framework put forth by Ramchand (2008), which consists in a syntactic decomposition of the event structure. First, we consider the issue of the causative alternation by means of phonetically realized light V1s, e.g. 弄 nòng ‘make’, 打 dǎ ‘hit’, 搞 gǎo ‘do’, 加 jiā ‘add; increase’. The phonetically realized light verbs are considered to be init heads with semantics of general causation, which build an extra-layer on top of verbs lacking an [init] feature in their lexical entry, through a process of structure building. We focus mainly on 打 dǎ ‘hit’ (and, also, comparing it with analogous roots in Taiwanese Southern Min and Hakka) and 加 jiā ‘add; increase’, which is found only in the formation of transitive deadjectival verbs based on open-range adjectives, in particular those involving an increase in the property denoted by the adjective. We claim that 加 jiā ‘add; increase’, besides contributing an extra (causative) layer, seems also to be the overt realization of one of the parts involved in the logical representation of degree achievement verbs, i.e. the increasing event (cf. Hay, Kennedy & Levin 1999). The second type of causative V-V compounds discussed in this thesis are resultative compounds, e.g. 摇醒 yáoxǐng ‘shake-awake’, 哭湿 kūshī ‘cry-wet’, a very debated issue in the literature on the topic, which apparently arose as an alternative causative strategy after the loss of other means to express causativity in Chinese, following the typological shift undergone by this language. In resultative compounds the nature of the causing event is fully expressed by the left-hand verbal root, specifying the kind of action which brings about the change of state, while in transitive verbs formed with a light V1 the causing event is spelled out by the left-hand verbal root, which just provides an [init] feature to the event. In the latter case, many different actions can bring about the resultant state expressed by V2, much as in the case of English labile causatives, e.g. break. The decomposition of the event structure based on a hierarchical functional structure also enables us to defend the position that resultative compounds are left-headed due to structural reasons (cf. Cheng & Huang 1994). In fact, assuming a structural notion of headedness, it is clear that V1 acts as the head of the compound: the two constituents of a resultative compound spell out different heads in a functional hierarchical structure characterized by causal embedding; nevertheless, it is V1 which identifies the hierarchically superior head in the structure. Lastly, this thesis takes into account another kind of left-headed causative compounds, which, to the best of our knowledge, have not received much attention in the literature. We propose a tentative analysis of this kind of compounds, which, according to us, express indirect causation. Differently from resultative compounds and causative verbs with a light V1, these compounds allow a certain degree of autonomy of the caused event, which varies according to the kind of V1 involved. The set of possible roots occurring in this kind of compounds is quite restricted, e.g. 请 qǐng ‘ask’, 邀 yāo ‘invite, request’, 求 qiú ‘ask, request’, 劝 quàn ‘advice/persuade’, 促 cù ‘promote’, 助 zhù ‘help’, 逼 bì ‘force’, 迫 pò ‘force’, 禁 jìn ‘prohibit’, 拒 jù ‘refuse’. Some of these items are apparently very similar to curative affixes in some languages . The analysis of such verbal formations, also in a diachronic and, marginally, cross-linguistic perspective, enables us to support Ramchand’s (2008) claim, namely that the fundamental building blocks of the eventive meaning are the same for all languages, and languages vary only in the “size” of their lexical items, plus other idiolinguistic characteristics: thus, the very same syntactic structures can be expressed lexically, synthetically or analytically, depending on the language and on the particular lexical items in its inventory. Therefore, it does not come as a surprise that an analytic language like Modern Chinese prefers to express complex event structures through compounding, which is also its most productive means of word formation.File | Dimensione | Formato | |
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