Dal primo anno (1973) in cui si è registrata l’inversione di segno dei flussi migratori e siamo diventati paese di immigrati e non (solo) paese di emigranti, e dal primo anno (1986) in cui il legislatore è intervenuto con legge per regolare il fenomeno dell’immigrazione di lavoratori extra-comunitari, lasciandosi – almeno formalmente alle spalle – la regolazione di ordine pubblico e quella per via amministrativa destinata all’unico lavoro considerato e cioè quello domestico, sono passati rispettivamente più di tre e più di due decenni. In questo lasso temporale, vanno messi nel conto alcuni ricorrenti tentativi di regolamentazione, arrivata ad essere coordinata in testo unico, e il suo stravolgimento, nonché l’affidamento della regolarizzazione, nei fatti quasi esclusivamente, allo strumento delle sanatorie. Rileggendo l’evoluzione normativa più da vicino, si può notare quanto i frammenti di cambiamento apportati dalla legge Bossi-Fini nel 2002 confluiscano sempre di più e si riconnettano ora in un disegno scarno e schematico che direttamente riporta la regolamentazione al punto di partenza. Insomma: punto e a capo. Il cardine delle politiche dell’immigrazione resta il controllo – ancora una volta almeno formalmente – degli ingressi: ferreo (talora in mare) al punto da violare i diritti internazionali ed europei delle persone all’asilo, in omaggio alle fobie e alle manipolazioni nei confronti delle esigenze di sicurezza di cittadine e cittadini impauriti di fronte al mondo globalizzato e alla sua crisi; strumentale al punto da prevedere flussi legati quasi esclusivamente alla temporaneità e, quindi, anche alla precarietà del lavoro, con la sola eccezione di nuovo del lavoro domestico. Lo scenario è cambiato, ma sul palcoscenico si recita la medesima rappresentazione, la stessa in cartellone prima della scelta di regolamentare il fenomeno, nel tentativo evidente, ma che tutto fa ritenere comunque destinato all’insuccesso, di fermare gli ingressi, di limitare i ricongiungimenti, di incentivare i rientri, di abbandonare al loro destino i deboli e gli oppressi. È anche per questo che non ci si può (più) occupare del tema dell’immigrazione – nonostante tutti sappiamo quanto si tratti di immigrazione economica, alla rice ca del lavoro, come fattore di emancipazione sociale – con gli strumenti a disposizione dei giuslavoristi, ma i giuslavoristi hanno il compito di mantenere il presidio e di svelare le manipolazioni, a partire da quella che collega il tema dell’immigrazione a quello della sicurezza; o quanto meno, di dedicarsi al tema. Sono queste le ragioni (di contesto e disciplinari) che hanno motivato la scelta di organizzare un numero appositamente dedicato al tema. Essendo una novità per la Rivista, si è scelto primariamente di interrogare lavoristi su questioni collegate al lavoro, nelle sue molteplici dimensioni regolative, nazionali e comunitarie, fatte salve due eccezioni: per l’intervento generale di natura introduttiva si è chiesto un supporto qualificato ad un demografo come Massimo Livi Bacci che ha tracciato le linee evolutive delle politiche migratorie in Italia; per l’intervento conclusivo, si è chiesto a Costanza Hermanin dell’Istituto universitario di Fiesole, di elaborare un quadro ragionato delle istituzioni a presidio contro la discriminazione razziale, essendo il tema della parità di trattamento e del funzionamento di questo principio il vero collettore tematico dei contributi pubblicati. Le istituzioni europee, allo stato attuale, sono fortemente influenzate dalle pressioni dei Governi. L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona contribuirà a risolvere l’attuale asimmetria regolativa, ma non è ancora dato conoscere la direzione politica che verrà impressa. Il pessimismo forse eccessivo, ma fondato, almeno alla luce di quanto è venuto nel corso della passata legislatura (saggio di Donata Gottardi), troverà un primo momento di verifica al momento della rassegnazione delle competenze ai ventisette commissari europei, dato il rischio che il tema dell’immigrazione venga direttamente ascritto proprio alla sicurezza. Sempre con riguardo alla dimensione europea del tema, un particolare focus è stato costruito da Maria Lughezzani sulle questioni aggrovigliate attorno al ricongiungimento dei familiari e al funzionamento della libera circolazione delle persone. Al lavoro pubblico e al lavoro privato sono dedicati i due contributi complementari di Alberto Guariso e Laura Calafà, imperniati entrambi sul funzionamento di barriere giuridiche all’accesso al lavoro regolare degli stranieri, mentre William Chiaromonte si dedica alla ricognizione degli strumenti di difficile gestione della solidarietà tra autoctoni e alloctoni, mediante analisi compiuta dei sistemi della previdenza e assistenza sociale, fortemente condizionati dall’influenza del diritto comunitario. L’affinità elettiva con il sistema spagnolo e la supposta lontananza politico-giuridica attuale sui temi trattati (più apparente che reale), ha motivato la scelta di aggiungere un contributo dedicato alle politiche migratorie elaborate dai nostri vicini più prossimi, grazie al supporto di Francisco Trillo. Consapevoli che sono più gli argomenti esclusi di quelli trattati nel presente volume e che l’apporto lavoristico è necessariamente parziale, non possiamo che evitare ogni altra valutazione generale conclusiva e limitarci ad aggiungere un punto interrogativo retorico alla questione poco sopra posta, lasciando immaginare che (forse) il contesto è decisamente peggiorato. Punto e a capo?

