La scelta di affrontare lo studio della pittura e della miniatura veronese nella tarda età scaligera, in un periodo cioè compreso tra la morte di Mastino II (1351) e la fine della signoria stessa (1387), non si esaurisce nella volontà di ripercorrere un’epoca particolarmente felice per l’arte scaligera al fine di inserirvi in modo organico le testimonianze figurative recentemente emerse o di rendere conto dei contributi critici degli ultimi decenni. Si tratta piuttosto di considerare nel suo complesso la vitalità artistica della Verona della seconda metà del Trecento attraverso un’attenta rivalutazione del ricco tessuto pittorico ancora esistente nella città e nel suo territorio, da porre in dialogo serrato con le poche ma significative testimonianze storiche e archivistiche dell’epoca, come pure di contestualizzare la produzione figurativa scaligera nel più ampio contesto di quell’“arte di corte” di ambito padano enucleata con felice intuizione da Julius von Schlosser nel 1895. Non si può ovviamente prescindere dai fondamentali contributi che, soprattutto tra la fine del XIX secolo e gli anni Settanta del Novecento, hanno tentato di rispondere, spesso in modo contraddittorio, alle questioni nodali dei fatti figurativi veronesi. Mi riferisco, in particolare, agli interventi di Schlosser e Toesca, densi di suggestioni decisive per il proseguimento degli studi critici nella prima parte del Novecento; all’imponente monografia di Evelyn Sandberg-Vavalà del 1926, che resta il testo di riferimento più esauriente ed articolato sulla pittura veronese, nel suo imponente sforzo di dare ragione di tutti i brani pittorici ancora esistenti in città e di evidenzare in modo sistematico i problemi principali della cultura figurativa locale; agli studi di Licisco Magagnato, direttore del Museo di Castelvecchio negli anni fecondi della collaborazione con Carlo Scarpa e dell’allestimento dell’importante mostra Da Altichiero a Pisanello nel 1358; ai contributi di Maria Teresa Cuppini, funzionario di Sovrintendenza responsabile di decisivi interventi di restauro, con l’incisiva ricostruzione della personalità artistica di Turone; alle brillanti, provocatorie e spesso discutibili proposte di Gian Lorenzo Mellini, cui tra l’altro si deve, nel 1959, la scoperta dei medaglioni altichiereschi con i ritratti imperiali nei sottarchi della loggia del Palazzo della Provincia...

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Pittura e miniatura a Verona e nel suo territorio (1351-1387)

PICCOLI, Fausta
2007-01-01

Abstract

Non disponibile
2007
pittura; miniatura; verona
La scelta di affrontare lo studio della pittura e della miniatura veronese nella tarda età scaligera, in un periodo cioè compreso tra la morte di Mastino II (1351) e la fine della signoria stessa (1387), non si esaurisce nella volontà di ripercorrere un’epoca particolarmente felice per l’arte scaligera al fine di inserirvi in modo organico le testimonianze figurative recentemente emerse o di rendere conto dei contributi critici degli ultimi decenni. Si tratta piuttosto di considerare nel suo complesso la vitalità artistica della Verona della seconda metà del Trecento attraverso un’attenta rivalutazione del ricco tessuto pittorico ancora esistente nella città e nel suo territorio, da porre in dialogo serrato con le poche ma significative testimonianze storiche e archivistiche dell’epoca, come pure di contestualizzare la produzione figurativa scaligera nel più ampio contesto di quell’“arte di corte” di ambito padano enucleata con felice intuizione da Julius von Schlosser nel 1895. Non si può ovviamente prescindere dai fondamentali contributi che, soprattutto tra la fine del XIX secolo e gli anni Settanta del Novecento, hanno tentato di rispondere, spesso in modo contraddittorio, alle questioni nodali dei fatti figurativi veronesi. Mi riferisco, in particolare, agli interventi di Schlosser e Toesca, densi di suggestioni decisive per il proseguimento degli studi critici nella prima parte del Novecento; all’imponente monografia di Evelyn Sandberg-Vavalà del 1926, che resta il testo di riferimento più esauriente ed articolato sulla pittura veronese, nel suo imponente sforzo di dare ragione di tutti i brani pittorici ancora esistenti in città e di evidenzare in modo sistematico i problemi principali della cultura figurativa locale; agli studi di Licisco Magagnato, direttore del Museo di Castelvecchio negli anni fecondi della collaborazione con Carlo Scarpa e dell’allestimento dell’importante mostra Da Altichiero a Pisanello nel 1358; ai contributi di Maria Teresa Cuppini, funzionario di Sovrintendenza responsabile di decisivi interventi di restauro, con l’incisiva ricostruzione della personalità artistica di Turone; alle brillanti, provocatorie e spesso discutibili proposte di Gian Lorenzo Mellini, cui tra l’altro si deve, nel 1959, la scoperta dei medaglioni altichiereschi con i ritratti imperiali nei sottarchi della loggia del Palazzo della Provincia...
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