L’universo aziendale, attraverso i processi della globalizzazione, è ormai caratterizzato da un notevole incremento delle esperienze di internazionalizzazioni, joint venture, fusioni e alleanze che hanno già concretizzato la previsione di M. C. Triandis. In reticoli globali di questo genere i prodotti risultano essere strutture composite internazionali. Gli scambi tra le nazioni sono sempre meno di frequente costituiti da prodotti finiti e sempre più spesso da conoscenze specializzate per l’individuazione (marketing, pubblicità, consulenza alla clientela) e la soluzione di problemi (ricerca, progettazione, fabbricazione), per i servizi di intermediazione (finanza, ricerca di fornitori, concessione di appalti), nonché per alcuni componenti e servizi generici che si combinano in un tutto unico determinando il valore delle merci e dei servizi. Al di là dei risvolti strettamente economici non va dimenticato che la grande espansione delle multinazionali e l’aumento delle collaborazioni internazionali hanno avuto almeno una duplice conseguenza nelle organizzazioni: l’uso dell’inglese come lingua franca o, per meglio dire, del pidgin english; e la costituzione di un management multiculturale che, oltre a dover acquisire un’inedita cultura organizzativa, nuove strategie professionali, ha imparato (lo sta facendo o dovrà farlo) che molti aspetti dei loro comportamenti e dei valori non sono universali. Simili acquisizioni sono scaturite dall’esperienza di stretta collaborazione tra persone di differenti nazionalità, che hanno evidenziato come il trovarsi a lavorare “gomito a gomito” con uomini e donne estremamente differenti tra loro per background, specializzazione e cultura, rischiano di innescare patologie della comunicazione, incomprensioni e malintesi tali da condurre anche a una vera e propria situazione conflittuale. «Non c’è nessun comportamento umano che non significhi qualcosa. Compreso il silenzio, che può esprimere stanchezza, noia, preoccupazione. Non è possibile non comunicare. La comunicazione è inevitabile». L’interazione fra persone di culture diverse è marcata da una serie di momenti di asincronia, che si manifestano in silenzi, sovrapposizioni, reazioni impreviste, interruzioni, mettendo in evidenza così la difficoltà di stabilire e mantenere una cooperazione conversazionale a causa delle differenze nel background culturale e nelle convenzioni di comunicazione. Le persone sono di norma inconsapevoli delle conoscenze socioculturali, delle convenzioni comunicative che contribuiscono alla loro interazione nonché delle proprie convenzioni conversazionali: hanno perciò solo la percezione di un incontro fallimentare, le cui cause sono raramente identificate. La spiegazione di tale insuccesso si risolve in termini psicologici più che sociologici o culturali; l’interlocutore viene recepito come non cooperativo, aggressivo, lento o incompetente. Ripetuti incontri di questo genere e con persone della stessa nazionalità, possono portare alla conferma o alla formazione di stereotipi e di pregiudizi.

Non disponibile

La gestione dei conflitti aziendali in prospettiva interculturale

GUIDETTI, Barbara
2007-01-01

Abstract

Non disponibile
2007
conflitti aziendali; prospettiva interculturale
L’universo aziendale, attraverso i processi della globalizzazione, è ormai caratterizzato da un notevole incremento delle esperienze di internazionalizzazioni, joint venture, fusioni e alleanze che hanno già concretizzato la previsione di M. C. Triandis. In reticoli globali di questo genere i prodotti risultano essere strutture composite internazionali. Gli scambi tra le nazioni sono sempre meno di frequente costituiti da prodotti finiti e sempre più spesso da conoscenze specializzate per l’individuazione (marketing, pubblicità, consulenza alla clientela) e la soluzione di problemi (ricerca, progettazione, fabbricazione), per i servizi di intermediazione (finanza, ricerca di fornitori, concessione di appalti), nonché per alcuni componenti e servizi generici che si combinano in un tutto unico determinando il valore delle merci e dei servizi. Al di là dei risvolti strettamente economici non va dimenticato che la grande espansione delle multinazionali e l’aumento delle collaborazioni internazionali hanno avuto almeno una duplice conseguenza nelle organizzazioni: l’uso dell’inglese come lingua franca o, per meglio dire, del pidgin english; e la costituzione di un management multiculturale che, oltre a dover acquisire un’inedita cultura organizzativa, nuove strategie professionali, ha imparato (lo sta facendo o dovrà farlo) che molti aspetti dei loro comportamenti e dei valori non sono universali. Simili acquisizioni sono scaturite dall’esperienza di stretta collaborazione tra persone di differenti nazionalità, che hanno evidenziato come il trovarsi a lavorare “gomito a gomito” con uomini e donne estremamente differenti tra loro per background, specializzazione e cultura, rischiano di innescare patologie della comunicazione, incomprensioni e malintesi tali da condurre anche a una vera e propria situazione conflittuale. «Non c’è nessun comportamento umano che non significhi qualcosa. Compreso il silenzio, che può esprimere stanchezza, noia, preoccupazione. Non è possibile non comunicare. La comunicazione è inevitabile». L’interazione fra persone di culture diverse è marcata da una serie di momenti di asincronia, che si manifestano in silenzi, sovrapposizioni, reazioni impreviste, interruzioni, mettendo in evidenza così la difficoltà di stabilire e mantenere una cooperazione conversazionale a causa delle differenze nel background culturale e nelle convenzioni di comunicazione. Le persone sono di norma inconsapevoli delle conoscenze socioculturali, delle convenzioni comunicative che contribuiscono alla loro interazione nonché delle proprie convenzioni conversazionali: hanno perciò solo la percezione di un incontro fallimentare, le cui cause sono raramente identificate. La spiegazione di tale insuccesso si risolve in termini psicologici più che sociologici o culturali; l’interlocutore viene recepito come non cooperativo, aggressivo, lento o incompetente. Ripetuti incontri di questo genere e con persone della stessa nazionalità, possono portare alla conferma o alla formazione di stereotipi e di pregiudizi.
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