Stranieri e lavoro

Calafà, Laura;GOTTARDI, Donata Maria Assunta
2009-01-01

Abstract

Dal primo anno (1973) in cui si è registrata l’inversione di segno dei flussi migratori e siamo diventati paese di immigrati e non (solo) paese di emigranti, e dal primo anno (1986) in cui il legislatore è intervenuto con legge per regolare il fenomeno dell’immigrazione di lavoratori extra-comunitari, lasciandosi – almeno formalmente alle spalle – la regolazione di ordine pubblico e quella per via amministrativa destinata all’unico lavoro considerato e cioè quello domestico, sono passati rispettivamente più di tre e più di due decenni. In questo lasso temporale, vanno messi nel conto alcuni ricorrenti tentativi di regolamentazione, arrivata ad essere coordinata in testo unico, e il suo stravolgimento, nonché l’affidamento della regolarizzazione, nei fatti quasi esclusivamente, allo strumento delle sanatorie. Rileggendo l’evoluzione normativa più da vicino, si può notare quanto i frammenti di cambiamento apportati dalla legge Bossi-Fini nel 2002 confluiscano sempre di più e si riconnettano ora in un disegno scarno e schematico che direttamente riporta la regolamentazione al punto di partenza. Insomma: punto e a capo. Il cardine delle politiche dell’immigrazione resta il controllo – ancora una volta almeno formalmente – degli ingressi: ferreo (talora in mare) al punto da violare i diritti internazionali ed europei delle persone all’asilo, in omaggio alle fobie e alle manipolazioni nei confronti delle esigenze di sicurezza di cittadine e cittadini impauriti di fronte al mondo globalizzato e alla sua crisi; strumentale al punto da prevedere flussi legati quasi esclusivamente alla temporaneità e, quindi, anche alla precarietà del lavoro, con la sola eccezione di nuovo del lavoro domestico. Lo scenario è cambiato, ma sul palcoscenico si recita la medesima rappresentazione, la stessa in cartellone prima della scelta di regolamentare il fenomeno, nel tentativo evidente, ma che tutto fa ritenere comunque destinato all’insuccesso, di fermare gli ingressi, di limitare i ricongiungimenti, di incentivare i rientri, di abbandonare al loro destino i deboli e gli oppressi. È anche per questo che non ci si può (più) occupare del tema dell’immigrazione – nonostante tutti sappiamo quanto si tratti di immigrazione economica, alla rice ca del lavoro, come fattore di emancipazione sociale – con gli strumenti a disposizione dei giuslavoristi, ma i giuslavoristi hanno il compito di mantenere il presidio e di svelare le manipolazioni, a partire da quella che collega il tema dell’immigrazione a quello della sicurezza; o quanto meno, di dedicarsi al tema. Sono queste le ragioni (di contesto e disciplinari) che hanno motivato la scelta di organizzare un numero appositamente dedicato al tema. Essendo una novità per la Rivista, si è scelto primariamente di interrogare lavoristi su questioni collegate al lavoro, nelle sue molteplici dimensioni regolative, nazionali e comunitarie, fatte salve due eccezioni: per l’intervento generale di natura introduttiva si è chiesto un supporto qualificato ad un demografo come Massimo Livi Bacci che ha tracciato le linee evolutive delle politiche migratorie in Italia; per l’intervento conclusivo, si è chiesto a Costanza Hermanin dell’Istituto universitario di Fiesole, di elaborare un quadro ragionato delle istituzioni a presidio contro la discriminazione razziale, essendo il tema della parità di trattamento e del funzionamento di questo principio il vero collettore tematico dei contributi pubblicati. Le istituzioni europee, allo stato attuale, sono fortemente influenzate dalle pressioni dei Governi. L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona contribuirà a risolvere l’attuale asimmetria regolativa, ma non è ancora dato conoscere la direzione politica che verrà impressa. Il pessimismo forse eccessivo, ma fondato, almeno alla luce di quanto è venuto nel corso della passata legislatura (saggio di Donata Gottardi), troverà un primo momento di verifica al momento della rassegnazione delle competenze ai ventisette commissari europei, dato il rischio che il tema dell’immigrazione venga direttamente ascritto proprio alla sicurezza. Sempre con riguardo alla dimensione europea del tema, un particolare focus è stato costruito da Maria Lughezzani sulle questioni aggrovigliate attorno al ricongiungimento dei familiari e al funzionamento della libera circolazione delle persone. Al lavoro pubblico e al lavoro privato sono dedicati i due contributi complementari di Alberto Guariso e Laura Calafà, imperniati entrambi sul funzionamento di barriere giuridiche all’accesso al lavoro regolare degli stranieri, mentre William Chiaromonte si dedica alla ricognizione degli strumenti di difficile gestione della solidarietà tra autoctoni e alloctoni, mediante analisi compiuta dei sistemi della previdenza e assistenza sociale, fortemente condizionati dall’influenza del diritto comunitario. L’affinità elettiva con il sistema spagnolo e la supposta lontananza politico-giuridica attuale sui temi trattati (più apparente che reale), ha motivato la scelta di aggiungere un contributo dedicato alle politiche migratorie elaborate dai nostri vicini più prossimi, grazie al supporto di Francisco Trillo. Consapevoli che sono più gli argomenti esclusi di quelli trattati nel presente volume e che l’apporto lavoristico è necessariamente parziale, non possiamo che evitare ogni altra valutazione generale conclusiva e limitarci ad aggiungere un punto interrogativo retorico alla questione poco sopra posta, lasciando immaginare che (forse) il contesto è decisamente peggiorato. Punto e a capo?
2009
9788815128492
Stranieri; Lavoro; Mobilità e immigrazione
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11562/338882
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